Per le tecniche miste su carta o altre tecniche che compaiono in questo Diario Elettronico firmate a nome Alessio, tutti i diritti sono riservati.







giovedì 31 dicembre 2015

Se ci tieni alla tua cultura, dillo in italiano!!!

Dunque sta per chiudersi il settecentocinquantesimo anniversario della nascita di Dante. Abbiamo già detto che era un anniversario da vivere con intensità, a caratteri cubitali, nella riscoperta della cultura e della lingua italiana.
Poteva essere l'occasione per iniziative straordinarie, anche per chiedere che la lingua italiana divenisse lingua ufficiale dell'Unione europea, per esempio.
Ma se siamo i primi a dimenticarci della nostra lingua, chi ci prenderà mai sul serio di fronte ad una simile proposta? Se siamo i primi a preferire un'altra lingua alla nostra, nessuno ci prenderà sul serio!
Si parla tanto di cultura e si dice di volerla incentivare ma come possiamo crederci quando l'immagine di Dante è stata completamente eclissata in un suo importante anniversario?
Come possiamo crederci quando invece della sua lingua si usano espressioni prese altrove?
Si parla tanto di incentivi alla cultura, anche recentemente, ma se da questi incentivi togliamo il sapore decisamente elettorale che cosa ne rimane? E' davvero diffondere la cultura questo?
Che siamo eccessivamente esterofili lo sappiamo, ma almeno a livelli istituzionali dovremmo sforzarci di parlare la nostra lingua, anche semplicemente per essere comunicativi, per esprimersi bene, per il diritto che hanno i cittadini ad una informazione chiara, riconoscibile, immediata.
Sono moltissimi i significati che sfuggono alla maggior parte delle persone quando invece della nostra lingua ne usiamo un'altra anche per brevi espressioni. Questa è una questione della massima importanza, molto sottovalutata, particolarmente per chi pensa di voler incentivare la cultura. Incentivare la cultura e disincentivare la comprensione viaggiano decisamente su direttrici opposte e inconciliabili.
Così ci viene di accogliere a braccia aperte un progetto che si fa carico di queste problematiche, un progetto che se non erro si chiama proprio:“Dillo in italiano!” Nota bene: sono tutti e tre vocaboli italiani! Incredibile di questi tempi, ma vero! Il progetto parte dalla constatazione che le cose sono per l'appunto più comprensibili per un italiano quando sono dette e scritte in lingua italiana (strano ma vero!), per cui si auspica che a tutti i livelli, ma soprattutto a livelli istituzionali, a livelli alti, particolarmente nella redazione delle leggi e affini, nei messaggi delle istituzioni di carattere nazionale, che il linguaggio sia esclusivamente italiano, poiché il cittadino ha diritto soprattutto ad una corretta informazione e quindi a comprendere bene qualsiasi tipo di testo destinato a lui.
Un progetto decisamente ed effettivamente lodevole quest’ultimo!
Invece ribadiamo che anche nel settecentocinquantesimo della nascita di Dante, la sua immagine (e con essa la sua lingua) è stata variamente offuscata, annebbiata, appannata, chissà, forse da una nuvola…speriamo sia passeggera... Dante è stato proprio esiliato due volte!


Dante esiliato due volte

Dante è stato esiliato una seconda volta.
Quanti vorrebbero avere tra i propri poeti e letterati un Dante Alighieri?
Molti, si potrebbe dire senza tema di smentita, e non ce l'hanno! Verrebbe da chiedersi tuttavia che tipo di festeggiamenti sarebbero stati messi in atto in un qualsiasi altro paese se Dante appartenesse come nascita e cultura a quest'altro paese. Vi è da immaginare che ve ne sarebbero stati molti di festeggiamenti, di molto importanti, di grande risonanza anche internazionale.
Invece in Italia il settecentocinquantesimo della nascita di Dante è passato via senza che quasi ce ne siamo accorti, senza che quasi sia stato sottolineato un evento che capita una sola volta nella vita. Qualcosa è stato fatto, si parla per esempio di scoperte di affreschi che lo ritrarrebbero con fattezze diverse, cioè senza il naso aquilino ma, al contrario, ben dritto.
Una vera curiosità, una scoperta interessantissima senza ombra di dubbio, di cui aspettiamo conferme. Ma è comunque poco rispetto a quello che si poteva ipotizzare per un personaggio dello spessore di Dante, che è considerato il padre della lingua italiana e uno dei padri della letteratura europea.
Forse è meglio dimenticarsi di Dante? O fare finta di dimenticarsene?
Che scopo potrebbe avere fare finta di dimenticarsene?
"Se ce ne dimentichiamo, qualcuno forse ce lo rimprovererà, e così avremo una ragione per dare addosso a questo qualcuno". Come si chiama questa? Tecnica dell'autobiasimo? Forse sì, forse no...
Intanto, siamo sicuri che funzioni proprio così? Siamo certi che è questa la funzione di tale tecnica?
E soprattutto, a chi giova? Chissà, forse a qualcuno giova, ma non certo all'Italia. né agli italiani.
E chi ha suggerito una tecnica del genere, chi ha dato questo consiglio? Qualcuno che ama l'Italia? cetamente no! Chi ha dato questo consiglio, se non è italiano (come possiamo ipotizzare), ci gudagna due volte a vederselo applicare:
la prima, perché l'Italia perde una occasione di presentare il meglio di sé; la seconda, perché si creano le premesse di dispute intestine sul perché di tale dimenticanza con agiunta di dinamiche poco edificanti.
Occorre una certa attenzione per sfuggire a questi consigli che sono evidentemente consigli senza coda, che sono quei consigli cioè dati a beneficio del consigliere e non del consigliato.
Si parla tanto di cultura, di identità, e poi ci si dimentica di un' anniversario del genere! E semplicemente inaudito! Ci si dimentica già, e magari per avere una buona scusa per dare addosso a qualcuno. Non c'è che dire, (scusate l'ironia) è decisamente un nobile scopo che fa onore alla nostra nazione.
E' più bello sentirsi furbi forse, per aver attuato una qualche tecnica di questo tipo, che cercare del cemento comune, per cementare un popolo che ancora non riesce a fare corpo comune, che non si sente nazione, che non apprezza la propria cultura tant'è che soffre di esterofilia cronica.
Dante, esiliato due volte, e pare paradossale che ciò avvenga in un momento in cui la Toscana ha esponenti politici ai vertici delle istituzioni.
Forse siamo di fronte a dei maestri della tecnioca dell'autobiasimo. Ma credo che ai vertici delle istituzioni  si sia poco sintonizzati col Paese e con le sue reali esigenze. Anche la distanza dal Paese della Leopolda lo dimostra, del resto, in modo abbastanza inequivocabile. Autoincensarsi da se stessi, senza veri confronti, escludendo le critiche, offre come effetto collatereale l'isolamento dal Paese reale, non c'è dubbio.
Vi è un crescente divario, un netto scollamento tra il vertici del Paese e i cittadini, e il Paese reale, ed anche questa dimenticanza (quella di Dante) lo dimostra purtroppo in modo inequivocabile. Oppure si tratta di una grandiosa tecnica messa in scena per nobili scopi...  
E chissà se la distorta tecnica dell'autobiasimo andrà in porto! Forse (scusate l'ironia) ne valeva proprio la pena, di applicarla!
Le altre nazioni stanno a stento trattenendo le risa...
Ma io veramente penso di no, penso che non ne valesse proprio la pena e che sarebbe stato meglio un atteggiamento diverso, e magari rischiare di eccedere coi festeggiamenti, piuttosto che fare passare l'anniversario così, un poco in sordina...Così passa in sordina e se ne va, il settecentocinquantesimo anniversario della nascita di Dante...e non tornerà, potete scommetterci!

lunedì 28 dicembre 2015

Crisi bancarie, pseudo cultura di classe, direttive eurpee e parlamenti fantasma! E l'Illuminismo?

Il 2015 si conclude con uno smacco perpetrato a migliaia di cittadini, quelli che erano stati sospinti a sottoscrivere investimenti attraverso le obbligazioni subordinate. E' da tempo che, sotto vari sforzi, si sta cercando di far comprendere che l'importanza di una banca risiede nella possibilità di redistribuire la ricchezza che in essa viene depositata per essere destinata a promuovere iniziative, imprese, realtà che possano costituire una possibilità di sviluppo per il territorio. La forza delle banche consiste nel sostenere l'economia reale. Invece purtroppo molte banche hanno ceduto alla tentazione di fare finanza, ed hanno finito per incentivare l'acquisto di titoli tossici, subordinati, ad alto rischio, senza per altro informare adeguatamente il cittadino correntista, in procinto di fare investimenti, sui rischi reali.
Questo è avvenuto presumibilmente illustrando essenzialmente il rendimento (in termini percentuali) del titolo acquistato ma omettendo di inserire il denominatore di questa cifra, quello che si riferiva alla pecentuale di rischio.
In altri termini il rendimento di un titolo non è mai soltanto un numero intero razionale, ma una frazione, fatta cioè da un numeratore e da un denominatore. E' da questa divisione che si ottiene il reale rendimento, ma esiste anche il rischio di perdere il denaro investito. Tutte queste cose nella maggior parte dei casi non vengono adeguatamente espresse all'ignaro acquirente. Ed ecco che così si creano di queste situazioni.
Il fatto è che sussiste una cultura (in senso antropologico) della divisione, una cultura che sospingere a dividere le persone le une dalle altre anche attraverso la divisione tradizionale in classi sociali ma anche attraverso un supplemento di argomentazioni e disposizioni d'animo tendenzialmente razziste, che spingono a vedere il cliente non come una persona da rispettare, come un essere umano dotato di una propria dignità ontologica, bensì come il "pescie piccolo" o, peggio ancora, come il "tacchino da spennare".
Si inculca il concetto naturalistico secondo il quale il pesce grande mangia il pesce piccolo, e che sarebbe un guaio se succedesse il contrario, per cui nessun tentennamento, quando c'è da miangiare si deve mangiare, per evitare il fatidico ed imbarazzante rischio che succeda il contrario o che un pesce della tua stessa taglia si mangi il pesce piccolo al tuo posto, beffandoti e, magari sbeffeggiandoti.
E' un po' questa la scala culturale e la scala dei valori sulla quale taluni (forse molti) si dispongono a giocare con la vita di altri esseri umani, regredendoli (del tutto innaturalisticamente per altro)  innanzitutto a pesci o a tacchini.
La cosa è probabilmente molto più diffusa di quanto si possa immaginare e vi è chi diffonde queste idee ad arte. Se esitesse ancora un senso di appartenenza ad una nazione, ad una cultura, si potrebbe cercare di fare leva sui concetti di cittadinanza, di destino comune, di legalità, di principii costituzionali, di leggi, di giustizia, per arginare il fenomeno.
Purtroppo però anche questi concetti subiscono una graduale erosione sospinta, volenti o nolenti, consapevoli o no, dalla retorica dell'internazionalismo, sulla scorta della quale si perdono di vista fattori essenziali per l'identità culturale, compresa la lingua.
Così non c'è da stupirsi se migliaia di cittadini vengono letteralmente fregati. Quello che invece riesce ancora a stupire è che di fronte alle responsabilità di salvataggi dalle opinabilissime modalità, chi le mette in campo invece di assumersi le responsabilità, si fa schermo nientemeno che con l'Unione europea additandola come la cattiva di turno che ha imposto le pessime direttive:
"abbiamo semplicemente adottato le direttive europee" si va dicendo.
Ora, posto che ciò è stato addirittura smentito, cioè che le direttive eurpee non impedivano di fare ricorso (non sto a dilungarmi) se anche le direttive eurpee avessero imposto dei salvataggi di tale genere ci sono almeno due immediate obiezioni che si sarebbero potute fare:
a) le direttive europee si fanno forse da sole? L'Italia ha dei rappresentanti all'interno degli organi europei che promuovono e formulano le direttive? E se l'Italia ha dei rappresentanti perché tali rappresententi non hanno fatto delle obiezioni a tali direttive? perché non sono stati proposti dei miglioramenti?
b) le direttive europee possono anche essere non votate dal Parlamento, possono essere bocciate.
Se l'Ue, si è resa rea di una direttiva che non va bene (alibi dietro al quale si trincerano i politici governativi)perché gli stessi politici non hanno invitato i propri parlamentari a non votare simili direttive, a non approvarle, a non recepirle?
Quello che emerge in sostanza è una responsabilità politica grandissima, di cui però non ci si fa carico minimamente ed in alcun modo preferendo poco dignitosamente scaricare il barile sull'Ue.
Da qui emergono tante altre possibili riflessioni; una tra le altre è quella secondo la quale si evince che dalle interviste televisive nelle quali si accusa l'Ue invece di assumersi le responsabilità, l'intervistato aspira ad essere ascoltato da un telespettatore modello (secondo il modello sperato) che recepisca il messaggio che in Europa le direttive si fanno da sole, e che il Parlamento Italiano non può che approvarle, così lo stesso non ha la benché minima responsabilità quando le recepisce senza battere ciglio.
Invece esiste anche il NO, i famosi No che fanno crescere, ma che questo Governo non è assolutamente in grado di pronunciare, rinunciando così di fatto (purtroppo) a occasioni d'oro per far progredire in un senso democratico l'Ue stessa.
Ne deriva anche che certi politici governativi, gli stessi che avrebbero la responsabilità di formare le coscienze dei giovani, dei cittadini del futuro, anche attraverso la scuola, gli stessi che dovrebbero istruirli ad uno spirito critico e indipendente (secondo ogni buona didattica), sono esattamente gli stessi evidentemente che sperano invece che essi non comprendano che in Europa le direttive non si fanno da sole, sono gli stessi che sperano che i cittadini, giovani e meno giovani, non comprendano che il Parlamento non è svanito nel nulla come un fantasma, sono gli stessi che sperano che i cittadini non comprendano che il Parlamento ha approvato le direttive, mentre avrebbe potuto anche non farlo.
L'alibi dell'Ue per questa vicenda è obiettivamente molto poco dignitoso, parla da solo. E questo sospinge ad una ulteriore ultima riflessione effettivamente poco rassicurante: chi spera che i cittadini (anche quelli del futuro, quelli in fase di formazione all'interno delle scuole) non capiscano, non comprendano, come può desiderare di istruirli? Anche questo è un conflitto di interressi! Chi spera che i cittadini pensino che le direttive europee si fanno da sole, come per magia, spera evidentemente di offuscare un dato reale, un dato di fatto, o di avere spettatori dalla mente annebbiata, ottenebrata, e in questa speranza non c'è nulla ma proprio nulla chiaramente di illuministico poiché l'illuminismo non ottenebra ma, al contrario, illumina, come dice esplicitamente la parola stessa.
Giova talvolta, come in un giubileo, tornare alla radice dei significati, alla fonte, all'origine del senso delle cose per collocarle al proprio posto e metterle in una giusta prospettiva.

mercoledì 2 dicembre 2015

Del Fondo unico europeo

Se ciò che è stato approvato con il Fondo unico europeo (Fondo unico europeo di risoluzione delle crisi bancarie), obbliga veramente tutti gli istituti bancari ad intervenire nel salvataggio delle banche in difficoltà, la domanda che  sorge spontanea è: che fine fa la concorrenza?
Anche il sistema bancario infatti ha un mercato e vive di concorrenza.
Scelte sbagliate da parte della dirigenza potrebbero costituire l'insuccesso di un istituto bancario, così che  un istituto concorrente potrebbe avvantaggiarsi rispetto al primo perché ha fatto magari delle scelte migliori e il mercato lo ha premiato. Questa è la logica del mercato. Chi crede nel mercato dovrebbe credere nella concorrenza, ma chi fa scelte in contrasto con la concorrenza, come in questo caso, non è credibile (o non dovrebbe esserlo) quando afferma di credere nel mercato. Ed in questo caso, cioè nel caso del Fondo unico europeo, non sembra proprio di assistere a scelte che premino le logiche di mercato.
Se tutti gli istituti bancari sono obbligati a salvare tutti gli istituti bancari, le scelte dei dirigenti dei vari istituti vengono in qualche modo deresponsabilizzate poiché qualsiasi sia la scelta e del tutto indipendentemente dal premio o dal castigo che il mercato stabilirà spontaneamente rispetto a questa scelta, l'istituto potrà godere della certezza del salvataggio. E' abbastanza logico presumere che le scelte sbagliate si moltiplicheranno.
Le banche credono o non credono nel mercato?
Per strano che possa sembrare questa è una domanda che possiamo porci tranquillamente.
Forse nella risoluzione delle crisi bancarie vi sarà per qualche istituto lo possibilità di trarre comunque vantaggi da questi salvataggi, così si può supporre che ciò che non viene concesso dal premio del mercato direttamente, venga poi preso attraverso le dinamiche interne della gestione delle crisi. Ma questo naturalmente potrebbe avere delle implicazioni non indifferenti da un punto di vista giuridico e politico. Dipenderà infatti dal "come" ciò verrà e, a tale riguardo, gli elementi di discussione pare che siano ampissimi. In ogni caso pare di assistere allo stesso errore che fu commesso in occasione della ratifica del MES, cioè si parla delle questioni soltanto a cose fatte, ad approvazione avvenuta.
Ora, comunque la si voglia pensare circa la questione dell'unificazione del sistema bancario e del Fondo unico europeo, quello che emerge con chiara evidenza è che i meccanismi di trasformazione dell'Ue stessa, passano assolutamente in sordina, sono sconosciuti ai più, e il cittadino comune non solo non ha voce in capitolo, ma non ci si sforza nemmeno di informarlo. Un grave errore che viene ripetuto anche in questa occasione da parte dell'Ue.
Come si può affermare che, secondo l'art. A del trattato di Maastricht, le decisioni nell'Ue, verrano prese il più vicino possibile ai cittadini? Come si può dichiararsi affini a questo principio se, come in questo caso, decisioni di tale spessore avvengono nel totale silenzio, e sono ignorate dalla stragrande maggioranza dei cittadini europei? Si è ancora tenuti a rispettare l'art. A del trattato di Maastricht?
Spiace dirlo ma purtroppo queste questioni, così importanti, non vengono esposte quanto si dovrebbe dai mezzi di informazione di massa. Occorrerrebbe avere una maggiore fiducia nel fatto che informare significhi fare un servizio alla Democrazia, e che fare un servizio alla Democrazia significhi fare un servizio a se stessi.
Speriamo che ci si faccia carico di queste informazioni nel prossimo futuro.
Purtroppo oggi la Democrazia sta vivendo un periodo di crisi e non pare proprio che l'attuale Governo se ne preoccupi molto, dal momento che approva in tutta fretta provvedimenti, come questo del Fondo unico europeo, che incidono così consistentemente sul futuro dell'Ue e dei suoi cittadini, senza sentire il bisogno di informare adeguatamente la popolazione.
Appare del tutto evidente che questo governo continua, come i precedenti, ad essere espressamente sintonizzato con il "governo delle banche" e col pensiero unico sull'Ue. Del resto, fondo unico = pensiero unico.
Un errore che insieme a tanti altri che sono in corso attualmente (vedi il tentativo di scardinare il contratto collettivo nazionale di lavoro, riforma del senato, delle provincie, ed altri ancora) sembra andare nella direzione dell'instaurazione di un regime trans-nazionale non democratico, e non rappresentativo, anche passando attraverso il consapevole indebolimento politico ed economico del Paese.
Meno un Paese è forte, e più saranno forti le istituzioni transnazionali che lo vorrebbero dominare.


giovedì 5 novembre 2015

La scuola tra responsabilità e autonomia. Estrapolazione e riadattamento dall'ultimo capitolo della Relazione di Tirocinio per la prova finale di abilitazione delle classi di concorso A025 e A028 del TFA 2014/2015

"L’autonomia scolastica, come abbiamo per altro appreso nell’ambito del corso delle lezioni di pedagogia, è una autonomia relativa che non può non tenere conto delle Indicazioni nazionali o delle Indicazioni per il curricolo. Come e dove si espleta quindi questa autonomia? Quali sono i suoi limiti e le sue possibilità e funzioni?
Comunque la si pensi resta logicamente evidente che autonomia e dipendanza viaggino su direttrici opposte.
E' possibile forse capire la questione se si guarda al contesto generale e si legge la scuola come ente inserito nella società e nella storia.
La scuola si trova oggi ad essere pesantemente influenzata dall’esterno e poco ascoltata dall’interno.
Come deve porsi la scuola nella dialettica che intercorre tra sé e la società in cui alberga?
Per strano che possa sembrare, una risposta a quest'ultima domanda ci può arrivare dal campo della storia e della storiografia artistica.
Quello che, per esempio, Ferdinando Bologna dice nelle sue proposte metodologiche di storico e storiografo dell’arte, nel suo I metodi di studio dell’arte italiana e il problema metodologico oggi, a proposito della personalità dell’artista nel contesto della società e nella storia, sembra poter essere fedelmente e sorprendentemente applicato anche alla scuola nel suo complesso e soprattutto alla scuola vista come ente inserito nella società e nella storia!
Così possiamo dire, citando appunto Bologna, ma decontestualizzandone il testo o, per meglio dire, trasferendolo in un altro contesto, che la scuola, similmente alla personalità di un artista, così “come subisce modifiche, imprime modifiche e contribuisce laboriosamente, ma [anche in questo caso, perentesi mia] con autonomia <<relativa>>, al cambiamento generale della situazione a tutti i livelli.”(Ferdinando Bologna, I metodi di studio dell’arte italiana e il problema metodologico oggi )
D’altra parte già G. Manacorda in Storia della scuola in Italia, Il Medio Evo, scriveva che la Scuola “come riceve l’impronta e avviamento dalla società in mezzo alla quale vive, così, a sua volta irradia correnti di pensiero, imprime impulsi efficaci, informa di sé anche fatti politici e sociali.”
Ecco qualcosa a cui la Scuola non deve assolutamente rinunciare!
La scuola quindi è bene che "si apra al mondo" e che "collochi nel mondo" sì, come citato nel paragrafo 1.1.2, (è un paragrafo della Relazione che qui evidentemente non c'è) ma al contempo il mondo si deve aprire alla scuola; così come il mondo influenza la scuola, così la scuola dovrebbe influenzare il mondo. Il rapporto non può essere unilaterale o si rischia la perdita dell’equilibrio.
Così vorrei esprimere quella che sento essere una grande verità, cioè che una scuola che rinunci al mandato di imprimere cambiamenti migliorativi alla società in cui alberga seppure nell’autonomia <<relativa>> del solco responsabilmente democratico, una scuola cioè che si disponga soltanto a subirne gli influssi in modo passivo, semplicemente non sarebbe più una scuola e tenderebbe a somigliare progressivamente sempre più ad un mero ricettacolo passivo di impulsi provenienti dall’esterno e quindi in fin dei conti tenderebbe a somigliare sempre più ad una caserma di addestramento piuttosto cha ad un luogo di apprendimento.

E se la scuola deve essere un luogo di apprendimento (aggiungerei sia per discenti che per docenti!), se deve essere il luogo nel quale la cultura adulta viene insegnata, trasmessa al discente, nelle forme in cui il discente stesso è in grado di recepirla, questa mediazione e l’annesso ruolo di mediatore dell’insegnante, assume un’ importanza strategica e decisiva per la società e pertanto non può avvenire senza una precisa assunzione di responsabilità, la cosiddetta responsabilità educativa, la quale implica e richiede anche il mettere in discussione quello che dall’esterno giunge nella scuola ivi comprese le cosiddette riforme ed anche la tecnologia informatica, che naturalmente non va respinta ma semplicemente vissuta criticamente, questo sì, secondo un’ottica di critica costruttiva. La scuola deve quindi insegnare la tecnologia digitale naturalmente e le sue possibilità e potenzialità; trattasi dell’alfabetizzazione informatica. Contestualmente deve insegnare per esempio la differenza che passa tra realtà, realtà virtuale e realtà aumentata. E' con un insegnamento costruttivamente critico che si creano i cittadini della tecnologia.
Senza assolutismi di sorta quindi né tantomeno pregiudizi, si può affermare che la scuola dovrebbe attivarsi responsabilmente in questo senso attraverso il cosciente esercizio critico per non far degenerare una reale opportunità, quella che offre la tecnologia in generale e quella informatica in particolare, in un falso mito di progresso o, in casi estremi, addirittura nella premessa di un regresso se non addirittura in un regresso in atto. L’idea in generale è quella di fabbricare non  sudditi della tecnologia ma, al contrario, di far crescere appunto cittadini della tecnologia. E che sussista una certa confusione tra i due aspetti lo si evince da tutta una serie di constatazioni. Lo si evince e lo si appura nel momento in cui, con la scusa della tecnologizzazione e dell'ammodernamento, vengono creati percorsi obbligati. Uno di questi percorsi obbligati è la fatturazione elettronica obbligatoria per esempio. Il vero progresso consiste nel dare la possibilità di poter fatturare elettronicamente (ed è così che si creano i cittadini della tecnologia ed è così che vi è un reale progresso); mentre nel renderla obbligatoria si creano semplicemente dei sudditi della tecnologia con una libertà in meno e un obbligo in più, e quindi vi è un regresso democratico e non un progresso.
Anche di questo si deve occupare la responsabilità educativa. Ma la responsabilità educativa implica al contempo il considerare lo sfondo culturale e politico-istituzionale, nonché il quadro storico e sociale nel quale la scuola si trova ad operare e che caratterizza la contemporaneità. E’ un momento in cui la scuola per esempio si trova a passare dalla vecchia funzione dell’alfabetizzazione (sia di base, sia culturale) alla nuova scuola dell’autonomia e delle competenze, in cui si trova a passare dal programma e dalla programmazione, al curricolo e alla progettazione e via discorrendo.
Ma è anche una scuola che rischia di vedere al suo interno la presenza di germi di erosione della stessa autonomia e delle stesse competenze che ne risulterebbero drasticamente ridimensionate, se questi germi di erosione non saranno prontamente individuati e respinti o comunque resi innocui.
Vi è poi il quadro derivante dall’appartenenza all’Unione europea, che necessita di essere capito a fondo e interpretato, anche qui con spirito costruttivamente critico e non con passivo e acritico assenso o intento demolitorio. Vi è un quadro internazionale instabile da un punto di vista economico-finanziario, in cui vecchie e nuove dinamiche si incontrano e si scontrano, dove le bolle speculative montano e le crisi incombono. Sembra un momento di transizione che investe molti settori quindi, ma proprio per questo, proprio perché le transizioni sono troppe e investono troppi settori, il rischio che si crea è anche quello di una reale e concreta perdita d’ identità dell’individuo e di vivere in una sorta di perenne terrae motus, terremoto!
La scuola è chiamata anche a rispondere a queste sfide. Per altro questo terremoto non sembra proprio lasciar intravedere soluzione di continuità.
E’ difficile costruire in uno stato di perenne terremoto, ed anche la costruzione della propria identità ovviamente ne risente. Anche questo fa parte del clima in cui vive attualmente la nostra scuola, la quale potrebbe rappresentare un'ancora di salvezza per la stessa identità culturale, mitigando gli effetti devastanti di questo terremoto.
Che dire poi del quadro messo in luce anche da recenti enciclopedici studi di economisti quali Thomas Piketty, studi quali Il capitale nel XXI secolo, che dimostrano come la curvatura della diseguaglianza economica è destinata ad incrementarsi in quei paesi dove il rendimento del capitale è maggiore della crescita economica, cioè tutti i paesi occidentali e non solo.
Per strano che possa sembrare, anche questo è un quadro che la scuola deve tenere in considerazione, vista la dipendenza cronica e strutturale da fattori economici che essa effettivamente ha. Ma non è tutto. Queste dinamiche economiche e le annesse dinamiche del potere sono sempre più sfuggenti e difficili da intravedere,- si dice - inintelligibili ai più “sia per l’oggettiva ed estrema complessità dei processi in corso, sia per il crescente e coltivato divario tra cultura di massa e saperi riservati alle ristrette oligarchie che governano la transizione […].”, scrive il Procuratore generale presso la Corte d'Appello di Palermo Roberto Scarpinato (Dalla prefazione scritta da Roberto Scarpinato per Il ricatto dei mercati di Lidia Undiemi, Ponte alle grazie, pag. 11).
Dice ancora Scarpinato che le “nuove gerarchie di potere non dividono solo chi ha da chi non ha, ma anche chi sa da chi non sa, e quest’ultima distinzione è funzionale alla prima. Oggi come ieri sul terreno del sapere si gioca una partita politica fondamentale” (ibidem).
Forse c’è bisogno di un nuovo illuminismo che sappia redistribuire oltre alle ricchezze anche il sapere.
Se si crede nell’Illuminismo non ci sono alternative, altrimenti è l'oscurantismo.
Discipline come Arte e immagine (educazione artistica) e Disegno e storia dell’arte possono dare il proprio contributo. L’educazione alla creatività, che è alla base dell’insegnamento appunto di Arte e immagine, ha come presupposto teorico quello di stimolare nello studente la capacità di svincolarsi da schemi di pensiero precostituiti e di favorire l’emergere della creatività in senso lato ma anche intesa come sviluppo del pensiero divergente, come sviluppo di un pensiero cioè in grado di cogliere molteplici soluzioni ad uno stesso problema. Trattasi di un pensiero creativo e razionale al tempo stesso, essenziale quando si tratta di sfuggire dai dogmi e dalle superstizioni.
Quando le riforme sono troppo sintonizzate con il finanziario-centrismo attualmente imperante, rischiano di perdere di vista o di non tenere abbastanza in considerazione alcuni fattori importantissimi come, per esempio la dignità ontologica del discente, ma soprattutto l’aderenza ai più alti principii costituzionali ancorché proclamati, così come rischiano di perdere di vista l’identità culturale di appartenenza, la propria specifica cultura e tradizione, la propria lingua, né sembrano tenere abbastanza in considerazione gli obiettivi generali cui è asservita da sempre la vera didattica, quelli di creare un individuo propriamente detto, formato e indivisibile (in-dividuo), capace di sviluppare un pensiero realmente autonomo, convergente o divergente che sia, anche a seconda dei casi specifici e concreti, e quindi anche flessibile, il che non significa, badate bene, sibillino o opportunista ma, al contrario, libero e capace di sviluppare altresì un pensiero critico ed indipendente, nonché di sviluppare tutto il proprio potenziale umano per un nuovo umanesimo.
Il cittadino di domani non può essere il risultato ingegneristico di gruppi di non meglio identificati decisori politici (di cui i discenti non sanno niente, e di cui non sanno niente neanche i genitori dei discenti poiché probabilmente nemmeno eletti dai genitori stessi, decisori che forse non sono stati nemmeno eletti in generale, ma scelti, nominati, calati dall’alto chissà da dove) spesso intenti a mantenere vivi i compartimenti stagni della società, il divario tra cultura di massa (Adorno forse direbbe “cultura per le masse”) e saperi riservati, nonché un gran numero di dogmi e superstizioni secondo un’ottica palesemente anti-illuministica, poiché è chiaro che coloro che traggono vantaggio dai dogmi e dalle superstizioni si guarderanno bene dal forgiare cittadini in grado di individuarli e di smascherarli questi dogmi e queste superstizioni, e si adombra così quindi anche il legittimo sospetto di un conflitto di interessi, che ripropone il tema delle regole, dell’elettività, della responsabilità, dell’architettura europea stessa e della rappresentatività.
Serve dunque una scuola che risponda criticamente e creativamente alle questioni in essere e non una istituzione passiva, esclusivamente recettiva; serve una scuola che faccia crescere i propri cittadini e che li forgi consapevoli delle dinamiche in atto.
Così nella formazione sono molti gli aspetti che concorrono alla crescita dell’individuo, e all’aumento della sua consapevolezza e questa esperienza di tirocinio indiretto e diretto e, nell’ambito della specifica esperienza di tirocinio diretto, sia quello osservativo che quello attivo, pur essendo state esperienze parziali e imperfette rispetto ad un ideale ottimale, e cionondimeno veridicamente umane, hanno in ogni caso contribuito variamente a sottolineare l’importanza di questi aspetti, ma hanno anche sottolineato la necessità di mantenere alti i principii costituzionali, i più alti principii pedagogici e didattici, di mantenere alte le capacità già mostrate dalla scuola, anche attraverso i parametri di democraticità e rappresentatività interni alla scuola stessa, senza i quali il divario tra apprendimento e addestramento si farebbe, presumo, piuttosto esiguo."

venerdì 23 ottobre 2015

Senza Stato non c'è Stato!

Potrà sembrare una questione banale, ma credo invece che sia della massima importanza. E' una questione che si pone molto seriamente soprattutto perché non sembra proprio che vi siano nuove politiche in vista o  in atto, ma semplicemente il vecchio che si riafferma, un vecchio modus operandi che ha già fatto molti, moltissimi danni al Paese, quindi allo Stato.
Forse delle nuove politiche avrebbero potuto innescare una visione nuova, ottimistica, ma così non è, purtroppo. Siamo di fronte al già visto che si ripete...e ciò che abbiamo già visto non ci è piaciuto.
Non c'è niente di nuovo sotto il sole rispetto alle modalità adottate. Si punta tutto sulle privatizzazioni.
Ma ricordiamoci intanto che senza Stato non c'è Stato e che lo Stato non è un nemico dei cittadini.
Ricordiamoci anche che privatizza oggi, privatizza domani, lo Stato si priverà di tutto prima o poi, ed i privati si sbarazzeranno di un potenziale concorrente, deprimendo la concorrenza stessa.
Un film già visto, quello di puntare a testa bassa sulle privatizzazioni, che ha fatto come dicevamo molto danno, in Italia. Forse altrove no, ma in Italia certamente sì!
E non è che c'è da essere contro le privatizzazioni in senso assoluto, ma in senso relativo e, in ogni caso, con prove alla mano. Ci sono cioè privatizzazioni e privatizzazioni, ed è giusto operare dei distinguo, ma dobbiamo tenere presente quello che è il danno che queste idee, quelle secondo le quali le privatizzaioni sono l'unica panacea ad ogni male, hanno appunto fatto al nostro Paese.
E' quindi giusto che una Stato si faccia presente a se stesso, che reclami la propria presenza, senza eccessi, ma anche senza cadere nel tranello (che di questo si tratta, e non d'altro!) dell'ideologia negativa dell'aiuto di Stato! Uno Stato ha il diritto di aiutare se stesso, nasce proprio per questo, per aiutare in se stesso i propri cittadini, anche mantenendo aziende profittevoli se necessario! Se neghiamo questo principio neghiamo le ragioni stesse per cui uno Stato sussiste, neghiamo le ragioni stesse per cui uno Stato esiste ed è stato voluto e creato, e certo, non al prezzo di pochi spicci.
Ricordiamoci anche questo particolare. Così dovrebbe essere!
E nel mentre che uno Stato aiuta se stesso ricordiamoci che aiuta appunto anche i suoi cittadini, e a mantenere alti i principii sanciti dalla propria Costituzione, che in esso alberga, e non altrove! Senza Stato non c'è Stato, e senza uno Stato i confini di Stato, anche quelli propriamente geografici, non hanno ragione d'essere, e quindi le cose che hanno valore entro e solo entro quei confini (cose come la Costituzione appunto) pure quelle rischiano di svanire con lo svanire dei confini, con lo svanire dello Stato. E' questa consapevolezza di cui si dovrebbe fare portavoce la nuova politica, quella che intendesse essere veramente tale, quella che nasce dalla critica all'operato degli ultimi decenni, proprio perché quest'ultima ha perso di vista queste cose, anche sull'onda del tanto decantato: "Le privatizzazioni sono la panacea ad ogni male!".
Non è così!
Ma vediamo, quali sono quelle che abbiano annoverato come vecchie modalità? Vediamone alcune molto in voga, per esempio:  il debito pubblico aumenta (perché è gestito male!) e questo diventa la scusa per fare cassa.
Si cerca di fare cassa cioè per contrastare una pessima gestione del debito pubblico stesso.
A nessuno viene in mente che si dovrebbe cercare una gestione migliore del debito! Sarebbe la cosa più logica da fare!
Per esempio non facendo acquistare titoli tossici o ad alto rischio, da parte di chi lo gestisce...
E così, con questo volgere la testa dall'altra parte per non vedere, e con questa scusa da vecchia politica si fomentano e si giustificano le privatizzazioni.
Oppure, ed ecco un altro esempio, si vuole fare cassa perché si devono mantenere le promesse populiste che si è fatto in campagna elettorale o durante il proprio mandato. E così si svendono aziende profittevoli per adempiere a promesse che hanno un sapore elettorale. Si ottiene così un rapido introito ma una perdita a lunga distanza, una perdita le cui conseguenze negative si potrebbero evidenziare soltanto dopo un certo lasso di tempo, per finire col coincidere temporalmente con l'elezione del governo che succederà a questo, cosa che consentirà a quello attuale, divenuto opposizione, di additare come responsabile quello incolpevole, appena eletto! Giochi "raffinati" da politica temporale...
Anche da questo punto di vista non c'è alcun nuovo che avanza ma soltanto il vecchio che si riafferma; vecchie strategie, vecchie idee, vecchie politiche...
E quanto male abbiano fatto il vecchio (che si riafferma!), cioè le vecchie politiche legate alle gestioni del debito e delle privatizzazioni, lo si evince dalla sistematica deindustrializzazione che l'Italia ha subito negli ultimi anni. Questa deindustrializzazione è una prova provata! Eccola qua! Non si può far finta di non vedere!
Questa deindustrializzazione secondo certe stime ammonta a circa il 25 %. Vi è cioè un 25% in meno della capacità industriale italiana.
Questa perdita ha coinciso esattamente col periodo nel quale la parola d'ordine era; privatizzare!
Inoltre, non vi è nessuno che dica apertamente (ma nemeno allusivamente) che le privatizzazioni servono talvolta a tagliare fuori un potenziale concorrente! Un temuto concorrente!
Così nel privatizzare lo Stato ci perde due volte, sia per la minore concorrenza presente sul mercato in generale, dovuta alla scomparsa di un potenziale forte concorrente, sia perché lo Stato spesso svende aziende profittevoli, rinunciando per sempre al profitto derivante!
Anche quando non svende del tutto vi è poi sempre l'incubo che prima o poi possa farlo, il che è vissuto come una minaccia e un ricatto!
In ogni caso, e comunque la si pensi, si potranno anche fare salti di gioia per i 3 mld e mezzo che possono derivare dalla vendita delle azioni di Poste Italiane, ma tutto questo rischia di essere semplicemente un fuoco di paglia, una temporanea ebbrezza, che si scontra comunque con una altra realtà, cioè: immettere qualsiasi quantitativo di denaro in un secchio bucato non risolverà mai i problemi del Paese, poiché comunque sia, il secchio bucato si riprenderà sempre qualsiasi guadagno. A lungo termine si crea un notevole danno, peggiore del male che si intenderebbe curare, quello di partenza, quello cui si dice di voler porre rimedio!
E in oltre, ciò che lo Stato perde con le privatizzazioni, sarà perso per sempre, soprattutto se si tratta di aziende profittevoli o  strategiche per la sicurezza dello stesso Stato. Un passo ulteriore verso lo Stato non Stato.
Invece che sulle privatizzazioni bisognerebbe invece fare leva sul senso dello Stato. Ecco una battagli culturale degna di questo nome!
Oppure capire che si deve fare leva sui profitti dello Stato stesso e non sul disfarsene.
Se infatti per rimediare una pessima gestione del debito pubblico (secchio bucato), invece di cambiare la gestione dello stesso e di studiare il caso da vicino, svendo aziende profittevoli (le sole che potrebbero dare una mano) non potrò più contare su questo aiuto in futuro, per contrastare il debito stesso. Rinunciare ad un profitto durevole per un fuoco di paglia temporaneo non è lungimirante, non è saggio, ma soprattutto sa proprio di vecchia, vecchissima politica!
E lo Stato è sempre meno Stato e...senza Stato non c'è Stato, e forse nemmeno Costituzione!

lunedì 19 ottobre 2015

Certificato di abilitazione

Ecco finalmente il Certificato di abilitazione. Non voglio ripetermi ma anche se arriva a oltre vent'anni dal diploma di pittura e oltre venticinque da quello di maturità artistica, è comunque una bella soddisfazione e un traguardo imprescindibile per il prosieguo nell'ambito dell'insegnamento!



Certificato di abilitazione o Diploma di abilitazione

martedì 13 ottobre 2015

Risultati abilitazione

L'Accademia di Belle Arti di Firenze pubblica il quadro con i risultati di abilitazione della sessione del 7 ottobre 2015, e contestualmente il pdf relativo sul sito ufficiale.Pubblico fotografia con relativi omissis.



venerdì 9 ottobre 2015

Abilitazione

Finalmente, a oltre vent'anno dal diploma di pittura dell'Accademia di Belle Arti di Firenze, è arrivata la tanto sospirata abilitazione. Quasi non ci credevo più. Non è stato un percorso semplice, ma alla fine...eccola!
La soddisfazione è enorme...  

giovedì 10 settembre 2015

Sei camere fanno più leggi di una sola!

Se ogni cittadino ha il dovere di svolgere un'attività o una funzione che concorra al beno materiale o spirituale (o anche entrambi) della società, un diario può essere un valido strumento per realizzare questo dovere.
Ma quando si sente esattamente questo dovere?
Forse quando si avverte la presenza di un dibattito e alcune idee pertinenti a questo dibattito coinciano ad affollare la nostra mente!
Cioè a dire quando senti che si formano in te delle idee, a cui quasi non partecipi poiché si formano spontaneamente, quando senti che c'è qualcosa che le forma. Che cosa sia questo qualcosa è domanda ineressante cui però non è possibile neanche tentare una riaposta in questa sede e ne rimandiamo la trattazione.
Ma in quel momento in cui si formano le idee, in quel preciso momento puoi chiederti quanto quelle stesse idee formatesi spontaneamente siano pertinenti a quel dibattito e decidere di esternarle o no.
Cosa ti dice il tuo senso del dovere? 
In altri termini, quello che intendo dire è che spesso e volentieri, come credo capiti a tutti, personalmente non sono se non un semplice testimone delle idee che si formano in me ed altro non faccio se non trascriverle fedelmente allo scopo di testimoniarne la presenza e di metterene al corrente i miei concittadini e contribuire ad arricchire un dibattito. Lo faccio con pochi mezzi, con questa modesta finestra che è rappresentata dal diario elettronico su cui campeggia questo articolo...ed altri.
Così, in ottemperanza all'art.4 della Costituzione, ma anche per venire incontro a quanti richiedono partecipazione e concorso d'idee, serenamente e pacatamente, nel rispetto delle altrui idee e soprattutto di chi le esprime, mi accingo a svolgere il mio dovere, (nient'altro che il mio dovere) e quindi a testimoniare l'avvenuta formazione spontanea di alcune idee, a scriverle e quindi riferirle sì da renderne partecipi gli altri, potenzialmente tutti, in questo caso circa il dibattito sul bicameralismo.

Vorrei esordire così: se avessimo sei rami del Parlamento, sei camere, potremmo scrivere contemporaneamente sei leggi; se ne avessimo cinque, potremmo scrivere contemporaneamente cinque leggi; se ne avessimo quattro potremmo scrivere contemporaneamente quattro leggi, se tre, tre leggi, ecc.
Cioè a dire che il numero alto delle camere non solo non inficierebbe la creazione delle leggi ma ne aumenterebbe di molto la velocità di ingresso, di promulgazione ed entrata in vigore nella società. Ci pensate?!
Ma allora perché invece di questionare sul bicameralismo non pensiamo ad un Parlamento con sei camere?
Se la ragione del dibattito sul bicameralismo è inerente la lentezza della formazione delle leggi non è togliendo questa funzione ad uno dei due rami attuali che si risolve il problema ma aumentando il numero delle stesse camere.
Si dirà, e l'obiezione non è priva di una sua pertinenza, che sei camere potrebbero scrivere leggi l'una all'insaputa dell'altra (all'insaputa dei dettagli) e creare potenziali conflitti e contraddizioni tra legge e legge e una grande confusione.
Questo lo ritengo certamente plausibile, tuttavia basterebbe un po' di buona volontà, di pianificazione e una buona dose di coordinazione per evitare questo rischio. Non è impossibile!
Ora, è chiaro ed evidente che l'idea delle sei camere è un espediente intellettuale, che si tratta di una modesta provocazione, ma di una provocazione che vuol far pensare a qualcosa di interessante. Anch'io penso che sei camere siano troppe naturalmente.
Tuttavia penso anche che non siano troppe due.
Quello che volevo fare notare comunque, sulla falsariga di questa provocazione, è qualcosa che ha già fatto notare Zagrebelsky, cioè che due camere possono pensare (e di fatto pensano effettivamente) a due leggi diverse contemporaneamente. Questo significa almeno due cose: 1) che due camere non rallentano i lavori in Parlamento come si va dicendo da tempo per giustificare la riforma; 2) che il bicameralismo italiano non è poi così perfetto come si vuol far credere.
A proposito di questo secondo punto vorrei puntualizzare gli elementi che concorrono a rivalutarne la cosiddetta perfezione di questo bicameralismo (bicameralismo perfetto): a) il numero diverso di parlamentari tra i due rami; b) la differenza di età tra i parlamentari di una camera e dell'altra (di fatto i senatori sono leggermente più anziani e consistentemente più saggi); c) il lavoro in diacronia tra una camera e l'altra cioè mentre una camera pensa ad una legge, l'altra camera pensa ad un' altra legge, ad una legge diversa.
A questo vorrei aggiungere che  il bicameralismo, perfetto o non perfetto che sia (e spero di aver messo in luce che anche quello italianao non è poi così perfetto) è la forma maggiormente in voga nelle democrazie più avanzate, particolarmente quelle occidentali.
Vorrei aggiungere quindi che una pessima riforma del Senato oltre ad accontentare la Germania (e non i cittadini italiani) rischia fortemente di far scaturire l'idea dell'abrogazione in toto del Senato stesso, portando il Parlamento ad assimilarsi a quello monocamerale che è in voga nelle democrazie meno avanzate del pianeta (e molto spesso nel cosiddetto terzo mondo), costituendo così un potenziale rischio di svilimento del tenore democratico, costituendo altresì un' inflessione della rappresentatività, ed un potenziale regresso storico, culturale, politico e sociale del Paese.
Se vogliamo molte leggi in tempi brevi (perché il mondo, si dice, è veloce e noi dobbiamo stare al passo, dobbiamo essere competitivi e correre col mondo ecc. ecc. e altri discorsi e mitologie del genere) a questo punto è meglio avere sei camere che una sola! Questo è il pensiero che si è pensato in me; io come un fedele testimone lo trascrivo semplicemente e ne metto al corrente, com'è mio dovere i cittadini.
Meglio sei camere che una sola!

mercoledì 9 settembre 2015

Addio Fiammetta!!!

Un doveroso saluto alla cara maestraVigiani Bonamici Fiammetta, che nei giorni scorsi si è spenta.
Medaglia d'oro della Pubblica istruzione, Benemerita dell'Arma dei Carabinieri, prima donna socialista (quindi prima donna e apripista per le succesive quote rosa) ad essere eletta nel Comune di Borgo San Lorenzo, come ricorda una targa di cui l'ha omaggiata il segretario del Partito Socialista Italiano, Riccardo Nencini.
Cinque anni di scuola intensi, sereni, ricchi di esperienze, di gite, di canti, di spettacoli e di quell'entusiasmo che sempre ha saputo infondere nei suoi alunni.
Una passione per l'insegnamento la sua che allora si identificava, come più volte successivamente mia ha detto, nella speranza e anzi nella certezza di migliorare il futuro di ognuno di noi e la stessa Nazione.
Una passione per l'insegnamento che non si è mai assopita neanche dopo il pensionamento e che ha sempre portato avanti con lucida consapevolezza, affidandola poi a quell'approccio peripatetico di cui ogni tanto mi accennava. C'era sempre qualcosa da imparare parlando con lei, anche durante una passeggiata ai giardini, o di fronte a una tazzina di caffè.
Sempre presente ai miei recenti compleanni finché ha potuto, ha lasciato un vuoto, prima in quelli, quasi a suggerire sommessamente l'avvicinarsi di un più radicale saluto, un avvicinarsi vissuto tuttavia da vera donna di fede, in modo estremamente sereno e dignitoso. Si è spenta nel sonno.
Anche se la Fiammetta se n'è andata, il suo ricordo sarà sempre con noi!

domenica 6 settembre 2015

Ascolto e coscienza


E' ancora impressa nella mia mente la lezione che il compianto Padre Giuseppe dei Cappucini, mio confessore (grandissimo confessore!) ha saputo lasciarmi: dal male non nasce il bene, non si fa il male per il bene e dall'ingiustizia non nasce la giustizia!
Non so se lo sapesse o se lo ignorasse ma già stavo facendo autonomamente valutazioni di questo tipo, arrivando a pensare che da una azione lesiva del diritto e della dignità, da una azione sbagliata denotabile come ingiusta e negativa, scaturiscono catene di azioni corrispondenti, dello stesso tenore, come se dalla prima scturisse una sorta di peccato originale trasferentesi alle sue derivazioni.
Da una azione violenta scaturisce una catena di azioni violente e il male si nutre di se stesso espandendosi. Viceversa da una azione contraddistinta dal bene, dal buon senso, si sviluppa una catena di azioni corrispondenti, dello stesso tenore e quindi benefiche, non violente, che immettono nella società benefici, in altri termini scaturisce il bene, il quale si nutre e si alimenta di se stesso.
E' quindi molto importante e direi basilare il segno che mettiamo alle nostre azioni.
Ho dovuto ascoltare molto la mia coscienza prima di giungere a questa consapevolezza.
Il primo dovere di un essere umano infatti è, secondo me, quello dell'ascolto della propria coscienza.
Attraverso le religioni si sono sviluppati dei sistemi che conducono alla coscienza come al più alto valore. Quando si parla di ascolto ecco quindi qual'è il più alto grado di ascolto che si può raggiungere, quello della coscienza.
Non è forse questo di cui ci parla il profondo simbolo denominato l'etere nel cuore?
Ascoltare significa quindi soprattutto e innanzitutto ascoltare la propria coscienza.
Ma ci sono infiniti modi per eclissare e far eclissare agli altri l'ascolto della coscienza, ci sono infiniti modi per comprometterlo, per renderlo difficile e tra questi infiniti modi ve n'è uno che è costituito dal dare suggerimenti sbagliati soprattutto verso terze persone, suggerire cioè di compiere il male verso terze persone.
Chi riceve un simile consiglio può sottrarsi alla diffusione del male e dell'ingiustizia (e contestualmente all'eclissi della coscienza) soltanto esercitando l'obiezione di coscienza e dicendo: <<No, io non faccio questo, la mia coscienza me lo impedisce!>>.

Ho sempre ravvisato una certa sintonia con padre Giuseppe, da questo punto di vista:
dal male non nasce il bene, da un'ingiustizia non nasce la giustizia!
Non solo ma anche: dal male si sviluppa il male e dal bene si sviluppa il bene!
Infatti per giustificare il male e l'ingiustizia si cercano alleati e questo dimostra essere vero ciò che si diceva sopra, cioè che dal male derivano, si scatenano e si sviluppano catene di male, ed è così che si satura la società di negatività e si snatura il senso delle leggi e del diritto, anche quel diritto che la fede ha contribuito a creare con laute immissioni di coscienza nella redazione, per esempio, di certi articoli fondamentali anche della Carta costituzionale.
L'ingiustizia crea ingiustizia, non c'è alcun dubbio al riguardo.
Per giustificare queste catene di male, col passare del tempo, l'esperienza umana ha cominciato ad adottare varie tecniche e strategie, non ultima quella di usare espressioni che fino a prova contraria erano state usate correttamente almeno fino a quel momento, piegandole ai propri fini poco nobili, a quei fini per cui si è deciso di strumentalizzarle.
<<Vox populi, vox Dei!>>, è una di queste. Trattasi di un' arma a doppio taglio e forse perfino senza una vera e propria impugnatura quando viene strumentalizzata a fin di male e piegata a scopi non virtusi, a meno che questa impugnatura non rechi la scritta: arbitrio e violenza!
Infatti se è vero che Vox populi = vox Dei, cioè che la voce del popolo è la voce di Dio, questo lo può essere solo nel momento in cui la voce del popolo è la voce della propria coscieza, di una coscienza collettiva e non la voce di una calunnia o di una volontà intesa al male, intesa a commettere illeciti, a tradire il proprio codice deontologico, a fare della Costituzione carta straccia e via discorrendo!
Per cui ritengo che chi cerca giustificazioni teoriche all'ingiustizia usando per altro espressioni di questo tipo, sbagli clamorosamente.
Abbiamo già le leggi, non dobbiamo che applicarle!
E credo anche che la confusione, anche e soprattutto quella della coscienza, non possa esprimersi  altrettanto bene che nel momento in cui invita a commettere il male, a commettere l'ingiustizia, fornendo con l'esempio lo stimolo a fare altrettanto e quindi a diffondere nella società più alti valori ancora di ingiustizia.
Credo che Padre Giuseppe sarebbe d'accordo con me:
cercare giustificazioni teoriche all'esercizio del male e dell'ingiustizia è il principale atto contro Dio!
La semplicità e il rispetto delle leggi e del buon senso, di contro, il miglior modo di lasciare fare a Dio!

venerdì 4 settembre 2015

La squadra

Talvolta ci viene chiesto a quale squadra apparteniamo, con quale squadra stiamo!
In altri termini ci viene chiesto da quale parte stiamo...Ma rispetto a quale parametro, potremmo chiederci?
Magari non lo si chiede apertamente, ma lo si chiede con sistemi non convenzionali, o lo si fa capire...
La cosa in ogni caso personalmente non mi imbarazza, poiché non ho dubbi al riguardo: appartengo alla squadra  che difende la Costituzione, i suoi principii e i diritti che essa esprime.
Ed ancora alla squadra che riconosce nella coscienza e nell'obiezione di coscienza un metodo per la riaffermazione del diritto, dello Stato di diritto e dei principii costituzionali; principii da riaffermare per sé e per gli altri, validi per tutti, senza eccezione alcuna.
Questa è la mia squadra!
Mi trovo per questo forse, in scarsa compagnia, e me ne dispiace.
Ma un tempo non è stato così! C'è stato un tempo infatti in cui la squadra che affermava i principii costituzionali era una grande squadra, fatta di tantissime persone, la maggioranza.
Oggi non è più così pare, anche se a causa dell'esistenza di una sorta di sistema drogato e falsato da tanti fattori (vedi legge elettorale incostituzionale) non ci è dato sapere esattamente i dati reali, e non sussiste più una reale rappresentanza politica.
Ma possiamo chiederci: dove sta la ragione? In chi credeva nell'affermazione dei diritti e dei principii costituzionali o in chi crede che debbano essere cambiati se non addirittura aboliti?
Cosa è cambiato da ieri ad oggi! Molto evidentemente!
Si dirà che non li si vuole abolire ma cambiare, che li si vuole modificare perché vanno aggiornati!
Purtroppo dietro queste affermazioni spesso vi è il puro e semplice rischio di reprimerli senza sostituirli degnamente con diritti equipollenti.
Con quale squadra sto, quindi, l'ho detto, l'ho detto con chiarezza e non è concesso il poter equivocare su tale questione.
E' una posizione chiara. Dall'affermazione dei principii che questa posizione difende, si tutela tutti, senza distinzione di sesso, di religione, di convinzioni politiche, di condizioni sociali ecc. ecc.
In questo senso è una posizione decisamente laica, ma di una laicità che non esclude o non ghettizza chi legittimamente la pensa diversamente o secondo uno spirito anche più marcatamente religioso (che sulla basse dello stesso art.3 della Costituzione ha diritto di albergare) col quale in questo caso non sussistono né divergenze né contrasti.
Infatti la coscienza a cui le religioni in generale e quella cristiana in particolare fanno spesso appello, spinge a quegli stessi livelli di consapevolezza e quindi di scienza che hanno forgiato gli articoli della Costituzione stessa.
Oggi invece si assiste alla perdita della memoria, all'affievolimento della coscienza, all'anestesia morale (vedi Barthes), al tramonto degli ideali, alla distrazione di massa.
E' in questo clima che si vorrebbe mettere mano alla Costituzione, in un clima che non sa più perché quegli articoli sono stati scritti, in un clima in cui non pare proprio di ravvisare una vera legittimazione costituente, lontanissino da un clima costituente, lontanissimo da quel clima che è quello della mia squadra.
Oggi si è lontanissimi da quella cosienza che ha forgiato la Costituzione!
La prudenza di chi si rende conto di questa lontananza dovrebbe farsi sentire maggiormente.
Quella della Costituente descrive abbastanza bene la mia squadra.
E tu, a quale squadra appartieni?


venerdì 7 agosto 2015

Se questo è il nuovo che avanza 2

Vorrei intanto premettere che ho una concezione troppo alta del diritto in generale e dei miei diritti in particolare per regredirli a ruolo di merce di scambio contrattuale.
Chiunque cerchi di arrivare a fare di un diritto, qualunque esso sia (e a chiunque esso appartenga) una merce di scambio, deprime la nozione stessa di diritto nella sua più alta accezione e di fatto mette in pericolo lo Stato di diritto stesso, ed estensivamente tutti i diritti di tutti i cittadini della Nazione in cui lo Stato di diritto in questione trova la sua attuazione, ovvero commette un illecito, un vero e proprio abuso.
E se a commettere un tale abuso è un funzionario dello Stato siamo di fronte ad un abuso di potere.
La colpa di questo abuso è tanto più grave quanto più alto è il grado che riveste il funzionario all'interno dello Stato cui appartiene.
Ciò premesso, completerò il discorso semplicemente dicendo che non rinuncerò alle mie opinioni, neanche quando le si vorrebbe barattare con la non soppressione dei miei diritti.
Sarò piuttosto vero che chi cerca di regredire i miei diritti a merce di scambio, minacciandoli, chi cerca di togliermeli, ne renderà conto, come è normale, scontato e ovvio che sia, a Dio! 

Chiunque proponga uno scambio del genere dovrebbe innanzitutto vergognarsi e poi farsi un esame di coscienza e chiedersi magari che cosa pensa delle proprie opinioni dal momento che ha paura di confrontarsi con opinioni di tenore diverso.
Chi non crede che le proprie opinioni possano resistere ad opinioni di tenore diverso (e magari di tenore opposto) è tentato dall'esercitare qualche abuso affinché queste non vengano espresse e questo intento è già colpevole di per sé e la sua applicazione è un espresso reato.
E poi come potremmo fidarci di qualcuno che teme così tanto opinioni contrarie alle proprie?
Come potremmo essere persuasi dalle idee di qualcuno che è il primo a non credere alle proprie opinioni, tant'è vero che teme di non essere in grado di controbattere alle opinioni critiche contrarie e per questo le ostacola? Chi non ha questo timore le cerca le opinioni contrari per instaurare una dialettica costruttiva.
Ma chi non vuole costruire le ostacola anche minacciando i diritti altrui.

E adesso vorrei proseguire in continuità con l'articolo precedente.
Oggi va in scena il teatrino intitolato "La questione del mezzogiorno" o "la questione meridionale". Ciò di cui il governo non si è occupato dall'inizio del proprio insediamento, si vorrebbe far credere che diverrà oggetto di particolare attenzione nel prossimo futuro e cos' il governo rimanda. Innanzitutto le risposte servono già oggi ed è offensivo per il sud rimandare, un governo efficace, un governo capace le deve trovare subito!
Questo rimandare significa soltanto non sapere da dove cominciare e questo la dice lunga.
Non vogliamo ritocchi concettuali sui sistemi di rilevamento dati, poiché sarebbero probabilmente ritocchi interessati che favorirebbero interpretazioni filo-gvernative.
Ma il ritardo con cui viene trattato questo argomento ha dell'incredibile. Una simile distrazione è inammissibile. I dati sul mezzogiorno sono allarmanti!
Parla li Primo ministro.
Gli sentiamo fare un elenco di cose che c'erano già nel mezzogiorno prima di lui, come potrebbe tutto questo giustificarlo? Non si capisce poi se stia indicando se stesso come responsabile oppure no, dovrebbe sforzarsi di essere più chiaro!
Se è il responsabile ne tragga le conseguenze! Se non è il responsabile ci illumini su chi lo è!
Il discorso è troppo sibillino per capire che cosa intenda esattamente, in certi punti sambra annaspare, sembra incepparsi, sembra fare un passo in una direzione di affermazione di responsabilità, poi ci ripensa e fa due passi indietro, non si capisce francamente! Ma di sicuro non ci sembra un intervento da Primo ministro, di certo non ci sembra un intervento responsabile, di alto profilo politico istituzionale.
Cosa fare per il mezzogiorno? Ma soprattutto siamo certi che questo Governo possa fare qualcosa per il mezzogiorno! Intanto se avesse potuto fare qualcosa per il mezzogiorno lo avrebbe già fatto forse. Inoltre io credo francamente di no, che non possa fare niente e in parte l'ho già spiegato il perché, nell'articolo precedente.
In ogni caso il governo è già schierato e non ci pare che sia schierato col sud Italia, col Mezzogiorno.
Il governo è schierato con l'installando governo delle banche, che ha origine altrove, e forse in quell'Ue del pensiero unico, in quell'Ue della troika che tutti abbiamo imparato a conoscere. Queste politiche sedicenti comunitarie, tutte più o meno filo tedesche (lo abbiamo visto benissimo con la Grecia e solo chi non vuol guardare può non accorgersene), tendono a deprimere tutto il sud Europa, Italia compresa, figuriamoci se non finirebbero per deprimere il mezzogiorno, che è parte dell'Italia, che è il sud del sud Europa.
Se il governo è sintonizzato con queste politiche (e lo è) potrà fare tutte le affermazioni che vuole, sarà sempre incapace di riportare in auge il nostro mezzogiorno, poiché le sue stesse politiche sono rivolte altrove, ad appoggiare questo progetto autolesionistico di desertificazione del Sud Europa!
Del resto lo abbiamo visto proprio in questi giorni che il Governo è sintonizzato con il governo delle banche, con quel governo cioè che questa Ue ci sta preparando e che anzi, ci ha già preparato!
Infatti, mentre gli italiani sono in vacanza, cioè mentre sono più distratti (e questo la dice lunga su quanto ci tengano ad informare i propri cittadini su tali questioni, tanto che si preferisce farle passare in sordina a mo' di controindicazioni o clausole da nascondere con piccolissima grafia e incomprensibile lessico) ecco spuntare il comma che depenalizza il falso in bilancio per le banche e quindi per i banchieri. Anche questo è un déjà-vu che naturalmente parla in modo chiaro: questa è tutta vecchia politica, non ci si può sbagliare.
E il nuovo che avanza? Semplicemente non c'è, almeno per il popolo! Il nuovo che avanza se c'è, c'è solo ed esclusivamente per la classe la politica, per la casta che cerca maggiori privilegi di prima. Nessuna autocriticha quindi, nessuna iniziativa che ne tolga i privilegi, anzi fare politica sarà sempre più elitario.
Ma non erano i privilegi di casta che aggravavano i problemi del Paese?
E il nuovo che avanza non avrebbe dovuto nello splendore del suo percorso illuminato eliminarli questi privilegi?!?
E invece li riafferma e con più forza di prima! Sembra sintonizzato con il peggio di questa Ue, quella che vede la comunità come una specie di medievale monarchia che necessita della sua aristocrazia elitaria e finanziario-centrica.
Anche il ministro Padoan dice che avremo un Italia molto diversa. Probabilmente è vero poiché avremo una Italia molto peggiore, non c'è alcun dubbio, avremo un Italia più debole, più permeabile dalle forze antagoniste esterne, più insignificante, più piccola, maggiormente de-industrializzata (Ansaldo-Breda parla chiaro), un'Italia in cui la lingua italiana sta scomparendo con la complicità del Governo stesso (forse ne saranno lieti, ma ne dubito sinceramentre, gli studenti universitare statunitensi che il Primo ministro dice di non voler deludere), maggiormente succube delle banche, e quant'altro ancora.
Non ricordo obiettivamente in quale collegio elettorale sia stato eletto il ministro Padoan, e non abbiamo avuto neanche il piacere di vederlo giurare sulla Costituzione, un particolare che nessuno ha notato e/o fatto notare, ma quando dice che l'Italia sarà diversa probabilmente non sbaglia, con la precisazione però e con la specificazione che diversa non significa migliore, appunto.
Che il Governo sia sintonizzato col governo delle banche (tanto più forte quanto maggiore è la desertificazione e la de-industrializzazione di un Paese cui vuole estendere il suo braccio) lo si capisce dalla svendita di aziende che fanno profitto, svendita che il Governo appoggia e cha ha operato, svendita che il Primo ministro nel suo discorso odierno ha cercato perfino, ridicolizzandosi, di far passare per una operazione eccellente (???) che avvantaggia il nostro Paese (cosa del tutto assurda per quanto egli speri che gli italiani non se ne rendano conto, tant'è che ha progettato una scuola che forgi cittadini che non siano in grado di rendersene conto!), svendita che è lì a dimostrare in modo assolutamente inequivocabile questa sintonizzazione.
Un governo che con la scusa di riempire i buchi del debito pubblico che lui stesso crea (o artificialmente o per incompetenza di chi lo gestisce, ed è qui che dovrebbero esserci i licenziamenti!), svende aziende profittevoli rinunciando per sempre alla ricchezza che ne deriva, rinunciando per sempre ai relativi introiti e al reinvestimento degli stessi introiti nel territorio, è un governo che è chiaramente schierato a favore della de-industrializzazione del nostro Paese. Come è possibile credere che un governo che de-industrializza il nostro Paese tutto, possa decidersi a risollevare la sua parte tradizionalmente più critica, il mezzogiorno? E semplicemtene impossibile! E' una scelta già compiuta, spiace dirlo ma è così!
Ma secondo questa ipotesi ci potrebbe essere quindi addirittura del dolo. Nella migliore delle ipotesi c'è incapacità, singola e del gruppo! In ogni caso la responsabilità politica è di chi guida! A quale delle due dare credito?
Consideriamo quest'ultima, l'incapacità. Dalle note intercettazioni recentemente comparse sui giornali e in televisione abbiamo sentito bene come l'attuale Primo ministro, prima di diventarlo, abbia tacciato di incapacità il Primo ministro precedente, Enrico Letta. Ci abbiamo messo poco a ricucire il tutto con la storia già nota e a capire che proprio per questa ragione egli abbia insistito molto per farlo cadere e sostituirlo di persona (sostituirlo col nuovo che avanza! Per la serie se il buongiorno del nuovo che avanza si vede dal mattino!). L'attuale Primo ministro con questa azione ha creato un precedente, ha stabilito un criterio, ha gettato la base del criterio di valutazione che, a questo punto deve valere anche per lui!
Il criterio di valutazione è l'incapacità. Ed ecco che i dati dimostrano da molto, molto tempo la sua icapacità.
Adesso il Primo ministro deve avere la coerenza di  applicare a se stesso lo stesso criterio di valutazione che ha applicato per Letta e trarne le debite conseguenze.
Incapacità dopo tutto non vuol dire che un giorno uno non possa essere in grado di divenire capace, e quindi potrebbero esserci nuove occasioni. Nel caso del dolo invece non è assolutamente opportuno che ci siano delle altre occasioni, se l'esistenza del dolo emergesse in tutta la sua evidenza.
Cosa scegliere dunque?
I dati lo giudicano, è un incapace! I dati parlano chiaramente e lui con le sue stesse parole si è giudicato.
Non tergiversi quindi, applichi a se stesso ciò che ha applicato a Letta, ne tragga le debite conseguenze e rassegni le dimissioni!
Ce lo chiede disperatamente il Paese!!!

lunedì 3 agosto 2015

Se questo è il nuovo che avanza...

Le tasse comunali aumentano e ben del 22%, questo perché il governo per farsi bello, annuncia tagli che poi si riversano comunque sui cittadini in un modo o in un altro. Per il governo l'importante è che la notizia dell'aumento (del 22%) segua possibilmente (e di molto) quella dei tagli, notizia, quest'ultima, che il governo stesso ha cercato, come da copione, di capitalizzare a livello mediatico nel modo maggiore possibile.
Ma come il proverbio dice, tutti i nodi vengono al pettine, soprattutto se sono dei mega nodi, come in questo caso, e così oggi che siamo giunti a capire che i comuni sono stati costretti, per via delle scelte del governo, ad aumentare in modo così consistente le tasse, finalmente si possono tirare delle conclusioni, e le conclusioni sono chiare a tutti, cioè che il governo sbaglia, che fa scelte populiste nell'esposizione teorica pubblicitaria, e dannose all'atto pratico, assai gravose per il popolo.
Uno dei vantaggi che il governo pensa comunque di conservare con queste manovre catalogabili come rientranti nel novero di quelle assimilabili al gioco delle tre carte, è che i cittadini se la prenderanno con chi gli è più vicino (così spera!), cioè con il comune, mentre il governo ritiene di rimanere irraggiungibile secondo il vecchio adagio contenuto nella nota canzone popolare che dice: tu sai che i papaveri, ecc. ecc.
E lo sarà sempre più irraggiungibile purtroppo, poiché non consentirà più, nei progetti, alla popolazione di esprimersi con il voto, (conquista che pensavamo inalienabile) sul Senato della Repubblica, per esempio, così come non si può attualmente esprimere sulle province, così come non si è potuto esprimere su questo governo, che non è stato eletto da nessuno.
Ma piuttosto che valutare con spirito critico, con serietà e responsabilità questi dati, invece di fare un mea culpa, che rappresenterebbe quantomeno un atto di responsabilità appunto e di presa visione della realtà, il governo pensa già alla prossima mossa demagogica, quella che gli consentirà, secondo le intenzioni, di sopravvivere al contraccolpo della notizia dell'aumento delle tasse del 22%, e la prossima mossa populistica e demagogica è:
togliermo la tassa sulla prima casa!
Sappiamo da chi proviene l'insegnamento e ne abbiamo già fatto le spese.
Vorrei intanto fare notare che si tratta di una tassa comunale!
Così non solo i comuni sono stati costretti ad aumentare del 22% le tasse, per sopperire al desiderio del governo di apparire bello, almeno per un po', ma saranno certamente costretti ad aumentare ulteriormente le stesse per fare fronte all'ennesima mossa demagogico-populista del governo, per apparire bello, almeno per un altro po'!
E così di apparenza in apparenza il nuovo che avanza distrugge lo stato sociale!
Intanto le tasse comunali aumentano del 22% e questo è un dato di fatto, la disoccupazione nemmeno si ferma (come era stato annunciato tra grida di giubilo - per la serie chi si accontenta gode, soprattuto se chi si accontenta lo fa col posteriore degli altri!), aumenta invece, aumenta ulteriormente, dimostrando in modo assolutamente inequivocabile che le scelte politiche del governo sono sbagliate, controproducenti, lesive, che il Paese va male, che si sta marcando il suo essere sostanzialmente diviso in due tronconi, nord e sud, in modo maggiormente marcato rispetto al passato e siccome i dati hanno parlato il governo si accorge finalmente dell'esistenza del mezzogiorno!
Quanto tempo ci è voluto perché il governo dal suo insediamento si accorgesse del mezzogiorno?
Intanto il nubifragio a Firenze divide sostanzialmente la città in due tronconi, nord e sud (come l'Italia), la linea ferroviaria che si interrompe sempre a Firenze sembra ulteriormente sottolineare simbolicamente questa divisione, il tutto nel giorno in cui la Corte dei conti annuncia questa divisione del Paese, il tutto nella città di cui è stato sindaco il Primo ministro. Ce n'è di materiale su cui riflettere!
Invece il governo che fa? Dice sostanzialmente: mezzogiorno, io che c'entro, io non c'ero! Mi sono distratto, ero tutto concentrato a lanciare l'ultimo messaggino, a cercare l'ultima trovata pubblicitare di questa campagna elettorale permanente! Mezzogiorno, lo sai, è importante messaggiare oggigiorno!
Il governo fa lo sturzzo, mette la testa sotto la sabbia e spera che nessuno lo noti! Spera che nessuno noti che non ha fatto niente per il mezzogiorno!
Ma adesso che anche questi dati parlano a chiare lettere, pensate che adesso farà qualcosa?
Pensate che adesso adotterà delle politiche correttive? No, perché semplicemente non gli è possibile. Il governo è già schierato per quanto riguarda le politiche, ha già scelto, o meglio, si è già fatto scegliere!
Non è possibile purtroppo perché il governo è sintonizzato con le politiche della troika che tendono evidentemente (la Grecia insegna) a spogliare il mezzogiorno d'Europa (di cui l'Italia fa parte) per arricchire il centro-nord dell'Europa, i paesi del sedicente cerchio celtico, che fanno corpo comune, come hanno fatto i governi precedenti. Infatti c'è una stretta correlazione tra questo governo e il governo Monti in particolare! Non solo ma c'è una esatta corrispondenza tra la  storica questione meridionale dell'Italia, secondo quello che ci racconta la storia, oltre che secondo le odierne testimonianze, e la questione meridionale continentale, europea. L'Italia (tutta intera) risulta pienamente nel mezzogiorno d'Europa.
Così come allora il nord Italia desertificò il meridione spogliandole delle sue industrie, così oggi il nord Europa sta facendo lo stesso con l'Italia, la Grecia (e forse la Spagna e il Portogallo), la sta desertificando.
Un governo sintonizzato con queste politiche come potrà contrastarle? E' impossibile! Qualcuno al di fuori d'Italia ha già scelto per il governo italiano che deve soltanto ubbidire!
Le politiche del governo, con le famose riforme, sono pienamente sintonizzate con queste politiche di desertificazione e spoliazione, infatti piacciono tanto alla Merkel, che non si trattiene dal manifestare la sua contentezza quando può.
Se le riforme piacciono tanto alla Merkel, questo vuol dire solo una cosa, cioè che vanno bene per la Germania, e che quindi vanno molto meno bene, o diciamolo pure, che vanno male, per l'Italia.
La Merkel giura sulla costituzione tedesca e fa gli interessi della Germania, il nostro Primo ministro giura sulla Costituzione italiana  e fa gli interessi della Germania e della troika. Notate una qualche differenza comportamentale?
Se le riforme italiane piacciono alla Germania vuol dire che sono positive per la Germania, non per l'Italia, questo è certo!
Infatti distruggere il Senato (oggi della Repubblica, ieri del popolo romano, SPQR) è un sogno tedesco almeno dai tempi in cui gli antichi romani misero piede nelle terre germaniche, sogno rafforzato poi dalla vittoria germanica a Teotoburgo, e rappresenterebbe non solo una rivalsa storica, ma anche l'opportunità di indebolire lo Stato italiano in favore della Germania stessa e della troika!
Allora io credo che dopo aver provato e riprovato adesso non ci sono più scuse per il governo, esso non solo è del tutto incapace a trovare una qualsiasi soluzione ai problemi del Paese, a dargli delle risposte vere e concrete, ma li aggrava ulteriormente questi problemi. I dati sono lì a dimostrarlo, c'è poco da fare!
Abbiamo aspettato con pazienza per vedere il nuovo che avanza, manifestarsi in tutto il suo splendore e, diciamolo pure, non lo si è visto! Questa è tutta vecchia politica, non ci possono essere dubbi al riguardo!
Questo governo è incapace a risolvere i probloemi del Paese, li aggrava soltanto, perché pensa a rafforzare se stesso (come governo, nei suoi membri), e poi la Germania e la troika, piuttosto che a risolverli veramente questi problemi, piuttosto che pensare al popolo italiano, piuttosto che pensare al mezzogiorno.
"Mezzogiorno, aspetta un attimo che devo scrivere il messaggino (e speriamo che piaccia alla Merkel!)".
Del resto chi non ha una platea di elettori a cui rivolgersi, non si sentirà preumibilmente tenuto a rendergli conto. Ecco perché, in generale, non è mai bene avere primi ministri e governi non eletti dal popolo. Chi non ha una platea elettorale a cui rivolgersi sarà tentato di andare a cercare consensi nelle univesità americane, a dire agli studenti di quelle che non li deluderà, come rivolgendosi al proprio corpo elettorale, dimostrando soltanto un considerevole stato confusionale. Una cosa francamente imbarazzante. Certo è che si intuiva molto bene la domanda, quasi scritta a chiare lettere sui volti attoniti e sbigottiti degli stessi studenti statunitensi; la domanda che si poteva leggere era:
"Ma non è il preseidente del Consiglio italiano?!?!?"
Se questo è il nuovo che avanza!
Più che il nuovo che avanza ci sembra oramai abbastanza chiaro - e parlano i fatti, i dati, i metodi, gli atteggiamenti e quant'altro ancora -, che si tratta invece del vecchio che persiste, del vecchio che si è cambiato la maschera, secondo il più consumato decalogo gattopardesco!
Dopo tutto era abbastanza improbabile che il sedicente nuovo che avanza si manifestasse senza delle elezioni politiche! E' ovvio!
Ma adesso bisognerà pure cominciare a pensare ad indirle queste elezioni politiche, prima che questo governo distrugga definitivamente il nostro amato Paese!
Voi che ne dite?


venerdì 31 luglio 2015

Ancora sull'art.3

"E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."


Questa è la seconda parte del'art.3 della Costituizione della Repubblica Italiana (abbiamo visto nel precedente articolo la prima parte). Sappiamo quindi qual'è il compito della Repubblica. Questo compito è un dovere imprescindibile di ogni funzionario dello Stato a qualunque livello si esprima la sua funzione statale. Anche i professori sono funzionari dello stato e lo rappresentanto e devono attenersi a questo articolo. Lo sviluppo della persona umana è per altro uno dei compiti specifici della funzione docente, uno degli obblighi nei confronti del discente. Non esistono eccezioni a questo articolo; non esistono situazione nelle quali è possibile scavalcare l'applicazione dello stesso, la sua applicazione non è a discrezione di chi esercita una relativa autorità sulle varie situazioni di carattere sociale e lavorativo. Esso è un obbligo, senza deroghe e senza eccezioni! Prima lo comprendiamo e megli è!
Cosa potremmo aspettarci dal calpestamento di questo articolo?
Chi contravviene a tale articolo, tradisce di fatto la Repubblica!!!
Se si semina così, cosa potremmo attenderci dal futuro?
Pensiamoci...

giovedì 30 luglio 2015

Gli esempi che distruggono la Costituzione

"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali."

Questa è la prima parte dell'art.3 dell nostra Costituzione della Repubblica Italiana, forse l'articolo maggiormente dimenticato nel quotidiano di ognuno di noi, a tutti i livelli.
Non devono esserci distinzioni di alcun genere tra cittadini e cittadini, eppure sembra talvolta che certe decisioni siano prese esattamente in contrasto con questo articolo, e particolatmente in contrasto alla libertà di opinioni politiche e religiose, quasi a scopo punitivo! L'ingiustizia regna sovrana!
La Costituzione Italiana è un gioiello che non è apprezzato come tale, e chiunque rinunci alla validità degli articoli che la costituiscono e insegnano con l'esempio a fare altrettanto, ne distruggono i principii innanzitutto a livello interiore e conseguentemente anche esteriore, contribuendo così al disfacimento della maggiore conquista italiana di sempre!!!


lunedì 27 luglio 2015

Ancora gli stessi dogmi e le stesse superstizioni di sempre!

Ancora dogmi e superstizioni, sempre gli stessi da anni e anni… Dogmi e superstizioni che se fossero innocui si potrebbero forse anche ben sopportare e tollerare. Purtroppo però non sembrano essere innocui, sono quelli che hanno infatti contribuito a smantellare il sistema industriale italiano nel silenzio assenso di una classe politica non troppo attenta, e sembra clamoroso non essersene accorti per tempo o stentare a rendersene conto ancora oggi. Non ci si smuove da lì, e sembra francamente incredibile!
Con le ultime politiche sembrava che un vento di rinnovamento fosse finalmente giunto a cambiare questa tendenza, la più disastrosa per il nostro Paese, invece i giochi di palazzo (da consumato gattopardo) hanno prodotto il cambiamento che lascia le cose immutate e che anzi le peggiora. La svendita di aziende nazionali importanti della sfera di Finmeccanica è lì a dimostrarlo in maniera inequivocabile, lapalissiana.
E come ci si pone al riguardo?
Si continua ancora col solito dogmatismo, col solito schematismo riduttivo, col solito parlare per enunciati pubblicitari, recentemente per esempio si  sono potute ascoltare opinoini secondo le quali Tsipras essendo un marxista, ha interrotto le privatizzazioni e rinunciato così a miliardi di euro di introiti. A queste dichiarazioni dogmatiche da anni Ottanta vorrei opporre l’opinione di Vladimiro Giacché a proposito di privatizzazioni, con particolare riferimento alla Grecia:
“Quando si deve vendere per forza il prezzo lo fa chi compra e oggi è difficile trovare compratori a prezzi non di saldo. Inoltre, quando lo stato vende aziende profittevoli, si priva per sempre dei relativi introiti.”
Vladimiro Giacché, Il Fatto Quotidiano, 2 agosto 2011 (notare il 2011)
Lo faccio notare (il 2011!) anche perché la data era tale da consentire per tempo una seria autocritica e una rivisitazione (o per meglio dire abbandono) delle politiche di deindustrializzazione che invece sono continuate a oltranza con il nuovo governo filotedesco, acquiescente e taciturno rispetto allo smantellamento del sistema Italia! Eravamo ancora a tempo a impedire l’accesso al potere del nuovo smantellatore e de-industrializzatore per altro non eletto dai cittadini.
Inoltre volevo fare notare che l’opinione di Giacché è un’opinione neutra, di buon senso e non marxista, come ogni pensatore intellettualmente onesto saprebbe facilmente riconoscere. Si potrebbe ancora aggiungere, sullo stesso tenore di quanto detto e riportato sopra, che quando vendi un’azienda, le politiche aziendali le fa colui al quale hai venduto, e quindi anche le politiche di occupazione, o di disoccupazione o magari l’eventuale delocalizzazione o smantellamento dell’azienda stessa se magari l’acquirente è un acquirente estero che ha nel proprio Paese una azienda analoga di cui quella recentemente acquistata è concorrente! Oltretutto se ti privi di una azienda rinunciando a tutto quanto espresso qui sopra ti rendi ricattabile quando si tratta di fare scelte politiche e quando si tratta di legiferare o di prendere altre decisioni, poiché se non piacciono all’acquirente, lo stesso può minacciare delocalizzazioni, licenziamenti o smantellamenti, arrivando di fatto ad esercitare il potere di ricatto se non addirittura di veto, e tutto questo in modo direttamente proporzionale all’importanza dell’acquisto fatto. Se sei quindi un politico che ci tiene alla carriera, come quasi tutti i politici, e se vuoi le tabelle in positivo, in questo clima da campagna elettorale permanente, sei costretto a dargli retta. I ricercatori di ricattabilità aspirano a questo e i dogmi e le superstizioni, sempre le solite, sempre le stesse, rafforzano i ricercatori di ricattabilità, che oggi purtroppo hanno gioco facile.
In televisione vanno di nuovo prepotentemente in scena tutti quei dogmi e quelle superstizioni di cui abbiamo un disperato, assoluto bisogno di liberarci!
Così al mantra “dobbiamo privatizzare per essere competitivi”; o a quello “dobbiamo privatizzare per ridurre il debito pubblico”, dovremmo oppore il mantra veramente virtuoso di Giacché quello che dice che quando ”si deve vendere per forza (o privatizzare per forza, parentesi mia), il prezzo lo fa chi compra e oggi è difficile trovare compratori a prezzi non di saldo."
Dovremmo saper opporre altri mantra virtuosi, se vogliamo veramente una rivoluzione culturale (che è possibile ma non scontata), e saper citare al momento opportuno, ricorrendo sempre a Giacché in questo caso che "quando lo stato vende aziende profittevoli, si priva per sempre dei relativi introiti.”  
Così alla Grecia vorrei dire di non cedere al ricatto delle privatizzazioni, per le ragioni qui sopra espresse, per non privarsi per sempre dei relativi introiti e della possibilità di dettare le politiche economiche e aziendali!
Per quanto riguarda l’Italia ciò che si può dire è che, fatta salva qualche eccezione, o cominciano a circolare opinioni di tenore diverso nel panorama mediatico oppure il popolo sarà condannato all’ignoranza, ad istupidirsi progressivamente sempre più e a ripetere come un mantra non virtuoso cioè un puro e semplice tormentone istupidente i soliti dogmi e le solite superstizioni, sempre le solite, sempre le stesse. E a chi cerca di togliere dal panorama mediatico quelle rare opinioni in controtendenza vorri dire: dietrofront!
Altrimenti dovremmo assistere ancora per altri venti anni all'andare in scena degli stessi dogmi e delle stesse superstizioni, quelle che labergano nel mondo finanziario o politico-finanziario (poiché fanno la fortuna dei pochi a danno dei molti), quelle che stanno creando problemi a non finire, danni incalcolabili a livello sociale, fratture, sucidi di imprenditori, disperazione diffusa, quelle che stanno impoverendo il Paese, quelle solite di sempre, trite e ritrite, sempre le solite, sempre le stesse...


domenica 26 luglio 2015

Questioni di mantra?

Se passa il concetto secondo il quale un gruppo finanziario internazionale in nome di un credito rispetto ad uno Stato assume il diritto di decidere le riforme dello stesso Stato sovrano, qua si va ad incentivare un poco virtuoso metodo che potremmo definire dell'indebitamento programmato. Infatti il concetto che passa e che viene implicitamente avallato è che indebitare dà potere! Lo stesso gruppo infatti sarà tentato di fomentare politiche che indebitino lo Stato in questione (come resistere a una tale tentazione?), qualunque esso sia, politiche che lo indeboliscano e lo rendano ricattabile a tal punto, da cedere a qualsiai richiesta. Sarà tentato di fare questo piuttosto che di aiutarlo ad emergere dalla crisi. Infatti la crisi offre la possibilità di invadere politicamente quegli spazi, la sua soluzione no!
Per questo è giusto chiedersi se le politiche adottate fino a questo momento, per esempio in Grecia, siano state politiche adatte a risolvere i problemi della stessa Grecia, oppure no!
E' giusto o non è giusto chiederci se è legittimo sospettare che certe politiche di riforme possano essere pensate non tanto per il bene di un Paese, quanto piuttosto per renderlo ricattabile ad oltranza!
Così, indipendentemente dagli esiti più recenti delle vicende politiche in Grecia, quello che emerge in modo assolutamente chiaro dalle battaglie democratiche che in questi giorni lì vi si sono condotte e vi si sono combattute, è che c'è un punto centrale su cui porre l'attenzione e in sintesi questo punto può essere espresso da una domanda:
é giusto e legittimo consentire ad un'organizzazione finanziaria di decidere le politiche interne di uno Stato sovrano, oltrepassando qualsiasi legittimazione democratica e scavalcando gli organismi interni dello stesso, quelli democraticamente eletti e preposti a rappresentare il popolo e a prendere decisioni?
E ancora: tutto questo è giusto ed è legittimabile in nome di un credito che si vanta su quello Stato?
Occorrerebbe spendere molto più tempo a discutere di queste questioni, a sviscerarle in ogni dettaglio, per capire bene la situazione e formarsi una opinione certa.
Ma io credo che su tali questioni nessuno si sia espresso fino ad oggi con tanta chiarezza quanto quella attraverso cui si è espressa la Dott.ssa Lidia Unidemi, che cito da Omnibus del 30 giugno 2015 e che sottolineerei tre volte:

"Qua è in gioco la sopravvivenza della Democrazia nei Paesi dell'eurozona. [...]Se pensiamo che dei creditori, in nome della restituzione di un prestito, possano di fatto sostituirsi a un governo democraticamente eletto [...], e possano quindi decidere le riforme per il popolo (che sono state le disastrose politiche di austerità) allora dico che ancor prima di parlare di soldi, affrontiamo la questione centrale, cioè, che attraverso gli interventi della troika, in qualità di organizzazione finanziaria internazionale, si sta cercando di delegittimare un governo democraticamente eletto, per imporre delle riforme che non passano attraverso il sistema democratico interno"

Questo è il punto esattamente centrale!!! In mezzo a tanti proclami, a tanti mantra che ci vengono propinati (da ce lo chiede l'Europa a ce lo chiedono i mercati, ecc.ecc.) a tanti dogmi e a tante supersitizioni, in mezzo a tente opinioni che vengono spacciate per verità assolute (soprattutto in campo economico!) ma che in effetti poi sono solo opinioni, credo che sia bene oppore un'altra visione che è quella espressa con grande chiarezza qua sopra. Di fronta a tanti mantra (ma sempre più o meno gli stessi) è bene impararne altri, maggiormente evoluti, magari imparandoli a mente, per sostituirli gradualmente agli altri.
Quando una questione è così chiaramente espressa, ed è così centrale, vale la pena di impararla alla lettera, e di opporla, quando capita, alle questioni che trattano tali argomenti. Solo così si potrà diffondere una nuova coscienza sociale condivisa e di carattere europeo. Così non credo che me ne vorrà la Dott.ssa Lidia Undiemi se invito tutti ad imparare il significato, di quanto espresso sopra, ma contestualmente anche il significante, che è così bene strutturato, cioè il sistema di segni e di parole usati per esprimere quel significato, anche imparandolo a mente. I mantra sono potenti ma alcuni non sono virtusi né veritieri. Altri sì. Occorre sostituire a quelli meno virtusi, mantra che lo sono maggiormente o, come in questo caso, che lo sono del tutto! A volte un mantra lo si sostituisce solo con un altro mantra!