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sabato 27 febbraio 2021

Scuola e processo generale di perfezionamento umano

Alla scuola è stato affidato da sempre un compito importantiissimo, quello dello sviluppo intellettivo dei giovani e in generale della persona, il che coincide per certi versi anche con lo sviluppo fisico e motorio, giacché ci sembra ragionevole accettare il nesso psicosomatico che nella nostra tradizione viene sottolineato degnamente dalla locuzione latina, mens sana in corpore sano. Potremmo poi aggiungere il compito dello sviluppo emozionale che, per quanto distinto naturalmente, è legato a primi. Quindi il ruolo della scuola, al più alto grado, è quello di sviluppare la persona, per renderla un individuo propriamente detto. Giova ricordare a questo punto che individuo ha una accezione etimlogica molto significativa, cioè significa non diviso, indivisibile. E questo ci fa subito pensare a quell'espressione sovente usata di uomo tutto d'un pezzo. Ora, nel naturale processo di cambiamento inerente la società in generale, viene ovviamente coinvolta anche la Scuola. Solo che spesso si guarda ad essa come a un ricettacolo passivo dei cambiamenti, con la sola funzione di adattarvisi per insegnare, si dice, cose in sintonia con il cambiamento dei tempi. Al cambiamento insomma, qualcuno pensa, ci si debba adeguare e basta. Invece non è così perché la scuola non solo non è un semplice ricettacolo di influenze esterne, essa, se è vitale, se è in salute, è al contrario capacissima di imprimere cambiamenti alla società in cui alberga, di formulare critiche, proposte, alternative. Una scuola pensata semplicemente come ricettacolo passivo di influenze esterne, cioè una scuola che rinunci al mandato di imprimere cambiamenti migliorativi alla società in cui alberga, semplicemente non sarebbe più una scuola e tenderebbe a somigliare progressivamente sempre più e quasi esclusivamente ad una caserma di addestramento piuttosto cha ad un luogo di apprendimento. Asserire che essa debba semplicemente adattarsi ai cambiamenti passivamente, è quindi un modo ben riduttivo di guardare a questo fondamentale ente dello Stato. E l’impressione istintiva che se ne ricava è quella che, chi guarda in modo così riduttivo alla scuola, è perché possiede un vizio di fondo a cui si vincola, cioè ha proprio in mente la riduzione, nel senso che pensa già come impostazione base personale, di ridurla, di ridimensionarla per qualche scopo che non ci è dato sapere, insomma ha in mente di depotenziarla, il che significa inficiarne il ruolo di principale ente pubblico cui è demandato l’irrinunciabile e importantissimo ruolo di innescare processi virtuosi del perfezionamento dei giovani in particolare e umano in generale. Verrebbe così a cadere il principale strumento di questo cambiamento migliorativo complessivo con grave danno per tutti. Responsabilità educativa oggi, significa prendere coscienza di tali questioni e anche mettere in discussione i cambiamenti in atto e, se è il caso, proporre alternative, migliorìe, correttivi, imprimere cambiamenti migliorativi alle dinamiche in atto. Chi scrive pensa che sia il caso, naturalmente. Se vogliamo che la Scuola con la esse maiuscola mantenga un ruolo primario nel processo generale di perfezionamento umano, dobbiamo necessariamente affrancarla dal rischio di perseguire altri fini, diversi da quelli menzionati. E il pericolo c’è, è molto presente purtroppo, in una società che sembra acriticamente adiacente al neoliberismo imperante, cioè a dinamiche che tendono a concentrare la ricchezza nelle mani di pochi. E non si intravede quella redistribuzione di cui si diceva dovesse essere il punto di riequilibrio, quello che avrebbe dovuto servire cioè a stemperare gli eventuali squilibri generati dal sistema neoliberista che evidentemente già si intuivano. Immettere nella scuola dinamiche estranee al processo di crescita e sviluppo psicofisico e intellettivo del giovane in particolare e della persona in generale, dinamiche come quelle economiche del profitto, con il ricorso a società private scelte, nell'ambito del digitale, nientemeno che tra i GAFAM,i grandi gestori dei dati, non è certo una scelta priva di rischi. Con il recente ricorso massiccio al digitale quindi c’è stata nella scuola italiana quasi una acritica e completa adesione all’uso di piattaforme proprietarie. In seguito a questa acritica adesione, c’è anche il rischio, tra gli altri, di una maggiore manipolazione per fini politici dei dati ricavabili da un eccessivo ed eccessivamente spensierato impiego del digitale. Lasciare libero spazio ed anzi vincolarsi a dinamiche di perseguimento del profitto pecuniario in ambito scolastico, non sembra essere stata la scelta migliore. Né si deve pensare che quelle appena citate, cioè la piattaforme proprietarie, siano le uniche soluzioni possibili, le eccezioni in Italia sono poche, però per fortuna ci sono e poi ci sono anche esempi di possibili soluzioni alternative alle piattaforme proprietarie forniti da altre nazioni che, a differenza di noi, le hanno adoperate più estesamente, dimostrando in questo una maggiore attenzione nei confronti dei propri studenti e cittadini, affrancandoli dal rischio di immettere dinamiche di profitto nelle scuole e dal rischio di furto di dati personali, nazioni che da questo punto di vista si stanno dimostrando civicamente più sviluppate di noi e doverosamente più aderenti al mandato della propria specifica Costituzione di quanto non abbiamo aderito noi alla nostra, nel complesso. L’idea di una piattaforma digitale pubblica per la Scuola deve quindi necessariamente essere presa in considerazione, le competenze per fare questo ci sono, è sufficiente cercarle e tirare fuori le giuste sinergie. Ed è sempre meglio stare affrancati dal rischio di subire condizionamenti che possano ledere lo scopo principale che una scuola pubblica deve perseguire, quello di creare un individuo propriamente detto, cioè libero e capace di sviluppare un pensiero autonomo e indipendente, costruttivamente critico, non condizionato, giacché solo persone di questo tipo, cioè dotate di un pensiero simile, ossia autonomo e non condizionato, possono liberamente attingere alla propria coscienza, ragionare senza altri fini che non siano quelli di apportare un accrescimento personale ed auspicabilmente collettivo nel generale processo di perfezionamento del genere umano di cui abbiamo accennato e di cui tanto abbiamo bisogno per affrontare le sfide del fututo. Se i potenziali condizionamenti, diventano dipendenze, ci si dovrà pur chiedere che senso abbiano avuto le riforme che andavano verso l’autonomia scolastica in un quadro generale che corre repentinamente verso la dipendenza. Come scrissi in un saggio redatto per un corso che ho seguito allo scopo di incrementare le mie competenze di potenziale futuro insegnante di Arte e immagine e Disegno e storia dell’arte, l’autonomia in un contesto di dipendenza è inutile, non serve, ed anzi viaggia ovviamente nella direzione diametralmente opposta. La didattica a distanza si è manifestata fallimentare sotto moltissimi punti di vista Numerosi sono stati gli appelli di medici di varie discipline, i quali hanno riscontrato conseguenze molto gravi sulla salute dei ragazzi di età scolare, determinate in questi giovani dal generale stato di confinamento e nello specifico dall’uso della didattica a distanza appunto a cui la serrata, il confinamento per emergenza da nuovo coronavirus ha costretto la scuola. Dunque la Did a Dista si è mostrata fallimentare e, peraltro, presta il fianco ad un ulteriore tipo di potenziale degenerazione, offrendo a buon mercato dati di insegnanti e alunni che potrebbero essere usati, un giorno, contro gli insegnanti e gli alunni stessi. Dobbiamo acquisire già da adesso, infatti, la consapevolezza di quello che è ritenuto essere, per taluni detentori di potere, un principio cardine nell’approvvigionamento e nella gestione dei dati, quello in base al quale i dati si prendono tutti e poi si stabilisce con calma quali sono quelli che serviranno a raggiungere un determinato scopo in base alle proprie decisioni arbitrarie. In pratica questa didattica fallimentare pone le premesse per un peggioramento qualitativo della vita di chiunque ne usufruisca, insieme ovviamente a tante altre dinamiche di cui non è possibile discutere in questo momento. C’è quindi un problema generale legato al digitale ed alla didattica digitalizzata, non semplice da risolvere. Certo è che per non incorrere in clamorosi errori di valutazione, la gestione delle moderne tecnologie applicate alla scuola dovrebbe essere improntata alla prudenza ed al principio di precauzione, e dovrebbe essere fatta in modo tale da scongiurare al massimo grado possibile l’esfiltrazione dei dati di chi volente o nolente ne fa uso. Come aveva già indicato Antonello Soro, prima dello scadere del suo mandato di Garante dei dati personali, nel corso dell’audizione tentua l'8 luglio sulla didattica a distanza davanti alla Commissione bicamerale per l’Infanzia e l’adolescenza, nella didattica a distanza appunto, sarebbe auspicabile utilizzare più il registro elettronico, già non privo di aspetti critici, che non le piattaforme proprietarie. Sono stati seguiti i suoi suggerimenti? NO. Perché una voce così autorevole e responsabile è stata ignorata? Adesso alla tutela dei dati personali vi è Pasquale Stanzione che ha affermato nella prima intervista rilasciata come il GDPR è da ritenersi garanzia democratica, lasciando intendere che la sua gestione può ritenersi in sintonia con quella del predecessore. A suffragare la tesi di un mandato in sintonia col predecessore, in un convegno di poco successivo il cui nocciolo della questione verteva sull’Habeas mentem, lo stesso Stanzione ha dichiarato esplicitamente di inserirsi nel solco della tradizione del ruolo del Garante dei dati personali, citando quindi le figure di Stefano Rodotà, Francesco Pizzetti, Antonello Soro quali suoi autorevoli predecessori. GDPR è un acronimo che può essere italianizzato con RGPD, cioè Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati. Giova soffermarsi su questo regolamento poiché, a prescindere da quelle che sono opinioni critiche personali sull’uso delle piattaforme proprietarie, nel luglio del 2020 c’è stata una storica sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha cambiato il panorama complessivo, avendo inficiato il protocollo di intesa sul trasferimento dei dati tra Stati Uniti e Europa. Quindi la questione del trattamento dei dati attraverso le piattaforme proprietarie adesso supera le opinioni personali per approdare a questioni precipuamente legali. In pratica la sentenza stabilisce che i dati che passano dagli USA non possono essere salvaguardati alla stessa stregua di quelli che rimangono nell’Unione europea, di quelli cioè salvaguardati da quel Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati di cui abbiamo parlato e che Pasquale Stanzione ha citato come avente il pregio di garantire la Democrazia. A chi sta a cuore la Democrazia, deve stare a cuore anche la protezione dei dati, la riservatezza. Esse sono più correlate di quanto non appaia in un primo momento. In generale sviluppare una cultura della riservatezza significa riconoscere alla riservatezza stessa un ruolo importante nel contribuire a mantenere alta la Democrazia e autonomo un pensiero che può essere potenzialmente capace di apportare un beneficio collettivo, nel generale processo di perfezionamento del genere umano. Altrimenti il rischio è che attraverso il condizionamento derivante da un uso arbitrario dei dati lasciati in rete, il pensiero venga manipolato e intrappolato, gestito dall’esterno con dinamiche psicologiche anche di tipo violento, avendo queste ultime dal punto di vista di chi le vorrebbe esercitare, il pregio, si fa per dire, di non essere facilmente rintracciabili, identificabili ed additabili come dinamiche violente e perciò stesso non solo sono oggettivamente deprecabili da un punto di vista umano, sono direi del tutto illegittime e configurabili come reati da codice di procedura penale, cioè gravi reati. L’Italia potrà conquistarsi un ruolo primario nel generale processo di perfezionamento umano solo se saprà mantenere indenne la scuola dai rischi di un feroce condizionamento, derivante sia dal perseguimento del profitto, che dall’intento di condizionare ora e poi i cittadini nel maggior numero di ambiti possibile, in base ai principi poco edificanti e alle dinamiche perverse del condizionamento di massa e di quello individuale, per il quale i dati lasciati in rete e carpiti spesso surrettiziamente, per non dire in modo espressamente fraudolento, e quasi mai sufficientemente salvaguardati, rappresentano una ghiotta occasione. Dalla didattica ordinaria a quella della Did a Dista abbiamo appurato un peggioramento qualitativo evidente, sotto gli occhi di tutti, è inutile nasconderselo. In ogni caso il salto è eccessivo. Rifacendosi nuovamente alle locuzioni latine si può affermare che natura abhorret saltum o, se preferite, natura non facit saltus. Lo stato di emergenza ha invece determinato un salto, un brusco cambiamento, eccessivo da sopportare e tale da non aver consentito di valutare pienamente le possibili conseguenze di determinate scelte come quelle che hanno fatto protendere per le piattaforme proprietarie anziché verso piattaforme pubbliche o libere. Questo ha determinato il porsi fuori dalle condizioni del GDPR o RGPD, se preferite. Ciò è particolarmente vero dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea dell'ultima estate. Aver ricorso alle piattaforme proprietarie, qualcuno ci fa notare giustamente, è un po’ come aver costruito i tetti con l’eternit quando ciò era legalmente consentito, e adesso, dopo la sentenza, l’eternit è proibito. Cosa fare? Era certamente meglio aver dedicato un maggiore spazio alle critiche costruttive che taluni insegnanti e associazioni, nonché lo stesso garante per il trattamento dei dati personali, avevano mosso a suo tempo. Dal canto suo, la Scuola italiana, per mantenersi utile in quel processo generale di perfezionamento umano che abbiamo spesso citato, alla luce dei cambiamenti indotti dall’emergenza coronvirus, deve innanzitutto cercare di arginare con ogni sforzo possibile la deriva digitale, l’associata esfiltrazione dei dati personali, perseguendo innanzitutto un doveroso rientro nell’ambito della legalità, e cercando di implementare piattaforme digitali pubbliche aderenti al GDPR. Se i problemi nella gestione dei dati personali in ambito digitale probabilmente sussisteranno sempre, nondimeno dovremmo perseguire già da adesso e con autentica dedizione civica, la migliore gestione possibile nella difesa del diritto alla riservatezza e alla salvaguardia dei dati personali, come bene collettivo e condizione indispensabile, conditio sine qua non, per il mantenimento di alti livelli democratici e non di meno per lo sviluppo del mondo futuro nella direzione del generale perfezionamento. Sarebbe quindi estremamente auspicabile che si cominciasse da subito a pensare di rientrare sotto l’egida della salavaguardia del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati che, come dice appunto Pasquale Stanzione, È GARANZIA DEMOCRATICA!!!