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domenica 21 aprile 2013

Alla luce degli eventi

Nel post intitolato 'Cose che un governo dovrebbe tenere presente'(espressione un po' impropria per dire in realtà: cose che si dovrebbero tenere presenti per la formazione di un governo) facevo notare come, dal mio punto di vista (e quindi limitato quanto si vuole, ma legittimo come qualsiasi altro punto di vista), si dovessero tenere presenti principalmente alcuni fattori e ne avevo elencati tre, ma dandone altri per scontati, e forse non avrei dovuto.
Quindi oggi potrei dire, rettificando parzialmente, aggiornando o per meglio dire integrando, allo scopo di essere maggiormente esaustivo che di fattori particolarmente significativi da tenere presenti, dopo il risultato elettorale se ne potrebbero annoverare pertanto tre o quattro e sono: a) la sostanziale vittoria della coalizione di centro-sinistra ( di cui sappiamo a chi va il merito; b) l'affermazione del movimento cinque stelle ( prima forza politica in Italia); c) il no all'austerità; d) la sostanziale sconfitta dei 'tecnici'.
Anche adesso che è stato confermato il Capo dello Stato, e non sussiste lo stato di incertezza dovuta all'incognita della successione, questi fattori non hanno perso la loro veridicità e la loro rilevanza, e non dovrebbero essere ignorati nella formazione di un governo. Sarebbe come ignorare la voce del popolo sovrano!
Oltretutto, per fornire un quadro ancor più esaustivo, bisogna integrare questi dati con altri dati ancora, possibilmente, ed in particolare a mio avviso con uno che appare molto significativo.
Bisogna considerare infatti che mentre PD e PDL hanno comunque giocato una partita di cui hanno potuto scrivere le regole, il movimento cinque stelle ha giocato una partita con regole scritte da altri, ha giocato cioè, in un certo senso, in trasferta una partita che gli altri hanno giocato in casa. Mi riferisco ovviamente alla legge elettorale. In altri termini il movimento cinque stelle è divenuto la prima forza politica del paese nonostante abbia giocato una partita con regole che non ha potuto scrivere e che invece sono state scritte dai suoi antagonisti politici i quali hanno disegnato le stesse regole presumibilmente, per così dire, a loro immagine e somiglianza, cioè a dire sulle proprie caratteristiche. Se, per esempio, la legge avesse previsto il premio di maggioranza non per la coalizione, ma per il singolo partito (o movimento) vincente, adesso avremmo una Camera dei deputati con una maggioranza assoluta a cinque stelle. E questo dovrebbe fare molto riflettere.
Nelle richieste di responsabilità spesse volte ascoltate, anche recentemente, immagino sia pacifico, far rientrare anche la responsabilità di assumere il più ampio numero possibile di elementi veridici sul dato elettorale, così come dovrebbe rientrarvi quella di accettarli di buon grado come tali il più obiettivamente possibile e questo ovviamente nel primario interesse dello Stato ed in ossequio al popolo sovrano.
E'un momento molto difficile obiettivamente parlando per il paese ed è chiaro che c'è una certa difficoltà da parte di molti, forse di tutti, a comprendere esattamente quello che stà accadendo.
La tensione è palpabile e molto alta ed avere una chiave di lettura potrebbe costituire un elemento molto utile per stemperarla. Per questo il nostro auspicio è che si tenga presente tutto questo e che si affrontino le nuove consultazioni senza schemi precostituiti, ma a partire da una situazione, diciamo così, di reset da un lato e di profonda rilettura del dato elettorale dall'altro.

Detto questo, credo che non siano in pochi quelli che probabilmente si stanno chiedendo se per caso non sia stato un errore quello di non aver appoggiato un eventuale governo di centro-sinistra da parte del movimento cinque stelle.
Capisco ovviamente i proclami in campagna elettorale, tutte quante le difficoltà del caso e personalmente le stavo analizzando, non senza qualche difficoltà, in un post che avrebbe dovuto essere publicato nel blog giorni addietro.
Il fatto che poi non sia stato pubblicato la dice lunga sulle difficoltà personali incontrate nella redazione dello stesso, e sugli scrupoli che mi sono fatto.
Sono stato molto indeciso infatti e poi ho lasciato perdere. Si sarebbe intitolato:
'Fare e pentere o starsi e pentersi?' La frase boccaccesca edulcorata dei significati connotativi  che il suo contesto gli conferirebbe, e reinterpretata inizialmente nel più denotativo e letterale dei significati, per poi traslarne il senso su un piano metaforico relativo all'attuale situazione politica, avrebbe dovuto suonare abbastanza eloquentemente così: il rischio che si correrebbe appoggiando un governo di centro-sinistra probabilmente non è dissimile ( se non addirittura inferiore ) da quello che si correrebbe non sostenendolo.
Tale che probabilmente il gioco vale la candela.
I motivi dell'indecisione erano scritti nel post stesso. Scrivevo per esempio:

'L'arrivo in parlamento del movimento cinque stelle rappresenta veramente per molti cittadini italiani non solo un elemento di novità ma anche e soprattutto un elemento di grande speranza.
E Dio solo sa cosa questa speranza rappresenti per tutte queste persone, un'autentica manna dal cielo. E' chiaro che le novità per loro natura presentano anche delle incognite e quindi non possiamo giudicare a priori ma possiamo solo aspettare e vedere che cosa succede nel corso della legislatura.
In ogni caso è un fenomeno da osservare con grande rispetto e con grande attenzione.
Ma proprio per la speranza che esso rappresenta, nessuno di coloro che si affidano a questa stessa speranza, immagino, vorranno mai incrinare, neanche lontanamente, il potenziale che esso sembra poter sprigionare, anche semplicemente in termini propositivi. 
Ed è per questo che, per un qualsiasi osservatore, diventa molto difficile in questo momento, e perfino imbarazzante, da un certo punto di vista, pensare di poter offrire anche soltanto degli  spunti di riflessione al movimento.
Da un lato può sembrare presuntuoso, dall'altro subentra un timore, quello di fare la cosa sbagliata, che trova una sua giustificazione nel momento in cui pare di assistere a qualcosa di più di un semplice tentativo di creare divisione all'interno dello stesso.
Perchè mai, infatti, sarebbe difficile offrire degli spunti di riflessione se non fosse per il fatto che si comincia ad avvertire la sensazione che un qualsiasi spunto di riflessione possa sortire l'effetto indesiderato di creare tensioni e divisioni?
E quali tecniche, per altro, abbia sviluppato l'eristica, cioè la famosa arte di ottenere ragione (termine che in questo caso uso estensivamente come simbolo di ogni tatticismo politico) anche per essere in grado di dividere, nel corso della storia della politica, non oso nemmeno immaginarlo.
Ma è logico supporre che queste tecniche probabilmente si siano sviluppate e affinate nel corso del tempo.
Per questo sembra trovare una sua giustificazione e una sua legittimazione un atteggiamento, per così dire, difensivo ( da parte del movimento) e trovo che anche questo atteggiamento debba essere rispettato.
Ma appare anche evidente che motivi per essere reticenti e indecisi rispetto alla pubblicazione di certi post ce ne sono eccome.'

Ecco in sostanza spiegato il motivo della mia reticenza che ha finito per indurmi a non pubblicarlo.
Ed aggiungevo ancora nello stesso:

'Oltretutto il movimento cinque stelle è nuovo all'esperienza parlamentare e quando una esperienza è completamente nuova ci sono sempre tante cose da assimilare e ci si può sentire disorientati, e i tempi di assimilazione rispetto alle novità possono essere anche estremamente soggettivi così da variare appunto da soggetto a soggetto, e così da creare una sorta di diacronia, ossia di assenza di sincronia, tra i vari componenti del gruppo, sì da dare l'impressione di un sensibile, ancorché temporaneo, scollamento, il che può rappresentare un qualche pericolo per chi cerca di fare leva proprio sulla coesione interna come elemento di forza.
E per trovare coesione interna si ricorre anche all'arma della coerenza, che in sé rappresenta certamente un valore e una qualità, in generale, e non un difetto ovviamente, e questo va riconosciuto. Ma dovremmo anche chiederci, ritengo, quasi con metodo e spirito strutturalista, se per caso non possa sussistere un livello di coerenza soggiacente o maggiore, in altri termini se non sia possibile essere coerenti ad un livello diverso, magari più profondo, il che potrebbe aprire a varie interpretazioni il significato del concetto di coerenza.
E' una questione difficile...'

E lo si può ribadire che è difficile!
E' chiaro che finché uno scrive pensa sempre di trovare il modo di pubblicare ciò che scrive, soprattutto nel proprio blog, altrimenti non scriverebbe, ma l'indecidione era reale e quindi ad un certo punto quando avevo la sensazione di poter vincere le varie reticenze mi ero spinto a dire:

'Forse, malgrado tutto, un tentativo di offrire spunti di riflessione potrebbe essere fatto dal momento che in fondo in fondo, comunque vadano le cose, è difficile pensare di poterle peggiorare soltanto per questo, visto anche che, qualsiasi sia lo spunto di riflessione, per non dire il suggerimento da offrire, il movimento sembra capacissimo di meditarlo a modo proprio di accettarlo o rifiutarlo senza problemi, nel reciproco rispetto delle parti.
Ma se andiamo a vedere quali sono le caratteristiche positive che il movimento cinque stelle ha saputo manifestare e che gli sono così connaturate e che, ancora, gli hanno permesso di distinguersi e di accattivarsi una vasta parte di consensi tra la popolazione italiana possiamo certamente annoverare tra queste la grande flessibilità e apertura al confronto, non solo tra gli iscritti, ma direi anche a persone esterne al movimento.
Questo è ciò che si è percepito dall'esterno.'

E dopo questo mi accingevo a dare una lettura del problema , quindi aggiungevo:

'E' così quindi che, come cittadino italiano ed europeo, e sotto l'invito della Costituzione della Repubblica Italiana, ma anche sotto l'invito di chi chiede partecipazione e concorso di idee, che mi accingo ancora una volta con serenità e pacatezza, pacificamente e democraticamente, rispettoso del movimento, delle altrui opinioni ma soprattutto di chi le esprime, ad avanzare qualche timido spunto di riflessione su una delle questioni che hanno tenuto banco subito dopo le recenti elezioni, quelle della formazione di un eventuale governo di centro-sinistra e dell'eventuale appoggio allo stesso da parte del movimento cinque stelle.'

Poi si entrava nel vivo del discorso:

'Ora, la scelta di non collaborare alla creazione o al sostegno di un governo definito 'dei partiti' da parte del movimento cinque stelle è una scelta che sembra a tutti gli effetti ragionata e non dettata da un generico odio o da un cieco punto di vista privo di argomentazioni, tale che nel momento in cui dovessero cadere le ragioni che la determinano, dovrebbe, almeno a livello teorico, rendersi possibile una qualche apertura.
A livello teorico...
E quali sono le ragioni che la determinano?
Su questo c'è una posizione abbastanza chiara e netta, direi, da parte del movimento cinque stelle.
Essi dicono sostanzialmente che non possono appoggiare un 'governo dei partiti' poichè sono gli stessi partiti ad aver portato l'Italia nelle attuali condizioni.
La domanda che segue è: e se ci fosse una qualche apertura da parte dei partiti a riconoscere o ad ammettere qualche responsabilità, per non dire qualche specifica colpa, nell'aver determinato scelte che magari si sono rivelate sbagliate?
'Sento che potrei essere tacciato facilmente di ingenuità, ma ci sono molte esperienze umane che ci dimostrano come dall'incontro di due mondi, di due piani o realtà, diciamo in generale di due essenti, nasca sovente una trasformazione per entrambi che, forse non sempre, ma spesso, rappresenta un miglioramento, una evoluzione.'

Oggi, diffidando chiunque dallo strumentalizzare queste idee per scopi per i quali non sono state pensate, potrei corroborare questa tesi integrando questo concetto col ricorso ad autorità del campo scientifico, particolarmente della ricerca psicologica della gestalt come per esempio F.Perls, R.F. Hefferline, P.Goodman, che ci spiegherebbero come dal conflitto, dalla diversità, spesso ci si muova verso una soluzione creativa ottimale. Essi ci potrebbero spiegare come in un rapporto creativo, per esempio tra persone, il punto di partenza per evitare un rapporto nevrotico è essenzialmente determinato dal contatto tra le persone stesse o, in altri termini dall'accettazione del gioco, non dalla diversità dei soggetti o delle proposte in campo. E che da questo contatto si potrebbe produrre collettivamente un risultato migliore di quello cui si potrebbe pervenire dalle singole idee di partenza. Fermo restando, questo lo aggiungo io e senza doppi sensi, che nell'ambito del possibile è possibile anche rifiutare il contatto, e che nell'ambito del diritto è un diritto poterlo rifiutare.
Sarebbe un discorso lungo da affrontare, ed io non voglio assolutizzare idee che necessiterebbero di essere approfondite attentamente, ma anche senza assolutismi, è facilmente intuibile che si danno numerosi casi in cui queste idee sembrano potersi applicare.
Così proseguivo:

'In ogni caso, chiunque ritenga di essere nel giusto dovrà pur tentare di spiegare agli altri la propria verità, e offrire ai propri potenziali interlocutori l'opportunità di aggiornare il proprio punto di vista col confronto delle idee.
Ma ritengo anche, che l'attuale posizione del movimento cinque stelle possa essere improntata ad una sorta di tattica politica a lungo termine, tattica probabilmente predeterminata, nel qual caso, molti dei discorsi precedentemente fatti perderebbero di consistenza.
Massimo del rispetto. Ma nel frattempo?
Esaminando la situazione anche da un punto di vista molto 'a cinque stelle', l'Italia, nel frattempo non sarà riconsegnata esattamente nelle mani  di coloro che il movimento stesso addita come i responsabili dell' attuale stato in cui versa il Paese?
E allora non sarebbe forse meglio tentare di cambiare il Paese fin da subito entrando in diaolgo,  (per aspro che possa essere) con la coalizione che ha vinto le elezioni (ma non in modo numericamente risolutivo) rischiando forse qualche cosa sì, ma rischiando anche di poter cambiare in meglio la stessa coalizione di centro-sinistra, e anche se stessi? chissà!'

E' veramente difficile. Forse i lettori capiranno i motivi della mia personale reticenza a pubblicare il post di cui questo rappresenta in qualche modo un' estensione e un aggiornamento.
La boccaccesca domanda quindi: "Fare e pentere o starsi e pentersi?" è una domanda che trova un suo senso, anche alla luce delle ultime vicende. Ma scrivevo ancora prima di quese ultime vicende a proposito di questa domanda:

'Non dubito, tuttavia, che mi si potrebbe rispondere che la domanda è mal posta dal momento che al "fare e pentere" non corrisponderebbe, di contro, in realtà, uno "starsi e pentersi" bensì uno "starsi e godersi" dove il godersi alluderebbe probabilmente al godersi lo spettaccolo delle alchimie politiche, dei giochi di equilibrismo, che si presumerebbero oltretutto non risolutivi per il Paese, visto e considerato che analoghe alchimie non hanno migliorato la situazione dello stesso e  che anzi i dati prodotti da queste sono stati tutti quanti in peggioramento, tranne il manipolabilissimo spread, sul quale si è investito molto in termini di manipolazione degli umori delle masse, anche con riferimento al recente passato.
In effetti quello che bisognerebbe tenere ben presente è che in un progetto a lunga scadenza, per buono che possa essere, si apre sempre e comunque l'incertezza di un periodo di transizione, periodo nel quale lo spettacolo potrebbe non essere del tutto divertente da osservare ma, al contrario, piuttosto bruttino, anche a causa degli ipotetici danni che vi si potrebbero fare.'
 

E questo alla luce degli ultimi eventi appunto, è esattamente quella sensazione che si va registrando.
E naturalmente nalla fattispecie, potrebbe rimutare il "godersi" in un più realistico e probabile "pentersi"! Non lo so esattamente.
Ma ripeto, non voglio fare torti a nessuno e ho solo spunti di riflessione da offrire e non verità assolute, e questa ovviamente è solo un'opinione, forse un po' artistica magari, chissà! Dopotutto è da un operatore artistico che è stata pensata...
Il fatto però è che si avverte la sensazione che si sia persa o si stia perdendo una grande occasione di avviare un percorso interessante sia per l'Italia e, con un po' di fortuna, per l'Europa e l'opportunità di cominciare a fare del bene al Paese fin da subito.
Il movimento ha dimostrato una grande capacità di sapersi gestire, affermare e perfino imporre, è capace di reggersi sulle proprie gambe (che sono quelle che si è costruito da sé) e pertanto sento personalmente di dovergli il massimo del rispetto in qualsiasi caso e a prescindere da qualsiasi linea di condotta e decisione voglia o possa mantanere o intraprendere.
In ogni caso, comunque la si pensi, chiunque abbia auspicato, a torto o a ragione, ad un eventuale governo congiunto centro-sinistra/movimento cinque stelle, per eretica che possa essere sembrata questa opinione, ha pensato obiettivamente parlando a quello che sarebbe stato, e che non escludo a priori possa ancora essere, il governo maggiormente somigliante al Paese, certamente quello maggiormente somigliante e rispondente al dato elettorale.

giovedì 11 aprile 2013

Della crisi

Con l'ultimo post che richiamava evidentemente (almeno per chi conosce questo modesto blog), i post intitolati 'Il grande problema culturale', abbiamo cercato di evidenziare quanto fosse opportuno inquadrare l'attuale fase storica, contraddistinta da una situazione di crisi generalizzata, non solo come una crisi economica o economico-finanziaria, bensì come una crisi culturale.
Ed abbiamo per questo elencato almeno alcuni di quelli che ci sono sembrati elementi utili per favorire questo riconoscimento e questa presa di posizione, senza tralasciare, per altro, una doverosa sottolineatura, almeno dal nostro punto di vista, cioè che l'inquadramento dell'attuale crisi come crisi culturale, costituirebbe un salto di qualità nell'approcciarsi alla stessa.
E se è vero poi, che l'ottica proposta è quella giusta allora questo dovrebbe costituire un'approssimarsi alla soluzione.
E' altresì doveroso puntualizzare, però, che approssimarsi alla soluzione non significa necessariamente che siamo vicini alla soluzione (cosa di cui saremmo felici!) ma significa piuttosto, e più realisticamente, che nell'avvicinamento processuale alla possibile soluzione è stato compiuto un passo nella direzione giusta, almeno si spera, il che non sarebbe poco.
Abbiamo poi accennato al fatto che un ulteriore elemento utile ad inquadrare questa crisi sotto il profilo di una crisi culturale, elemento che si andrebbe a sommare agli altri, è dato dal fatto che sempre si inquadra come problema culturale quello della perdita di un bagaglio culturale, rimanendo tuttavia nel vago a questo proposito e rimandando a questo post ogni ulteriore specificazione in merito.
E dunque, a che cosa alludevamo quando dicevamo perdita di un bagaglio culturale?
La perdita di un bagaglio culturale è qualcosa di difficile da definire. E questa difficoltà è soltanto una delle difficoltà che incontreremo nel redigere questo post, che, per la natura dell'argomento, presenta una moltitudine di sfaccettature e di conseguenti asperità che potrebbero rischiare di renderlo poco intellegibile, cosa che ci dispiacerebbe alquanto. Ma riprendiamo.
Tutti quanti abbiamo approssimativamente ed intuitivamente una qualche percezione di ciò che significhi  l'espressione 'smarrimento di un bagaglio culturale'.
Tuttavia, ai fini di una corretta impostazione del nostro discorso, probabilmente non sarà inutile spendere in proposito qualche parola chiarificatrice. Diciamo che si tratta, in generale, dello smarrimento di un certo numero di nozioni o conoscenze (poche o molte che siano) relative ai più disparati ambiti dello scibile umano, o quantomeno ad un affievolimento della loro presa sulla realtà.
Questo eventuale smarrimento è esattamente ciò che costituisce l'oggetto della nostra indagine, alla quale siamo spinti da una impressione naturalmente, l'impressione che un qualche bagaglio culturale o valore o conoscienza possa essersi effettivamente smarrito, sì da giustificare tutta una serie di effetti, tra i quali possiamo annoverare sintomaticamente l'inversione di certi valori.
Ad esempio una sorta di idolatria dei 'mercati' tale da far perdere di vista il fatto che i mercati sono stati fatti per l'uomo e non l'uomo per i mercati.
Non è facile neanche capire che cosa si debba intendere esattamente con smarrimento.
Nel senso che tutto un sistema di valori e di nozioni ritenute importanti possono vivere nella coscienza delle persone, e tradursi in azioni concrete e così discendere in qualche modo direttamente nella stessa società, per vivervi e trasmettersi a loro volta, anche piuttosto spontaneamente, se non addirittura meccanicamente, il che qualche volta coincide con inconsapevolmente.
Oppure possono essere, diciamo così, archiviate in un libro, in un computer, nella mente di una o molte persone, o anche in luoghi appartati o nascosti.
Esse possono vivere in contesti ristretti oppure in contesti più ampi.
Che cosa significa quindi smarrimento di un bagaglio culturale?
Per comprendere bene questo concetto bisogna pensare che la perdita di un certo bagaglio culturale sussiste relativamente al fatto che la si può misurare sulla scorta di un paragone, paragonando cioè un certa situazione nella quale questo stesso bagaglio culturale sembra sussistere ed incidere sensibilmente nella realtà concreta, ad un'altra situazione in cui invece pare non sussistere e non incidere più, così da appurarne una qualche differenza.
Cioè a dire che questo smarrimento o questo affievolimento si riferisce alla diminuzione della sua capacità di incidere nella società rispetto alle sue potenzialità o ad un' ideale situazione, o ancora, ad una diminuzione della capacità di incidere rispetto ad una situazione precedente.
Ma cosa pensiamo si sia smarrito esattamente, a cosa ci riferiamo?
Nella fattispecie ci riferiamo alla constatazione del fatto che sembra si sia smarrito quello che avrebbe dovuto essere un bagaglio culturale tipicamente europeo, dato in un certo qual modo per acquisito e che invece probabilmente acquisito, a quanto pare, non è, almeno in certi contesti.
Posto che è sempre difficile acquisire in toto una certa conoscienza o sistema di valori, la quale realisticamente mostrerà quasi sempre delle lacune, indipendentemente dal periodo di maggiore ominore incidenza, nel quale la si esamini, dobbiamo constatare però che talvolta questa stessa conoscienza può apparire abbastanza organica e diffusa.
Altre volte invece si possono evidenziare delle lacune appunto, e, sia detto per inciso, questo è un fatto abbastanza naturale, che non sorprende più di tanto.
Talvolta però le lacune appaiono assai più vistose che in altri periodi talmenteché questa assenza si fa notare in modo particolare, e soprattutto quando coincide con l'assenza di ciò che potrebbe mostrarsi particolarmente efficace a dirimere una certa inestricabile situazione, magari quella attuale.
Si tratta di quel bagaglio culturale che si struttura sulla tradizione culturale cristiana, tradizione tipicamente europea. A cosa si debba imputare la responsabilità di questo eventuale smarrimento sarebbe lungo e complesso da spiegare. Le ragioni potrebbero essere molte.
Certo è che molti errori sono stati fatti nel nome e per conto della religione purtroppo e questo ha spinto molti su posizioni che sarebbe eufemistico definire critiche nei confronti delle religioni stesse in generale.
Questi errori hanno finito per far arroccare molti su posizioni abbastanza pregiudiziali, il che può essere comprensibile da un certo punto di vista e tuttavia rappresentare la perdita di una opportunità.
Apro qui una piccola parentesi solo per dire che spero, innanzitutto, che nessun credente si scandalizzi di fronte all'espressione 'errori commessi nel nome e per conto della religione' se è vero come è vero che, per esempio, lo stesso papa Giovanni Paolo II, ha chiesto sette volte scusa per gli errori della Chiesa Cattolica.
Non è difficile capire che l'argomento si presenta piuttosto spinoso a questo punto, ed è anche per questo che speriamo in un supplemento di comprensione e di pazienza.
Ma riprendiamo. Non ignoriamo il fatto che l'asserzione secondo la quale si è smarrito un certo bagaglio culturale di origine cristiana possa suscitare reazioni stizzite ed aprire diatribe piuttosto lunghe e difficili da dirimere, né ignoriamo il fatto che questa stessa asserzione potrebbe eccitare gli animi di quanti si dichiarano orgogliosamente, ciò nondimeno legittimamente, atei, agnostici, non credenti, e quant'altro ancora, tendendo ad avere una istintiva reazione di repulsione appunto nei confronti della religione e di ciò che gli è legato, in senso lato, e forse per qualche religione in particolare, e questo anche per le ragioni appena esposte.
Ci sono poi coloro che sono e si dichiarano apertamente contro la religione, con grande onestà intellettuale, per ragioni ideologiche, il che è legittimo naturalmente. 
Ma riteniamo possibile e speriamo, tuttavia che, anche coloro che si dichiarano apertamente tali (e soprattutto proprio coloro che si dichiarano convintamente tali), sappiano senza dubbio essere così intellettualmente onesti da riconoscere che nella storia della propria nazione ( e mi riferisco particolarmente alle nazioni europee), il cristianesimo ed in generale tutta quella cultura che si è sviluppata dal cristianesimo, abbia inciso in modo determinante, per non dire preponderante, nella società. Qui non si tratta, nella fattispecie, di dichiararsi pro o contro una data religione o un dato sistema di valori, ma semplicemente di convenire sul fatto che, per la storia (per esempio della nostra Italia), è stato così.
Si tratta cioè semplicemente di riconoscere un dato di fatto storico.
Diciamo questo perchè ci sembra importante cercare di far vincere certe reticenze da parte anche di coloro che si dimostrano più critici nei confronti delle stesse religioni.
Tutti questi discorsi ci spingono istintivamente anche a rievocare tutta una serie di questioni ad essi legate.
Si aprirebbe qui, per esempio, la questione della laicità dello Stato, che sarebbe molto complessa e difficile, anche questa da esaminare nella sua interezza.
La questione della laicità, infatti, si apre a varie interpretazioni e non è priva di asperità, anche per il persistere di una certa ambiguità di fondo, la quale appare soprattutto dal confronto dei significati tra termini 'laico' e 'laicizzazione', per esempio.
Ci limiteremo quindi ad alcuni accenni, riconoscendo la difficoltà di dirimere una questione così complessa in uno spazio, questo,  che non può esseregli dedicato specificamente.
Vorremmo porre l'accento, per esempio sul fatto che laicità non può coincidere per certi aspetti con a-religiosità, poichè non può sussistere uno stato che si definisca laico e che al contempo non consenta la libertà di religione. Dovendo questi due aspetti convivere in una stessa realtà ne consegue che l'uno non può scalzare l'altro altrimenti in entrambi i casi sussisterebbe una perdita di civiltà che è esattamente ciò che non dovrebbe avvenire. E la laicità se è un valore non può coincidere con una perdita di civiltà. Ne deriva che  il valore veramente importante dalla laicità, e sul quale generalmente sussiste una certa condivisione, consiste in un pari rispetto per tutti, cioè nell'equidistanza che essa ha nei confronti delle varie posizioni in campo (dove per campo si intende esattamente la società reale nei suoi diversi aspetti e nei suoi disparati livelli anche istituzionali), sia che esse si identifichino con posizioni religiose, sia che esse si identifichino con posizioni non religiose, atee, agnostiche ecc.
Potremmo riassumere così: Equidistanza e rispetto, non privazione, non negazione!
Soprattutto non privazione di valori o di elementi di civiltà né tantomeno di diritti ovviamente.
Quale laicità sarebbe, infatti, una laicità senza diritti?
L'Unione europea è improntata sulla laicità, ma consente la libertà di religione. In questo c'è una totale coincidenza con i valori espressi dalla Costituzione Italiana.
In ogni caso, come abbiamo per altro già accennato, non si può misconoscere la propria storia e la propria cultura che è stata anche cultura religiosa e prevalentemente, ma non solo, cultura religiosa cristiana.
Nella storia d'Italia per esempio ad un certo punto vengono ad incontrarsi varie forme di cultura di diversa provenienza, cioè quella greco-romana e quella giudaico-cristiana e medio orientale.
Ma la cultura cristiana è quella che dall'editto di Costantino (313 d.C.) in poi, ha lasciato la sua impronta in modo determinante. E questi aspetti fanno parte della storia ed è certo che comunque la si pensi e a qualsiasi credo si appartenga questo dato di fatto verrà certamentre riconosciuto.
Per questo, dal momento per altro che tra le libertà fondamentali tutti quanti riconosciamo anche quella di religione, non credo che ci si possa o ci si debba scandalizzare se asseriamo che per capire questa crisi è possibile servirsi come elementi di illuminazione anche di concetti che derivano dalla cultura religiosa e magari in particolare dalla cultura religiosa cristiana o da certi suoi aspetti particolari. Sarebbe inutile e superficiale, per non dire effettivamente dannoso, ignorarle solon per una qualche presa di posizione pregiudizialmente acquisita, magari sulla scorta di una e una sola interpretazione tra le varie possibili inerenti la laicità dello stato.
Nell'ambito del possibile è poi possibile leggere laicamente una frase o un concetto religioso, ed è altresì possibile leggere religiosamente una frase laica o improntata al laicismo.
Se tuttavia, nonostante ogni sforzo o tentativo di dirimere la questione dei rapporti e della convivenza tra credenti e non credenti, ancora un qualche scetticismo dovesse apparire in coloro che si dichiarano non credenti, nell'accettare una frase del vangelo come fondamento e paradigma principale di una impostazione fattiva sull'attuale realtà, anche economica, la cosa sembrerebbe comunque abbastanza naturale e accettabile. Mentre questo scetticismo o qualsiasi altra forma di reticenza sembrerebbe assolutamente inspiegabile in coloro che si riconoscessero nel cristianesimo (e sono in molti stando alle dichiarazioni) ed in quelli che sono i movimenti democratici che si ispirano ad esso, e che forse subiscono una qualche forma di influenza esterna, magari senza esserne perfettamente consapevoli, sì da perdere di vista certi valori e addirittura invertirli.
Per cui riteniamo che sia realisticamente possibile riportare alcuni valori, all'attenzione di tutti, ma soprattutto di coloro che si riconoscono nel cristianesimo e che potrebbero assimilare per questa ragione prima e meglio di altri certi concetti e le eventuali loro applicazioni e portare frutti da questa operazione.
Ancora oggi, molti cittadini italiani ed europei si riconoscono nella religione cristiana e per questo spero che non cada nel vuoto l'appello a ricorrere a paradigmi che derivino anche dalla propria fede.
Quindi speriamo che possa essere di un qualche aiuto uno dei paradigmi fondamentali che possiamo estrapolare dallo stesso Vangelo, e che crediamo appunto sia stato lasciato nel dimenticatoio o leggermente smarrito. Un paradigma che ci viene proposto proprio da Cristo stesso in un passo molto interessante del Vangelo di Marco.
Chi è credente può meditarci sopra e, naturalmente, anche chi non lo è. Va da sé che chi è credente ha un numero maggiore di ragioni per meditarla e farla propria, non ultima una ragione di fede, ma la frase può essere letta, compresa e fatta propria anche da chi credente non è.
Rileggiamo dunque Marco cap. 2, versetti 27 e 28:

"E diceva loro: <<Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato>>."

Con questa frase, di cui abbiamo, per altro, già trattato qualche tempo fa, Gesù, ci fa capire qual'è l'esatto valore degli elementi in campo, cioè cosa è più importante e cosa lo è meno, cosa viene prima e cosa dopo, cosa dobbiamo anteporre e cosa dobbiamo posporre e ancora cosa è stato fatto e in funzione di chi.
Per il Cristo non sussiste dubbio alcuno al riguardo, l'uomo viene prima! E' più importante del sabato!
E questo, per altro coincide pienamente col valore che la cultura ebraica affida al giubileo anno speciale nel quale tutti i debiti venivano rimessi ai propri debitori, proprio per dimostrare la scala dei valori in campo per la quale l'uomo viene prima del denaro.
Per cui mi chiedo: quale dovrebbe essere la posizione del credente cattolico ( ma anche più in generale cristiano, direi) rispetto ad un eventuale dibattito sul problema culturale attuale, che si incentri su di un'analisi da cui si evince che vengono ribaltati tutta una serie di valori in campo?
Questa frase evangelica ha un peso specifico notevole e dovrebbe altresì costituire un riferimento imprescindibile per un cristiano.
Da questa frase paradigmatica si dovrebberro trarre tutti gli elementi indispensabili per riordinare tutti questi valori la cui inversione costituisce esattamente l'aspetto caratterizzante, il dato caratteristico della nostra società.
Prendiamo per esempio i 'mercati' e chiediamoci ancora:

Ma è l'uomo che è stato fatto per i mercati o sono i mercati che sono stati fatti per l'uomo?

Noi  crediamo che il cattolico dovrebbe sottoscrivere ed avallare il concetto che 'i mercati sono fatti per l'uomo e non viceversa'. E questo dovrebbe avvenire in conformità con la frase evangelica citata.
Dobbiamo , tra l'altro ricordare agli eventuali gentili lettori che in questa frase evangelica Gesù si presenta come il 'Legislatore' come colui cioè che 'è signore anche del sabato'. E allora a questo punto dobbiamo dire che se è proprio il 'Legislatore', se è proprio il 'Signore del sabato' a stabilire che l'uomo viene prima del sabato, e quindi sotto un certo profilo, della stessa legge ( poiché è chiaro che 'sabato' può essere visto come metafora di 'legge' essendo il 'sabato' istituito dalla legge) non dovremmo avere alcun dubbio al riguardo, proprio come non ne ha avuti Lui. La frase dunque ne richiamerebbe un'altra simile a quella e forse maggiormente incisiva:

Non è l'uomo che è stato fatto per la legge, ma è la legge che è stata fatta per l'uomo!
Ecco quali valori per esempio sembrano essere avulsi attualmente dalla nostra società in generale, sì da contribuire al caos generalizzato e all'intorbidimento delle acque; solo un esempio delle conseguenze che una simile privazione può portare.
E se è vero che questo concetto non vive attualmente nella nostra società allora è vero che c'è stato uno smarrimento culturale, e quindi ancora, se c'è stato uno smarrimento culturale anche questo contribuisce ad inquadrare l'attule crisi come una crisi culturale.
E se questo piccolo blog può avere una qualche funzione nel segnalarlo e nel rinvigorire certe idee e certi propositi o semplicemente aiutare a ricordare o a riconoscere come potenzialmente utile, come punto di riferimento, come paradigma, una certa frase del Vangelo, per osteggiata che possa essere, una frase che sembra particolarmente utile a questo scopo, perchè non svolgerlo questo ruolo?!
E visto e considerato anche che la crisi, per altro viene assumendo toni assai drammatici, come si evince dalle cronache anche di questi giorni, allora ben venga anche questo piccolo contributo.
Come già detto anche altrove, è sempre un nostro privilegio e un nostro onore quello di sapere che certi nostri spunti di riflessione sono presi in considerazione, letti e approfonditi.
E sembra proprio che costituirebbe un consistente recupero anche soltanto quello di fare propria la frase evangelica sopracitata, o quantomeno di leggerla o rileggerla e meditarla o rimeditarla.
Rimeditare questa frase potrebbe essere molto utile. E quando diciamo molto utile intendiamo dire molto utile per tutti!

venerdì 5 aprile 2013

Della crisi

I problemi che l'Italia sta vivendo oggi potrebbero essere la risultante di una impostazione sbagliata di partenza circa la costruzione dell'Ue. Sappiamo bene infatti che l'Ue ha preso le mosse dalla Cee, Comunità Economica Europea. Ora, si possono avere varie opinioni al riguardo e pensare che questo sia un bene, o pensare che questo sia un male, a seconda dei punti di vista, tutti rispettabilissimi naturalmente, ma su una cosa dovremmo essere tutti quanti d'accordo.
Al di là di ogni connotazione con la quale ciascuno è libero di colorare la propria impressione soggettiva, una lettura essenzialmente denotativa di questo punto di partenza dovrebbe mettere in luce che si è trattato di una partenza di carattere espressamente ed essenzialmente economico e che questa stessa partenza ha finito per condizionare nel bene o nel male, tutte le scelte successive, ha finito per costituire, per così dire, un fattore modellante, un fattore modellante che si è imposto a discapito di altri, che forse sarebbero stati maggiormente appropriati.
Se di errore si è trattato quindi, questo errore si inquadra come errore esiziale, cioè come grave errore di partenza, di impostazione; un errore iniziale, con tutto ciò che ne deriva.
Il fatto è che si ha l'impressio che tutto abbia finito per modellarsi su questioni di carattere economico e che un minore rilievo abbiano avuto invece le questioni di carattere prettamente politico e culturale nonché sociale.
Non che siano state ignorate del tutto questo sarebbe falso e ingiusto asserirlo, ma probabilmente hanno avuto soltanto un ruolo marginale nel modellare l'Ue, esse hanno avuto un ruolo, diciamo così, di riempitivo, o hanno finito per adagiarsi semplicemente su ciò che era già precedentemente impostato.
Ed invece avrebbero dovuto avere, a nostro giudizio, un ruolo ben maggiore.
Sappiamo bene come l'economia possa influenzare la politica, nessuno ormai lo ignora. Ed è appunto sui rapporti e le relazioni tra finanza e politica che possiamo individuare uno dei gangli fondamentali di questa crisi.
Così oggi avvertiamo, per esempio, la presenza di un grande problema culturale, perchè è un problema culturale quello di dirimere la matassa di questo intreccio, dalla quale deriva, probabilmente, anche una sorta di inversione dei valori, come per esempio quella di mettere i mercati al di sopra di coloro per i quali i mercati sono stati pensati, cioè l'uomo, gli esseri umani.
E se ciò avviene  lo si deve probabilmente, in parte, anche a questo errore esiziale.
I problemi di oggi potrebbero benissimo essere la risultante, anche di questo tipo di impostazione che ha privilegiato il fattore economico a discapito di quello politico e culturale.
In altri termini possiamo dire (come si sente dire con maggior insistenza anche altrove,  per fortuna) che i nodi stanno venendo semplicemente al pettine, ma questi nodi sono stati creati nel passato, da scelte probabilmente sbagliate, o unilaterali, fortemente condizionanti, ma sempre e comunque insufficenti da sole ad affrontare un discorso così complesso e difficile come quello di creare una Unione Europea, che è una impresa piuttosto difficile se si valuta la piena accezione del termine 'unione' nel suo più alto valore e significato.
Come affrontare la crisi quindi?
Intanto crediamo che per affrontare questa crisi sarebbe opportuno inquadrarla nel modo più giusto possibile, sarebbe opportuno cioè inquadrarla nella più ampia cornice di una crisi culturale e non semplicemente di una crisi economica.
Questo costituirebbe a nostro avviso un salto di qualità nell'esame della situazione. Infatti è essenzialmente un problema culturale quello di riuscire ad invertire l'ordine dei valori, per riportarli ad una corretta impostazione. Quello che la cultura avrebbe il compito di fare oggi, per esempio, è ristabilire il primato della politica sull'economia.
Ora, abbiamo detto poc'anzi che la finanza influenza la politica, e che questo nessuno lo ignora oramai, e che sussistono tra finanza e politica degli intrecci spesso inestricabili e degli sconfinamenti che inquinano, per così dire, le acque, così da rendere difficile una chiara visione delle cose. Per questo, ci sentiamo di suggerire che forse un primo passo dovrebbe consistere nel cercare di tornare a demarcare anche da un punto di vista espressamente concettuale i confini dell'una e quelli dell'altra per avere un criterio discriminante che favorisca la lettura dell'attuale complessa realtà, anche del loro intreccio.
Se pensiamo alla finanza come al motore di una vettura e alla politica come all'autista, per esempio, questo ci offre il destro sia di intravedere la stretta relazione che sussiste tra le due parti in causa, sia il diverso ruolo che queste due stesse parti hanno nella loro relazione, e ci sembra per altro che esse siano inquadrate in questo caso sotto una luce decisamente rispondente al vero.
Forse potrebbe essere utile un altro paragone. Proviamo a considerare la finanza come i muscoli e la politica come la mente di uno stesso organismo.
Questo paragone è forse ancor più calzante. Infatti ci si rende subito conto che non possiamo far decidere ai muscoli quello che deve essere deciso dalla mente, né possiamo affidare alla mente il compito che deve essere svolto dai muscoli. Ognuno deve svolgere il proprio ruolo nei limiti del possibile.
Può capitare che muscoli e mente svolgano l'uno il compito dell'altro. Se questo avviene saltuariamente o occasionalmente poco male, ma se questo diventa la regola alla fine il livello di disarmonia che questo comporta rischia di compromettere seriamente l'andamento delle cose e si creano le premesse di un disarmonico sviluppo della situazione, che è un po' quello che sta avvenendo, a nostro avviso, in Europa e forse nel mondo.
Invece quello che l'Unione Europea dovrebbe cercare di fare è proprio di svilupparsi armonicamente, quanto meno, il più armonicamente possibile . Ma non può sussistere sviluppo armonico là dove non c'è relazione e ascolto tra le parti e questo è per l'appunto un altro dei problemi,  già segnalato da tempo, di cui soffre l'Europa, ma che ancora forse non viene preso abbastanza sul serio purtroppo. E naturalmente questa sottovalutazione del problema del dialogo tra le parti e dell'ascolto reciproco è un motivo di grande dispiacere, perchè basterebbe poco per vincere le reticenze e aprirsi all'ascolto, spesso  un semplice atto di volontà. Ci dispiace constatare che questa volontà invece non traspare.
Ogni volta che un cittadino cerca di portare una domanda o una richiesta e non viene ascoltato, è una occasione sprecata per migliorare e migliorarsi.
Sarebbe un nostro privilegio e un nostro onore sapere che questi pochi spunti di riflessione inerenti la crisi, venissero presi in considerazione, valutati, discussi, e approfonditi.
C'è ancora un altra questione che contribuisce ad inquadrare l'attuale crisi come crisi culturale ed è relativo al fatto che è sempre un problema culturale quello della perdita di un bagaglio culturale. Sì perchè c'è una certa impressione che si sta diffondendo ed è inerente al fatto che sembra si sia smarrito un certo bagaglio culturale. E' una impressione e non una certezza, e tuttavia la questione merita veramente di essere affrontata e approfondita.
Ma quale sia questo bagaglio culturale e che ruolo abbia o possa avere, lo vedremo nel prossimo post.