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giovedì 11 aprile 2013

Della crisi

Con l'ultimo post che richiamava evidentemente (almeno per chi conosce questo modesto blog), i post intitolati 'Il grande problema culturale', abbiamo cercato di evidenziare quanto fosse opportuno inquadrare l'attuale fase storica, contraddistinta da una situazione di crisi generalizzata, non solo come una crisi economica o economico-finanziaria, bensì come una crisi culturale.
Ed abbiamo per questo elencato almeno alcuni di quelli che ci sono sembrati elementi utili per favorire questo riconoscimento e questa presa di posizione, senza tralasciare, per altro, una doverosa sottolineatura, almeno dal nostro punto di vista, cioè che l'inquadramento dell'attuale crisi come crisi culturale, costituirebbe un salto di qualità nell'approcciarsi alla stessa.
E se è vero poi, che l'ottica proposta è quella giusta allora questo dovrebbe costituire un'approssimarsi alla soluzione.
E' altresì doveroso puntualizzare, però, che approssimarsi alla soluzione non significa necessariamente che siamo vicini alla soluzione (cosa di cui saremmo felici!) ma significa piuttosto, e più realisticamente, che nell'avvicinamento processuale alla possibile soluzione è stato compiuto un passo nella direzione giusta, almeno si spera, il che non sarebbe poco.
Abbiamo poi accennato al fatto che un ulteriore elemento utile ad inquadrare questa crisi sotto il profilo di una crisi culturale, elemento che si andrebbe a sommare agli altri, è dato dal fatto che sempre si inquadra come problema culturale quello della perdita di un bagaglio culturale, rimanendo tuttavia nel vago a questo proposito e rimandando a questo post ogni ulteriore specificazione in merito.
E dunque, a che cosa alludevamo quando dicevamo perdita di un bagaglio culturale?
La perdita di un bagaglio culturale è qualcosa di difficile da definire. E questa difficoltà è soltanto una delle difficoltà che incontreremo nel redigere questo post, che, per la natura dell'argomento, presenta una moltitudine di sfaccettature e di conseguenti asperità che potrebbero rischiare di renderlo poco intellegibile, cosa che ci dispiacerebbe alquanto. Ma riprendiamo.
Tutti quanti abbiamo approssimativamente ed intuitivamente una qualche percezione di ciò che significhi  l'espressione 'smarrimento di un bagaglio culturale'.
Tuttavia, ai fini di una corretta impostazione del nostro discorso, probabilmente non sarà inutile spendere in proposito qualche parola chiarificatrice. Diciamo che si tratta, in generale, dello smarrimento di un certo numero di nozioni o conoscenze (poche o molte che siano) relative ai più disparati ambiti dello scibile umano, o quantomeno ad un affievolimento della loro presa sulla realtà.
Questo eventuale smarrimento è esattamente ciò che costituisce l'oggetto della nostra indagine, alla quale siamo spinti da una impressione naturalmente, l'impressione che un qualche bagaglio culturale o valore o conoscienza possa essersi effettivamente smarrito, sì da giustificare tutta una serie di effetti, tra i quali possiamo annoverare sintomaticamente l'inversione di certi valori.
Ad esempio una sorta di idolatria dei 'mercati' tale da far perdere di vista il fatto che i mercati sono stati fatti per l'uomo e non l'uomo per i mercati.
Non è facile neanche capire che cosa si debba intendere esattamente con smarrimento.
Nel senso che tutto un sistema di valori e di nozioni ritenute importanti possono vivere nella coscienza delle persone, e tradursi in azioni concrete e così discendere in qualche modo direttamente nella stessa società, per vivervi e trasmettersi a loro volta, anche piuttosto spontaneamente, se non addirittura meccanicamente, il che qualche volta coincide con inconsapevolmente.
Oppure possono essere, diciamo così, archiviate in un libro, in un computer, nella mente di una o molte persone, o anche in luoghi appartati o nascosti.
Esse possono vivere in contesti ristretti oppure in contesti più ampi.
Che cosa significa quindi smarrimento di un bagaglio culturale?
Per comprendere bene questo concetto bisogna pensare che la perdita di un certo bagaglio culturale sussiste relativamente al fatto che la si può misurare sulla scorta di un paragone, paragonando cioè un certa situazione nella quale questo stesso bagaglio culturale sembra sussistere ed incidere sensibilmente nella realtà concreta, ad un'altra situazione in cui invece pare non sussistere e non incidere più, così da appurarne una qualche differenza.
Cioè a dire che questo smarrimento o questo affievolimento si riferisce alla diminuzione della sua capacità di incidere nella società rispetto alle sue potenzialità o ad un' ideale situazione, o ancora, ad una diminuzione della capacità di incidere rispetto ad una situazione precedente.
Ma cosa pensiamo si sia smarrito esattamente, a cosa ci riferiamo?
Nella fattispecie ci riferiamo alla constatazione del fatto che sembra si sia smarrito quello che avrebbe dovuto essere un bagaglio culturale tipicamente europeo, dato in un certo qual modo per acquisito e che invece probabilmente acquisito, a quanto pare, non è, almeno in certi contesti.
Posto che è sempre difficile acquisire in toto una certa conoscienza o sistema di valori, la quale realisticamente mostrerà quasi sempre delle lacune, indipendentemente dal periodo di maggiore ominore incidenza, nel quale la si esamini, dobbiamo constatare però che talvolta questa stessa conoscienza può apparire abbastanza organica e diffusa.
Altre volte invece si possono evidenziare delle lacune appunto, e, sia detto per inciso, questo è un fatto abbastanza naturale, che non sorprende più di tanto.
Talvolta però le lacune appaiono assai più vistose che in altri periodi talmenteché questa assenza si fa notare in modo particolare, e soprattutto quando coincide con l'assenza di ciò che potrebbe mostrarsi particolarmente efficace a dirimere una certa inestricabile situazione, magari quella attuale.
Si tratta di quel bagaglio culturale che si struttura sulla tradizione culturale cristiana, tradizione tipicamente europea. A cosa si debba imputare la responsabilità di questo eventuale smarrimento sarebbe lungo e complesso da spiegare. Le ragioni potrebbero essere molte.
Certo è che molti errori sono stati fatti nel nome e per conto della religione purtroppo e questo ha spinto molti su posizioni che sarebbe eufemistico definire critiche nei confronti delle religioni stesse in generale.
Questi errori hanno finito per far arroccare molti su posizioni abbastanza pregiudiziali, il che può essere comprensibile da un certo punto di vista e tuttavia rappresentare la perdita di una opportunità.
Apro qui una piccola parentesi solo per dire che spero, innanzitutto, che nessun credente si scandalizzi di fronte all'espressione 'errori commessi nel nome e per conto della religione' se è vero come è vero che, per esempio, lo stesso papa Giovanni Paolo II, ha chiesto sette volte scusa per gli errori della Chiesa Cattolica.
Non è difficile capire che l'argomento si presenta piuttosto spinoso a questo punto, ed è anche per questo che speriamo in un supplemento di comprensione e di pazienza.
Ma riprendiamo. Non ignoriamo il fatto che l'asserzione secondo la quale si è smarrito un certo bagaglio culturale di origine cristiana possa suscitare reazioni stizzite ed aprire diatribe piuttosto lunghe e difficili da dirimere, né ignoriamo il fatto che questa stessa asserzione potrebbe eccitare gli animi di quanti si dichiarano orgogliosamente, ciò nondimeno legittimamente, atei, agnostici, non credenti, e quant'altro ancora, tendendo ad avere una istintiva reazione di repulsione appunto nei confronti della religione e di ciò che gli è legato, in senso lato, e forse per qualche religione in particolare, e questo anche per le ragioni appena esposte.
Ci sono poi coloro che sono e si dichiarano apertamente contro la religione, con grande onestà intellettuale, per ragioni ideologiche, il che è legittimo naturalmente. 
Ma riteniamo possibile e speriamo, tuttavia che, anche coloro che si dichiarano apertamente tali (e soprattutto proprio coloro che si dichiarano convintamente tali), sappiano senza dubbio essere così intellettualmente onesti da riconoscere che nella storia della propria nazione ( e mi riferisco particolarmente alle nazioni europee), il cristianesimo ed in generale tutta quella cultura che si è sviluppata dal cristianesimo, abbia inciso in modo determinante, per non dire preponderante, nella società. Qui non si tratta, nella fattispecie, di dichiararsi pro o contro una data religione o un dato sistema di valori, ma semplicemente di convenire sul fatto che, per la storia (per esempio della nostra Italia), è stato così.
Si tratta cioè semplicemente di riconoscere un dato di fatto storico.
Diciamo questo perchè ci sembra importante cercare di far vincere certe reticenze da parte anche di coloro che si dimostrano più critici nei confronti delle stesse religioni.
Tutti questi discorsi ci spingono istintivamente anche a rievocare tutta una serie di questioni ad essi legate.
Si aprirebbe qui, per esempio, la questione della laicità dello Stato, che sarebbe molto complessa e difficile, anche questa da esaminare nella sua interezza.
La questione della laicità, infatti, si apre a varie interpretazioni e non è priva di asperità, anche per il persistere di una certa ambiguità di fondo, la quale appare soprattutto dal confronto dei significati tra termini 'laico' e 'laicizzazione', per esempio.
Ci limiteremo quindi ad alcuni accenni, riconoscendo la difficoltà di dirimere una questione così complessa in uno spazio, questo,  che non può esseregli dedicato specificamente.
Vorremmo porre l'accento, per esempio sul fatto che laicità non può coincidere per certi aspetti con a-religiosità, poichè non può sussistere uno stato che si definisca laico e che al contempo non consenta la libertà di religione. Dovendo questi due aspetti convivere in una stessa realtà ne consegue che l'uno non può scalzare l'altro altrimenti in entrambi i casi sussisterebbe una perdita di civiltà che è esattamente ciò che non dovrebbe avvenire. E la laicità se è un valore non può coincidere con una perdita di civiltà. Ne deriva che  il valore veramente importante dalla laicità, e sul quale generalmente sussiste una certa condivisione, consiste in un pari rispetto per tutti, cioè nell'equidistanza che essa ha nei confronti delle varie posizioni in campo (dove per campo si intende esattamente la società reale nei suoi diversi aspetti e nei suoi disparati livelli anche istituzionali), sia che esse si identifichino con posizioni religiose, sia che esse si identifichino con posizioni non religiose, atee, agnostiche ecc.
Potremmo riassumere così: Equidistanza e rispetto, non privazione, non negazione!
Soprattutto non privazione di valori o di elementi di civiltà né tantomeno di diritti ovviamente.
Quale laicità sarebbe, infatti, una laicità senza diritti?
L'Unione europea è improntata sulla laicità, ma consente la libertà di religione. In questo c'è una totale coincidenza con i valori espressi dalla Costituzione Italiana.
In ogni caso, come abbiamo per altro già accennato, non si può misconoscere la propria storia e la propria cultura che è stata anche cultura religiosa e prevalentemente, ma non solo, cultura religiosa cristiana.
Nella storia d'Italia per esempio ad un certo punto vengono ad incontrarsi varie forme di cultura di diversa provenienza, cioè quella greco-romana e quella giudaico-cristiana e medio orientale.
Ma la cultura cristiana è quella che dall'editto di Costantino (313 d.C.) in poi, ha lasciato la sua impronta in modo determinante. E questi aspetti fanno parte della storia ed è certo che comunque la si pensi e a qualsiasi credo si appartenga questo dato di fatto verrà certamentre riconosciuto.
Per questo, dal momento per altro che tra le libertà fondamentali tutti quanti riconosciamo anche quella di religione, non credo che ci si possa o ci si debba scandalizzare se asseriamo che per capire questa crisi è possibile servirsi come elementi di illuminazione anche di concetti che derivano dalla cultura religiosa e magari in particolare dalla cultura religiosa cristiana o da certi suoi aspetti particolari. Sarebbe inutile e superficiale, per non dire effettivamente dannoso, ignorarle solon per una qualche presa di posizione pregiudizialmente acquisita, magari sulla scorta di una e una sola interpretazione tra le varie possibili inerenti la laicità dello stato.
Nell'ambito del possibile è poi possibile leggere laicamente una frase o un concetto religioso, ed è altresì possibile leggere religiosamente una frase laica o improntata al laicismo.
Se tuttavia, nonostante ogni sforzo o tentativo di dirimere la questione dei rapporti e della convivenza tra credenti e non credenti, ancora un qualche scetticismo dovesse apparire in coloro che si dichiarano non credenti, nell'accettare una frase del vangelo come fondamento e paradigma principale di una impostazione fattiva sull'attuale realtà, anche economica, la cosa sembrerebbe comunque abbastanza naturale e accettabile. Mentre questo scetticismo o qualsiasi altra forma di reticenza sembrerebbe assolutamente inspiegabile in coloro che si riconoscessero nel cristianesimo (e sono in molti stando alle dichiarazioni) ed in quelli che sono i movimenti democratici che si ispirano ad esso, e che forse subiscono una qualche forma di influenza esterna, magari senza esserne perfettamente consapevoli, sì da perdere di vista certi valori e addirittura invertirli.
Per cui riteniamo che sia realisticamente possibile riportare alcuni valori, all'attenzione di tutti, ma soprattutto di coloro che si riconoscono nel cristianesimo e che potrebbero assimilare per questa ragione prima e meglio di altri certi concetti e le eventuali loro applicazioni e portare frutti da questa operazione.
Ancora oggi, molti cittadini italiani ed europei si riconoscono nella religione cristiana e per questo spero che non cada nel vuoto l'appello a ricorrere a paradigmi che derivino anche dalla propria fede.
Quindi speriamo che possa essere di un qualche aiuto uno dei paradigmi fondamentali che possiamo estrapolare dallo stesso Vangelo, e che crediamo appunto sia stato lasciato nel dimenticatoio o leggermente smarrito. Un paradigma che ci viene proposto proprio da Cristo stesso in un passo molto interessante del Vangelo di Marco.
Chi è credente può meditarci sopra e, naturalmente, anche chi non lo è. Va da sé che chi è credente ha un numero maggiore di ragioni per meditarla e farla propria, non ultima una ragione di fede, ma la frase può essere letta, compresa e fatta propria anche da chi credente non è.
Rileggiamo dunque Marco cap. 2, versetti 27 e 28:

"E diceva loro: <<Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato>>."

Con questa frase, di cui abbiamo, per altro, già trattato qualche tempo fa, Gesù, ci fa capire qual'è l'esatto valore degli elementi in campo, cioè cosa è più importante e cosa lo è meno, cosa viene prima e cosa dopo, cosa dobbiamo anteporre e cosa dobbiamo posporre e ancora cosa è stato fatto e in funzione di chi.
Per il Cristo non sussiste dubbio alcuno al riguardo, l'uomo viene prima! E' più importante del sabato!
E questo, per altro coincide pienamente col valore che la cultura ebraica affida al giubileo anno speciale nel quale tutti i debiti venivano rimessi ai propri debitori, proprio per dimostrare la scala dei valori in campo per la quale l'uomo viene prima del denaro.
Per cui mi chiedo: quale dovrebbe essere la posizione del credente cattolico ( ma anche più in generale cristiano, direi) rispetto ad un eventuale dibattito sul problema culturale attuale, che si incentri su di un'analisi da cui si evince che vengono ribaltati tutta una serie di valori in campo?
Questa frase evangelica ha un peso specifico notevole e dovrebbe altresì costituire un riferimento imprescindibile per un cristiano.
Da questa frase paradigmatica si dovrebberro trarre tutti gli elementi indispensabili per riordinare tutti questi valori la cui inversione costituisce esattamente l'aspetto caratterizzante, il dato caratteristico della nostra società.
Prendiamo per esempio i 'mercati' e chiediamoci ancora:

Ma è l'uomo che è stato fatto per i mercati o sono i mercati che sono stati fatti per l'uomo?

Noi  crediamo che il cattolico dovrebbe sottoscrivere ed avallare il concetto che 'i mercati sono fatti per l'uomo e non viceversa'. E questo dovrebbe avvenire in conformità con la frase evangelica citata.
Dobbiamo , tra l'altro ricordare agli eventuali gentili lettori che in questa frase evangelica Gesù si presenta come il 'Legislatore' come colui cioè che 'è signore anche del sabato'. E allora a questo punto dobbiamo dire che se è proprio il 'Legislatore', se è proprio il 'Signore del sabato' a stabilire che l'uomo viene prima del sabato, e quindi sotto un certo profilo, della stessa legge ( poiché è chiaro che 'sabato' può essere visto come metafora di 'legge' essendo il 'sabato' istituito dalla legge) non dovremmo avere alcun dubbio al riguardo, proprio come non ne ha avuti Lui. La frase dunque ne richiamerebbe un'altra simile a quella e forse maggiormente incisiva:

Non è l'uomo che è stato fatto per la legge, ma è la legge che è stata fatta per l'uomo!
Ecco quali valori per esempio sembrano essere avulsi attualmente dalla nostra società in generale, sì da contribuire al caos generalizzato e all'intorbidimento delle acque; solo un esempio delle conseguenze che una simile privazione può portare.
E se è vero che questo concetto non vive attualmente nella nostra società allora è vero che c'è stato uno smarrimento culturale, e quindi ancora, se c'è stato uno smarrimento culturale anche questo contribuisce ad inquadrare l'attule crisi come una crisi culturale.
E se questo piccolo blog può avere una qualche funzione nel segnalarlo e nel rinvigorire certe idee e certi propositi o semplicemente aiutare a ricordare o a riconoscere come potenzialmente utile, come punto di riferimento, come paradigma, una certa frase del Vangelo, per osteggiata che possa essere, una frase che sembra particolarmente utile a questo scopo, perchè non svolgerlo questo ruolo?!
E visto e considerato anche che la crisi, per altro viene assumendo toni assai drammatici, come si evince dalle cronache anche di questi giorni, allora ben venga anche questo piccolo contributo.
Come già detto anche altrove, è sempre un nostro privilegio e un nostro onore quello di sapere che certi nostri spunti di riflessione sono presi in considerazione, letti e approfonditi.
E sembra proprio che costituirebbe un consistente recupero anche soltanto quello di fare propria la frase evangelica sopracitata, o quantomeno di leggerla o rileggerla e meditarla o rimeditarla.
Rimeditare questa frase potrebbe essere molto utile. E quando diciamo molto utile intendiamo dire molto utile per tutti!