Per le tecniche miste su carta o altre tecniche che compaiono in questo Diario Elettronico firmate a nome Alessio, tutti i diritti sono riservati.







martedì 30 luglio 2013

Sempre al sostegno

Sempre al sostegno e al fianco di chi cerca di comprendere scientificamente l'attuale situazione politica ed economica italiana ed europea, di chi critica costruttivamente e democraticamente Pareggio di Bilancio in Costituzione, Fiscal Compact e Trattato ESM, soprattutto se da tempi non sospetti, nonché a quello di tutti coloro che avvertono che è nell'inosservanza della nostra Costituzione Repubblicana che si annidano la gran parte delle questioni (e il loro nocciolo) che hanno ridotto l'Italia ad essere oggi  l'ombra di se stessa.
Il mio rispetto, la mia stima e la mia vicinanza morale e spirituale.

mercoledì 24 luglio 2013

Il labirinto

la vita, sopratutto alcuni suoi momenti, può essere rappresentata simbolicamente da un labirinto, per certi suoi aspetti. Per la verità gli studiosi di simboli e simbologie, potrebbero essere piuttosto reticenti ad accettare così pacificamente questa affermazione che parrebbe loro troppo semplicistica, ritengo, acquistando il labirinto questa specifica fisionomia particolarmente durante il medioevo, all'interno di un contesto religioso prevalentemente cristiano. Siccome sappiamo bene invece che il simbolo è ben più antico è evidente che si tratta soltanto di uno dei suoi aspetti.
Il suo simbolismo in effetti è complesso e profondo e l'affermazione iniziale certamente non basta da sola ad assolvere il compito di esprimerlo appieno. L'origine stessa del nome labirinto rimane ancora piuttosto oscura. Sono varie le opinioni al riguardo. Una delle più accreditate e diffuse è che derivi dalla parola labrys con la quale si designava la doppia ascia di pietra cretese.
Un'altra versione, forse la più giusta e autorevole, venendo, per altro, da uno studioso di simboli rinomato come René Guénon  è che sia labirinto che labrys derivino entrambe da una antica parola che designava la pietra la cui radice sarebbe la, da cui tra l'altro deriverebbero laos in greco e lapis in latino.
( vedi Simboli della scienza sacra, René Guénon, ai paragrafi La caverna e il labirinto e Cornici e labirinti)
E tuttavia, nonostante la sua reale complessità, parte del suo significato è certamente anche abbastanza intuitivo nei suoi aspetti più evidenti e quindi possiamo concludere che in linea di massima la definizione di cui sopra, per quanto parziale, può essere abbastanza tranquillamente accettata. Pertanto cercheremo di non fare troppo i sofisticati.
Tutti sanno più o meno che cos'è un labirinto. Esistono varie tipologie di labirinto che possono essere ridotte a due strutture fondamentali, quella monocursale o unicursale e quella multicursale.
La prima conduce sempre inevitabilmente al centro; la seconda è più intricata derivando da un intreccio più o meno complesso e inestricabile di vie.
Per introdurre la parte seguente del post avvisiamo gli eventuali gentili lettori che ci riferiremo espressamente a questa seconda tipologia di labirinto anche quando, in modo del tutto arbitrario vi inseriremo la mitologica figura del Minotauro, il quale è invero sempre riferito al labirinto di Cnosso a Creta, un labirinto cioè monocursale.

Talvolta la vita assomiglia dunque ad un labirinto e attraversare un labirinto certamente non è facile,  nemmeno in condizioni ottimali, figuriamoci quando le condizioni ottimali non ci sono e i propri limiti si fanno sentire. Il percorso della vita può diventare inintellegibile esattamente come il percorso di un labirinto.
Perchè quando sei all'interno di un labirinto il rischio di perdere la strada è reale e sempre presente, il che è assai probabile per chi vi entra in modo sprovveduto o addirittura inavvertitamente.
E se ciò avviene la condizione ideale per uscirne è che qualcuno dal di fuori e magari dall'alto, osservando il labirinto come si osserva una planimetria, diriga in qualche modo i tuoi movimenti fino all'uscita. E questo, per altro, introdurrebbe il tema della 'fiducia'.
Chi ha una tale fortuna non ha problemi. Ma le cose possono presentare vari gradi di difficoltà a rendere ulteriormente difficile il percorso fino all'uscita, anche nel caso di un sostegno dal di fuori.
Mettiamo per esempio che all'interno del labirinto si trovi il Minotauro. Il suggeritore in questo caso deve stare attento che nel dirigerti verso l'uscita l'ideale percorso non incroci la stanza del mostro taurino.
Questo costituisce quindi un primo grado di difficoltà.
Ma ve n'è un secondo. Se per esempio quel giorno il Minotauro è in vena di sgranchirsi le gambe e invece di starsene buono buono nella sua stanza si mette anche lui ad andarsene in giro per il labirinto, il compito del suggeritore si fa ancora più difficile e allo stesso tempo diventa ancor più prezioso.
Infatti dovrà essere pronto a suggerire repentini cambiamenti di rotta e temporanei allontanamenti strategici, magari proprio dall'uscita ormai in vista.
Il tutto ovviamente per evitare l'incontro col mitologico essere.
Ma c'è ancora un terzo è più difficile grado di difficoltà, quello che vede la presenza di un secondo suggeritore che si affianchi al primo. E quando i suggeritori diventano due sono due anche i casi: o essi suggeriscono all'unisono oppure no. Nel secondo caso, dando suggerimenti diversi perchè diversa è l'interpretazione che danno della realtà che vedono, creano confusione, sempre ammesso che non siano effettivamente antagonisti. Perchè i suggeritori potrebbero essere anche antagonisti e in questo caso l'uno darà giusti consigli e l'altro li darà invece deliberatamente sbagliati (consigli senza coda del terzo tipo). Non è facile riuscire a interagire col giusto suggeritore.
A chi credere? Un modo di scoprirlo probabilmente c'è benché rischioso.
Si può infatti tirare a sorte colui tra i suggeritori al quale dare affidamento escludendo temporaneamente l'altro e vedere se dopo aver seguito una serie di consigli si arriva finalmente all' esito  tanto sperato. Se ciò non accade allora probabilmente si è dato credito al suggeritore sbagliato e un aspetto della realtà è stato disvelato. E questo come immediata conseguenza comporta ovviamente il cambio del suggeritore.
Il fatto è che, se sei riuscito a scampare al Minotauro, verso dove il suggerotiore in malafede avrà cercato certamente di portarti, come minimo ti ritroverai in un punto del labirinto in cui sei più lontano dall'uscita rispetto a prima.
Qui è evidente il grado elevato di difficoltà.
Ma proviamo a pensare che cosa accadrebbe se di suggeritori invece di due ve ne fossero tre, quattro, cinque, sei e così via fino ad un numero indefinito. Sarebbe il caos.
E' chiaro che a questi livelli di complessità la confusione regnerebbe sovrana e l'inintellegibilità della realtà attraverso i suggerimenti sarebbe totale. Avere troppi suggerimenti e troppi suggeritori, specialmente se contraddittori tra loro, è praticamente come non averne nessuno.
Ti ritrovi nel bel mezzo del labirinto praticamente come se tu fossi solo, con una gran confusione di sottofondo per giunta, il che da un certo punto di vista è quasi peggio che esserlo veramente.
In questo caso l'unico modo di uscire è sviluppare una strategia autonomamente cercando di affinare l'intuito, forse anche l'istinto, o un sistema razionale magari di tipo matematico.
O se sei alla ricerca del giusto suggeritore forse il tempo te lo indicherà. Ma quanto a lungo si può sostare nel labirinto? Difficile a dirsi!
In ogni caso col Minotauro a giro i rischi sono chiaramente evidenti e ogni scelta deve essere ben ponderata. E' chiaro che da queste riflessioni ne potrebbero derivare tante e tante altre anche molto interessanti, nonché funzionali ai fini del nostro discorso, ma è evidente che questo appesantirebbe talmente tanto il presente post, che probabilmente si presenta già abbastanza denso così com'è, che sarebbe del tutto sconveniente a questo punto tentare di seuirli.
In ogni caso è possibile ritenere che quanto già espresso possa essere già di qualche aiuto a far capire a quale grado di difficoltà e di inintellegibilità possa giungere la realtà in talune circosatanze.
Per queste ragioni e per tante altre talvolta è molto difficile districarsi nel labirinto.
Ma una cosa è certa: si è spesso innocenti di questa confusione e di questa complessità di cui faremmo volentieri a meno!

giovedì 18 luglio 2013

Ideali regole d'oro

Nei limiti posti all'esercizio della forza c'è sempre una grande saggezza.
Un regola d'oro ideale sarebbe quella che vedesse assegnare la forza soltanto in base alla capacità di giustizia e solo in conseguenza all'esercizio di quella, in un certo senso, come premio per l'esercizio della giustizia stessa. Naturalmente intendiamo qui la giustizia nella sua più alta e assoluta accezione possibile.
In mancanza di regole di questo genere, togliere spazi all'eguaglianza, per altro valore costituzionale di assoluta importanza, in qualunque ambito l'eguaglianza si eserciti, pubblico o privato, è certamente un errore.
Infatti l'eguaglianza assume sempre il ruolo preventivo di mitigare gli eccessi della forza, e quindi ne previene, in un certo senso, l'esercizio arbitrario. Naturalmente intendiamo l'eguaglianza, non come appiattimento di valori, omologazione del pensiero, dei gusti, della personalità ecc. ma al contrario,  proprio come possibilità di poter esprimere la propria diversità di pensiero proprio perchè dotati di 'eguale dignità ontologica' e anche nel senso in cui la si desume dall'art.3 della nostra Costituzione Repubblicana.
Occorre quindi riflettere molto attentamente prima di togliere criteri di eguaglianza, ovunque essi si trovino.

domenica 14 luglio 2013

Due concezioni di stato di diritto

In questa delicata fase storica, caratterizzata da una crisi generalizzata che, per altro, nessuno ancora si sforza di spiegare scientificamente, occorrerebbe veramente tornare a riflettere su alcune questioni di base.
Sarebbe molto importante per esempio tornare a riflettere sul ruolo e sul significato del concetto di stato di diritto.
A nostro modo di vedere esiste una 'concezione forte' e una 'concezione debole' di stato di diritto e se questo è vero allora è vero anche che per avere un approccio realistico su questa realtà, per altro complessissima e in rapido divenire, diventerebbe necessario tenere alquanto presente questa differenza. Cercheremo prertanto di fornire alcuni spunti di riflessione che possano risultare utili a definire queste due diverse concezioni e ad inquadrare il problema dell'esistenza di queste due diverse versioni di uno stesso concetto nelle loro linee essenziali, senza avere la benché minima pretesa naturalmente di essere esaustivi al riguardo che, per solo sperare di esserlo, dovremmo concedrci uno spazio e un tempo assai maggiori di quelli che in questo momento ci è possibile avere.
Partiamo dalla 'concezione debole'.
La concezione debole

La 'concezione debole' di stato di diritto è quella che stabilisce che esso sussiste allor quando vi sono delle regole e delle leggi alle quali attenersi e che queste regole e queste leggi regolano la vita dei cittadini nei suoi vari aspetti. E fin qui tutto va bene, ma la 'concezione debole' non entra nel merito delle leggi stesse, non le giudica e non stabilisce se queste debbano possedere o no determinate caratteristiche per essere definite degne di entrare a far parte del novero di quelle che strutturano lo stato di diritto in generale.
In questo senso sussisterebbe un criterio interno di verità e di giustizia che somiglierebbe molto da vicino a quello tipico di ciascuna "pratica teorica" di cui parla per esempio Althusser: "la pratica teorica è criterio di se stessa, contiene in sé i princìpi definiti di convalida della qualità del suo prodotto[...]." egli dice.
Quindi, ricapitolando, la concezione debole stabilisce che lo stato di diritto sussiste allor quando vi sono delle regole e delle leggi alle quali attenersi sì, ma indipendentemente dal tipo di regole e di leggi le quali diventano o rischiano di diventare piuttosto autoreferenziali e, in ultima analisi, perfino tendenzialmente e potenzialmente inique senza per questo alterare il princìpio suesposto.
In altri termini si fonda su un sistema di leggi che è regola e misura di se stesso e che si regge su parametri interni senza entrare nel merito di come debbano essere questi parametri e indipendentemente dal fatto che essi siano buoni o cattivi.
In questo senso somiglia un po' ad una struttura che non è suscettibile di ricevere dall'esterno stimoli capaci di apportare alcuna migliorìa o, perlomeno, ne è piuttosto refrattario. Origina così, per altro, una tendenza che è quella di vedere allontanare il popolo sovrano dal suo ruolo specifico e dal mondo della politica  in generale rendendolo solo nominalmente sovrano ma non di fatto, popolo sovrano che pur essendo parte integrante del sistema  statale che dovrebbe essere imperniato sul diritto, e pur essendo invero al contempo una risorsa umana individuale e collettiva potenzialmente importantissima nella proposizione di stimoli tendenti al miglioramento, rischia di allontanarsi sempre più da questo ruolo appunto.
Questa autoreferenzialità e refrattarietà, che è anche e soprattutto sostanzialmente rigidità, dal nostro punto di vista è ciò che caratterizza essenzialmente lo 'stato di diritto debole', e l'alienazione del popolo  dal suo ruolo di sovrano rappresenta una delle sue possibili conseguenze, nonché la potenziale creazione di leggi inique uno dei suoi principali rischi. Ma non sarebbe poi tanto la rigidità in sé e per sé a costituire il vero problema e il vero nocciolo della questione, poichè se ciò che è rigido è al contempo giusto e buono, ben venga anche la rigidità, la quale in questo caso assumerebbe più che altro le sembianze di forza e giustizia. La rigidità diventa un problema quando si accompagna alla potenziale iniquità dell'azione legislativa ed all'allontanamento dei cittadini dalla prtecipazione alla vita democratica.
L'aura di stato di diritto che si vorrebbe conferire a questa 'concezione debole' avrebbe, tra l'altro, il difetto di addormentare il popolo dal considerare i rischi che essa invero porta in sé.

La concezione forte

La 'concezione forte' di stato di diritto differisce dalla prima su un dato di essenziale importanza. Infatti a differenza di quella stabilisce alcune delle caratteristiche che le leggi devono avere per essere ritenute degne di entrare a far parte del novero di quelle che fondano lo stato di diritto.
La 'concezione forte' dello stato di diritto ricalca quindi nella prima parte quella della 'concezione debole' e stabilisce cioè che lo stato di diritto sussiste allor quando vi sono delle regole e delle leggi alle quali attenersi e che queste regole e queste leggi regolano la vita dei cittadini in ogni loro aspetto, ma entra nel merito di quelle che appunto devono essere alcune delle caratteristiche fondamentali che queste leggi devono avere.
Nel post intitolato 'Stato di diritto e legge del più forte' datato 11/10/2012, che suggeriamo di andare a rileggere per intero, avevamo in parte già espresso questo concetto. Lo riproponiamo adesso alla lettura con qualche lieve modifica ma senza sostanziali alterazioni e senza avere la pretesa che esso non sia perfettibile poichè anzi è molto probabile che esso lo sia, ma semplicemente nella speranza che possa fornire alcuni spunti di riflessioni magari proprio ad addetti ai lavori e giuristi vuoi per vocazione che per professione o entrambe le cose, che possano magari approfondire sia questo specifico concetto sia tutte queste problematiche in generale proprio allo scopo di migliorarle.
Ecco dunque quello che per ora può costituire una bozza della 'concezione forte' di stato di diritto:
Lo stato di diritto non è la dove sussistano semplicemente delle leggi, delle regole e dei trattati sui quali poggiarsi e ai quali attenersi, bensì è la dove le leggi, le regole e i trattati sui quali  ci si poggia e ai quali ci si attiene siano concepiti in modo equo e giusto sì da riflettere profondamente l'essenza del principio  secondo il quale stato di diritto equivale espressamente ed esattamente ad assenza della legge del più forte, e tale che queste stesse leggi non consentano né spazi né brecce dalle quali possano riaffiorare come ospiti indesiderati l'ingiustizia, la brutalità e l'arbitrio, tipicamente connessi alla legge del più forte, in nessuna delle loro manifestazioni note e meno note.

La nostra speranza è che l'Unione Europea rifletta su queste distinzioni anche perchè attualmente ci sembra improntata, e lo diciamo con sincero dispiacere, ad una 'concezione assai debole' di stato di diritto.

sabato 6 luglio 2013

Solo metricamente

Metricamente lontano, ma non spiritualmente...


...rispetto a chi cerca di comprendere scientificamente l'attuale situazione politico-economica italiana ed europea...

mercoledì 3 luglio 2013

Due definizioni fuorvianti

Sarebbe bello poter schematizzare  semplicisticamente la realtà europea, cioè le varie opinioni e le varie tendenze politiche che si esprimono a proposito dell'Unione Europea, con un semplice: europeisti, anti-europeisti! Sarebbe bello perché sarebbe semplice e chiaramente una realtà semplice la puoi gestire meglio di una realtà complessa. Ma le cose stanno piuttosto diversamente.
Intendiamoci, l'europeismo inteso come pensiero unico e rigido sull' Europa esiste, così come esiste l'anti-europeismo. Ma non esistono soltanto queste due categorie. C'è anzi tutta una sfumatura di altre categorie.
E' chiaro infatti che, quello di sopra, è uno schema così riduttivo da essere del tutto insufficiente a descrivere l'esatta realtà delle opinioni in campo, e quindi del tutto inefficacie a fornire qualsivoglia contributo alla comprensione dei problemi che scaturiscono da questa stessa realtà. In altri termini è uno schema fuorviante. Ma questo schema continua a persistere, a rimanere immutato, inalterato.

E' così che spesso, troppo spesso, vengono bollati come anti-europesiti persone che hanno semplicemente una idea diversa di Unione Europea. Le opinioni che queste persone esprimono non sono contro l'Europa ma per una Europa diversa e magari migliore. Si tratta quindi di un diverso-europeismo e non di un anti-europeismo.
L'invito da rivolgere a coloro che si sentono sminuiti dalla definizione di anti-europeisti, non essendolo, ed essendo in realtà dei diverso-europeisti, è quello di specificare questa differenza, questa distinzione. Ditelo! Non lasciatevi etichettare dagli altri, definitevi da voi stessi!
Perchè il rischio è di vedersi alienare una moltitudine di consensi solo per un malinteso o magari per una etichetta che viene affibbiata scientemente proprio allo scopo di far alienare consensi.

Chiaramente l'invito non vale per coloro che si identificano e si riconoscono pienamente nella definizione di anti-europeisti, che naturalmente possono legittimamente mantenere e se credono pure orgogliosamente sbandierare.
Personalmente mi ritengo un diverso-europeista!