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sabato 22 luglio 2017

TIM Telecom, Vivendi, l'Italia faccia qualcosa!

Le telecomunicazioni sono un settore strategico soprattutto nella società dell’informazione, ridondante o non ridondante che sia. Per questa ragione è quanto mai auspicabile che una nazione abbia il controllo di questo settore e quindi di ogni aspetto relativo alle proprie telecomunicazioni.
A maggior ragione quando c'è una storia dietro o, per meglio dire, quando si è fatta la storia delle telecomunicazioni. Il telefono è stato inventato da Meucci (lo hanno riconosciuto finalmente anche gli americani), la SIP (appartenente al gruppo IRI) è cresciuta e si è sviluppata con i soldi dei contribuenti italiani. Potremmo ricordare anche Marconi che con le onde radio ha inventato la comunicazione senza fili con cui oggi le telecomunicazioni si sposano. Telefonia fissa, mobile, radiomobile, sperimentzioni, accordi con la Rai, una realtà di primo ordine. Insomma la storia dell'Italia in questo settore non ha niente da invidiare a nessuno, ed il suo bagaglio tecnico-esperienziale è di primo livello. Finché tutto era nelle mani della Stato tutto bene. Poi però sono arrivate le privatizzazioni, le tanto osannate privatizzazioni, e si potrebbe dire, a questo punto, purtroppo sono arrivate. A cosa servono infatti le privatizzazioni, almeno in Italia?
Conti alla mano a perdere settori strategici, a farci dismettere, a farci delocalizzare, a perdere il controllo delle aziende, a regalare profitti, a svendere bagaglio tecnico-esperienziale a benefico di ricavi altrui in cambio della collettivizzazione delle perdite. E sarebbero un vantaggio? Pare proprio di no! Tutta questa profusione di ingegno, inventiva, capacità organizzativa, visione sociale, denaro pubblico e altro ancora che dovrebbero spingere chiunque al rispetto del nostro Paese, a cosa è servita? A che pro, mi chiedo, un percorso tecnologico e storico di primo livello se tutto ciò poi si volge non in un vantaggio ma in una perdita, anche di sicurezza nazionale? A che serve, mi chiedo, se poi tutto ciò viene, per così dire, ereditato dai francesie non dagli italiani? E’ mai possibile?
Ma per tornare alle questioni delle telecomunicazioni il fatto che sia opportuno rimangano in mani nazionali è determinato dal fatto che, non solo sono un settore strategico altamente tecnologico, ma anche dal fatto che sono un settore estremamente sensibile in quanto strettamente unito nientemeno che alla sicurezza nazionale. E sulla sicurezza nazionale non si può transigere. Soprattutto oggi, in cui c’è lo sviluppo della telematica e un vistosissimo incremento dell’uso di sistemi informatici, le comunicazioni e le telecomunicazioni sono strettamente collegate a fattori essenziali per la sicurezza nazionale. Quantità esorbitanti di dati passano dai fili telefonici e vengono immagazzinati in banche dati che abbisognano di sistemi di sicurezza di primo livello e spesso non basta. Ci sono dati relativi a tutto, anche a processi e quindi alla giustizia, alla sicurezza nazionale, al settore militare e quant’altro ancora. E la gestione di tutti i dati sensibili di una Nazione, deve essere nelle mani di quella Nazione, non possiamo permetterci che tutto questo venga gestito da una nazione diversa che peraltro si dimostra così aggressiva e poco rispettosa nei nostri confronti.  Questo comunque è vero, non solo per l’Italia, ma per tutti. Per tale ragione è bene che si arrivi a livello internazionale ad un accordo mediante il quale si stipula che le telecomunicazioni di ogni Nazione debbano essere gestite nell’alveo del proprio ambito nazionale. Le telecomunicazioni della Francia devono spettare alla Francia, quelle dell’Italia all’Italia, quelle della Germania alla Germania e così via.
Per tale ragione anche le telecomunicazioni del Brasile devono spettare al Brasile e su questo magari anche l’Italia avrebbe fatto meglio a rivedere le sue posizioni, Non si può chiedere per se stessi quello che non si concede agi altri.
In ogni caso la situazione attuale è quella che vede TIM Telecom con un socio di maggioranza francese Vivendi. Credo che non sia opportuno per l’Italia naturalmente, ma così è in questo momento. Per questo è auspicabile un cambiamento della situazione ed anche la promulgazione di una legge che dichiari che per ragioni di sicurezza nazionale non è possibile affidare ad altri che a connazionali (o allo Stato) la gestione delle telecomunicazioni.
Anche perché, “un conto è essere il socio di maggioranza, un altro avvantaggiare il controllante a danno del controllato” (vedi articolo di Stefano Feltri su Il Fatto Quotidiano di oggi), questo secondo l’Antitrust.
C’è di fatto che la Francia sembra assumere sempre più in generale un atteggiamento aggressivo nei confronti dell’Italia, che è attualmente giudicata alla stregua di una specie di supermercato in cui fare acquisti, un atteggiamento ai limiti del tentativo di umiliazione. Non che non vi siano anche responsabilità interne, tutte italiane in ciò, ma questo è un fatto. Ci sono giornali italiani (vedi la Verità, sempre di oggi) che parlano di quattro fregature subìte dall’Italia da parte della Francia negli ultimi dieci giorni.
E vengono in mente tante cose, a proposito di umiliazione, tra le quali anche frangenti storici del passato della Francia in cui era lei a subire feroci umiliazioni. Come il periodo che precedette e poi seguì la sconfitta di Azincourt subìta dai francesi da parte delle milizie inglesi al seguito di Enrico V. Seguì infatti un periodo di dominazione inglese cui i francesi non sembravano in grado di poter porre rimedio. Una situazione umiliante. Finché udito il grido di dolore, venne, per così dire, risvegliata la coscienza di un’autentica inviata del Signore, Giovanna! E le cose cominciarono a prendere un’altra piega. Non a caso oggi Santa Giovanna d’Arco è la patrona di Francia. Ma, si dice nel popolo, San Giovanni (nota bene, stesso nome della pulzella d’Orleans) non vuole inganni! Per cui chi è dimentico dei benefici ricevuti per riaversi da uno stato semicomatoso, di autentica umiliazione, è disposto ad umiliare gli altri, senza tenere conto della regola secondo la quale non si può chiedere per se stessi ciò che non si è disposti a concedere agli altri, né che è giusto non fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi, è soggetto a provvedimento di revisione. In altre parole: i benefici un tempo accordati potrebbero essere rimossi.
Santa Giovanna, in quanto tale, cioè in quanto santa, questo lo sa! E a cosa mai servirà il filtro di protezione che la santa patrona potrebbe svolgere nei confronti di questa Francia di cui è appunto patrona, se la Francia stessa è dimentica dei favori di un tempo, e se è proprio lei, Giovanna, la prima ad essere profondamente indignata da questa dimenticanza?
I favori un tempo concessi, potrebbero essere rimossi! Con il sicuro consenso di Giovanna peraltro, già infatti se ne sta parlando!!
Vi era già stata una segnalazione in questo senso e questa è la seconda.
Per certe questioni è noto che è bene contare fino a tre!!!


giovedì 20 luglio 2017

NO CETA!!!

A tutto c’è un limite e le elezioni sono vicine.
Renzi ha la possibilità di dimostrare quanto sincero sia il suo risentimento per il fatto che l’Italia sia stata abbandonata dagli altri Stati dell’Ue in materia di migranti al di là di ogni dichiarazione d'intenti, con i fatti, fin da ora.
Ha la possibilità di dire NO allo scempio del CETA.
Si dirà: ma che c’entra?
C’entra, perché le politiche di abbassamento dei salari dell’austera Ue (attualmente così incomprensibili) e le dinamiche dell’immigrazione, in combinato disposto, servono esattamente a creare quel tessuto sociale che rappresenterebbe il popolo degli acquirenti dei prodotti a basso costo (e di bassa qualità, nonché salutisticamente dubbi) da cui saremmo invasi se il CETA venisse ratificato.
Renzi ha quindi la possibilità di invitare i suoi a dire NO al trattato scempio CETA e all’Ue che ha detto NO ai migranti.
Infatti l’Ue che ha detto NO all’Italia sui migranti si merita il NO dell’Italia sul CETA.
Non occorre aspettare molto, quindi, si può fare subito. Politicamente è una occasione che si verifica una sola volta nella vita!
E’ una occasione per far sentire la propria voce anche a livello internazionale visto che il Canada ci chiede di ratificare un trattato favorevole solo a lui e alle multinazionali pur avendo lo stesso Canada ignorato fino ad ora le richieste di ratifica di molte convenzioni internazionali sul lavoro, a cominciare da quella relativa al diritto alla contrattazione collettiva, fino a quella relativa alla età minima per il lavoratore e molte altre sulla sicurezza e la salute.
 


In questo modo, il segretario del PD, potrebbe dimostrare di stare dalla parte del popolo italiano e non da quella delle multinazionali intese solo al profitto personale a qualsiasi costo, ma soprattutto avrebbe la possibilità di dimostrare appunto che il suo atteggiamento mascolino nei confronti dell’Ue è autentico e non una trovata elettorale per accaparrarsi voti e prestigio agli occhi di chi ha ragioni da vendere per protestare contro questa Ue dell’austerità e delle politiche furbesche e lacrime e sangue.
Inoltre potrebbe manifestare di possedere quelle qualità che tutti vorremo un Primo Ministro possedesse, come l’arguzia per leggere le dinamiche in corso, secondo un filo conduttore che non è visibilissimo, ma che c’è e che unisce le politiche sui salari, il disimpegno dell’Ue sui migranti, alla ratifica di questi trattati internazionali.
Infatti sono in molti ad accusarlo di fare solo propaganda e di assumere atteggiamenti mascolini, di dichiarare di battere i pugni sul tavolo, per soli fini elettorali, per secondi fini insomma. Ecco, Renzi ha esattamente la possibilità di smentire queste voci in un sol colpo, con una azione coerente.
E’ una occasione unica, che potrebbe rilanciare lui e il PD sulla scenario politico.
Dia quindi indicazioni ai suoi di fare qualcosa di sinistra, di dire NO a questo trattato.
Ci attendiamo quindi coerenza.
Sarebbe anche una scelta politicamente conveniente anche perché in caso di ratifica il trattato dovrà necessariamente ripassare nelle mani di un parlamento di nuova legislatura, l’unico legittimato ad esaminare la possibilità di ratifica, purché sia espressione di una legge elettorale costituzionale. L’attuale, questa legittimazione sappiamo bene che purtroppo non ce l’ha. Quindi se Renzi propendesse per indicare il sì alla ratifica questo non sarebbe risolutivo. Se invece indicasse di votare NO, questo potrebbe rilanciarlo. Le motivazioni per il NO, ci sono tutte e ci sono anche tutte le convenienze di immagine. Infatti è meglio aspettare che sia un Parlamento legittimato ad occuparsi di questa faccenda, un argomento che non fa una piega e che potrebbe utilizzare benissimo egli stesso.
Del resto perché approvare un trattato a noi sfavorevole, tanto quanto e ancor più del Fiscal Compact?
Non ha senso!
Ma non sembra che il Parlamento abbia il polso del Paese, sembra anzi sussistere uno scollamento profondissimo col popolo italiano. Sono in molti a contestare questo trattato, il CETA, che sembra essere lì per decretare la definitiva vittoria della finanza sulla Democrazia. A contestarlo ci sono: CGIL, Coldiretti, le DOP siciliane, ARCI, ACLI, Greenpeace, Fairwatch, Slow Food, e tanti, tantissimi altri della società civile.
Quando dicevamo di non ratificare il Fiscal Compact, siamo stati derisi e adesso tutti lo vogliono cambiare.
Adesso chiediamo a gran voce di non ratificare il CETA, che è anche peggio, e speriamo questa volta, almeno questa volta di essere ascoltati.

E ci sono, come accennavamo, dei problemi aggiuntivi purtroppo, se così si può dire, e non sono problemi da poco, come si può arguire dalle premesse espresse qui sopra.

Questo Parlamento è stato eletto con una legge elettorale giudicata incostituzionale dalla Consulta con sentenza n.1 del 2014. Questo significa che non è mai stato e non potrebbe essere mai rappresentativo del popolo italiano che è l’unico vero sovrano come dice la Costituzione. Questo secondo alcuni giudici emeriti della Corte Costituzionale, vedi per esempio Annibale Marini, significa che lo Stato si dovrebbe occupare soltanto di cose necessarie e urgenti e il CETA non è né necessario né urgente.
Se questo articolo potesse arrivare all’ambasciatore canadese, se non al primo ministro, vorrei evidenziargli il fatto che non è saggio né opportuno affidare la ratifica di un trattato di questa portata ad un Parlamento in queste condizioni, neanche se il Parlamento in questione fa, come si suol dire, orecchie da mercante o, se preferite, le viste di nulla.
Insomma, anche se il Parlamento e il Governo fanno finta di niente, le condizioni sono tali per cui non si può legittimamente procedere in questo stato di cose ad una ratifica di questo trattato.
Il Canada, molto saggiamente, dovrebbe semplicemente aspettare che si insedi in Italia un Parlamento legittimato da una legge elettorale costituzionale, cosa che attualmente purtroppo non è.
In ogni caso dovrà essere preciso compito della prossima maggioranza, quella della prossima legislatura, quella derivante insomma dalle prossime elezioni, riprendere il testo del CETA, riesaminarlo e procedere legittimamente (in questo caso sì, legittimamente) alle votazioni relative.
Comunque vadano le cose, cioè, sia che si voti il CETA nei prossimi giorni, sia che, più saggiamente, lo si rimandi alla prossima legislatura, per occuparsi di cose necessarie e urgenti (per esempio della legge elettorale, come suggerito dal Presidente della Repubblica), dovrà essere compito della prossima legislatura, riprendere in mano il trattato.
Questo Governo e questo Parlamento, sfiduciato da una sentenza della Consulta, non sono rappresentativi della sovranità popolare e non possono parlare per essa!
La situazione in Italia è gravissima da questo punto di vista e questo il Canada lo deve comprendere!
Ora due parole sul CETA e sulle varie legittime obiezioni che vengono mosse a questo trattato.
Pericolosissimo è l’arbitrato internazionale col quale gli Stati perdono la possibilità di decidere serenamente le regole del proprio mercato! Chi è poi che sceglierebbe i giudici internazionali? C’è qualcuno di più potente delle multinazionali a poterlo fare? E i giudici così scelti sarebbero inclini a fare gli interessi degli Stati nazionali o delle multinazionali?
Il Canada ha circa 30 milioni di abitanti; l’Ue ne ha circa 500 milioni di cui 60 milioni circa (il 12%) italiani.
Sono i cittadini che rappresentano il mercato in quanto tutti potenziali acquirenti, e fin qui ci siamo.
Questo significa che il mercato dell’Ue si amplierebbe del 7%; quello del Canada si amplierebbe invece del 1397 % e già si nota una certa differenza.
Poi, quel 7% di mercato che acquisterebbe l’Ue riguarda tutta l’Ue di cui l’Italia rappresenta solo il 12%, per cui l’Italia potrebbe contare a parità di condizione con gli altri stati dell’Ue sul 12% di quel 7%, cioè dello 0,84 %.
Per cui dal punto di vista dell’Italia in rapporto al Canada, l’ampliamento del mercato sarebbe per l’una (l’Italia) dello 0,84 % e per l’altro (il Canada) del 1397 %.
Concludendo: visto che lo 0,84 sta nel 1397, 1663 volte, questo significa che l’accordo CETA è favorevole al Canada 1663 volte più che all’Italia. Voi firmereste questo scempio che anche un bambino capirebbe essere svantaggioso? IO NO!!!