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giovedì 5 novembre 2015

La scuola tra responsabilità e autonomia. Estrapolazione e riadattamento dall'ultimo capitolo della Relazione di Tirocinio per la prova finale di abilitazione delle classi di concorso A025 e A028 del TFA 2014/2015

"L’autonomia scolastica, come abbiamo per altro appreso nell’ambito del corso delle lezioni di pedagogia, è una autonomia relativa che non può non tenere conto delle Indicazioni nazionali o delle Indicazioni per il curricolo. Come e dove si espleta quindi questa autonomia? Quali sono i suoi limiti e le sue possibilità e funzioni?
Comunque la si pensi resta logicamente evidente che autonomia e dipendanza viaggino su direttrici opposte.
E' possibile forse capire la questione se si guarda al contesto generale e si legge la scuola come ente inserito nella società e nella storia.
La scuola si trova oggi ad essere pesantemente influenzata dall’esterno e poco ascoltata dall’interno.
Come deve porsi la scuola nella dialettica che intercorre tra sé e la società in cui alberga?
Per strano che possa sembrare, una risposta a quest'ultima domanda ci può arrivare dal campo della storia e della storiografia artistica.
Quello che, per esempio, Ferdinando Bologna dice nelle sue proposte metodologiche di storico e storiografo dell’arte, nel suo I metodi di studio dell’arte italiana e il problema metodologico oggi, a proposito della personalità dell’artista nel contesto della società e nella storia, sembra poter essere fedelmente e sorprendentemente applicato anche alla scuola nel suo complesso e soprattutto alla scuola vista come ente inserito nella società e nella storia!
Così possiamo dire, citando appunto Bologna, ma decontestualizzandone il testo o, per meglio dire, trasferendolo in un altro contesto, che la scuola, similmente alla personalità di un artista, così “come subisce modifiche, imprime modifiche e contribuisce laboriosamente, ma [anche in questo caso, perentesi mia] con autonomia <<relativa>>, al cambiamento generale della situazione a tutti i livelli.”(Ferdinando Bologna, I metodi di studio dell’arte italiana e il problema metodologico oggi )
D’altra parte già G. Manacorda in Storia della scuola in Italia, Il Medio Evo, scriveva che la Scuola “come riceve l’impronta e avviamento dalla società in mezzo alla quale vive, così, a sua volta irradia correnti di pensiero, imprime impulsi efficaci, informa di sé anche fatti politici e sociali.”
Ecco qualcosa a cui la Scuola non deve assolutamente rinunciare!
La scuola quindi è bene che "si apra al mondo" e che "collochi nel mondo" sì, come citato nel paragrafo 1.1.2, (è un paragrafo della Relazione che qui evidentemente non c'è) ma al contempo il mondo si deve aprire alla scuola; così come il mondo influenza la scuola, così la scuola dovrebbe influenzare il mondo. Il rapporto non può essere unilaterale o si rischia la perdita dell’equilibrio.
Così vorrei esprimere quella che sento essere una grande verità, cioè che una scuola che rinunci al mandato di imprimere cambiamenti migliorativi alla società in cui alberga seppure nell’autonomia <<relativa>> del solco responsabilmente democratico, una scuola cioè che si disponga soltanto a subirne gli influssi in modo passivo, semplicemente non sarebbe più una scuola e tenderebbe a somigliare progressivamente sempre più ad un mero ricettacolo passivo di impulsi provenienti dall’esterno e quindi in fin dei conti tenderebbe a somigliare sempre più ad una caserma di addestramento piuttosto cha ad un luogo di apprendimento.

E se la scuola deve essere un luogo di apprendimento (aggiungerei sia per discenti che per docenti!), se deve essere il luogo nel quale la cultura adulta viene insegnata, trasmessa al discente, nelle forme in cui il discente stesso è in grado di recepirla, questa mediazione e l’annesso ruolo di mediatore dell’insegnante, assume un’ importanza strategica e decisiva per la società e pertanto non può avvenire senza una precisa assunzione di responsabilità, la cosiddetta responsabilità educativa, la quale implica e richiede anche il mettere in discussione quello che dall’esterno giunge nella scuola ivi comprese le cosiddette riforme ed anche la tecnologia informatica, che naturalmente non va respinta ma semplicemente vissuta criticamente, questo sì, secondo un’ottica di critica costruttiva. La scuola deve quindi insegnare la tecnologia digitale naturalmente e le sue possibilità e potenzialità; trattasi dell’alfabetizzazione informatica. Contestualmente deve insegnare per esempio la differenza che passa tra realtà, realtà virtuale e realtà aumentata. E' con un insegnamento costruttivamente critico che si creano i cittadini della tecnologia.
Senza assolutismi di sorta quindi né tantomeno pregiudizi, si può affermare che la scuola dovrebbe attivarsi responsabilmente in questo senso attraverso il cosciente esercizio critico per non far degenerare una reale opportunità, quella che offre la tecnologia in generale e quella informatica in particolare, in un falso mito di progresso o, in casi estremi, addirittura nella premessa di un regresso se non addirittura in un regresso in atto. L’idea in generale è quella di fabbricare non  sudditi della tecnologia ma, al contrario, di far crescere appunto cittadini della tecnologia. E che sussista una certa confusione tra i due aspetti lo si evince da tutta una serie di constatazioni. Lo si evince e lo si appura nel momento in cui, con la scusa della tecnologizzazione e dell'ammodernamento, vengono creati percorsi obbligati. Uno di questi percorsi obbligati è la fatturazione elettronica obbligatoria per esempio. Il vero progresso consiste nel dare la possibilità di poter fatturare elettronicamente (ed è così che si creano i cittadini della tecnologia ed è così che vi è un reale progresso); mentre nel renderla obbligatoria si creano semplicemente dei sudditi della tecnologia con una libertà in meno e un obbligo in più, e quindi vi è un regresso democratico e non un progresso.
Anche di questo si deve occupare la responsabilità educativa. Ma la responsabilità educativa implica al contempo il considerare lo sfondo culturale e politico-istituzionale, nonché il quadro storico e sociale nel quale la scuola si trova ad operare e che caratterizza la contemporaneità. E’ un momento in cui la scuola per esempio si trova a passare dalla vecchia funzione dell’alfabetizzazione (sia di base, sia culturale) alla nuova scuola dell’autonomia e delle competenze, in cui si trova a passare dal programma e dalla programmazione, al curricolo e alla progettazione e via discorrendo.
Ma è anche una scuola che rischia di vedere al suo interno la presenza di germi di erosione della stessa autonomia e delle stesse competenze che ne risulterebbero drasticamente ridimensionate, se questi germi di erosione non saranno prontamente individuati e respinti o comunque resi innocui.
Vi è poi il quadro derivante dall’appartenenza all’Unione europea, che necessita di essere capito a fondo e interpretato, anche qui con spirito costruttivamente critico e non con passivo e acritico assenso o intento demolitorio. Vi è un quadro internazionale instabile da un punto di vista economico-finanziario, in cui vecchie e nuove dinamiche si incontrano e si scontrano, dove le bolle speculative montano e le crisi incombono. Sembra un momento di transizione che investe molti settori quindi, ma proprio per questo, proprio perché le transizioni sono troppe e investono troppi settori, il rischio che si crea è anche quello di una reale e concreta perdita d’ identità dell’individuo e di vivere in una sorta di perenne terrae motus, terremoto!
La scuola è chiamata anche a rispondere a queste sfide. Per altro questo terremoto non sembra proprio lasciar intravedere soluzione di continuità.
E’ difficile costruire in uno stato di perenne terremoto, ed anche la costruzione della propria identità ovviamente ne risente. Anche questo fa parte del clima in cui vive attualmente la nostra scuola, la quale potrebbe rappresentare un'ancora di salvezza per la stessa identità culturale, mitigando gli effetti devastanti di questo terremoto.
Che dire poi del quadro messo in luce anche da recenti enciclopedici studi di economisti quali Thomas Piketty, studi quali Il capitale nel XXI secolo, che dimostrano come la curvatura della diseguaglianza economica è destinata ad incrementarsi in quei paesi dove il rendimento del capitale è maggiore della crescita economica, cioè tutti i paesi occidentali e non solo.
Per strano che possa sembrare, anche questo è un quadro che la scuola deve tenere in considerazione, vista la dipendenza cronica e strutturale da fattori economici che essa effettivamente ha. Ma non è tutto. Queste dinamiche economiche e le annesse dinamiche del potere sono sempre più sfuggenti e difficili da intravedere,- si dice - inintelligibili ai più “sia per l’oggettiva ed estrema complessità dei processi in corso, sia per il crescente e coltivato divario tra cultura di massa e saperi riservati alle ristrette oligarchie che governano la transizione […].”, scrive il Procuratore generale presso la Corte d'Appello di Palermo Roberto Scarpinato (Dalla prefazione scritta da Roberto Scarpinato per Il ricatto dei mercati di Lidia Undiemi, Ponte alle grazie, pag. 11).
Dice ancora Scarpinato che le “nuove gerarchie di potere non dividono solo chi ha da chi non ha, ma anche chi sa da chi non sa, e quest’ultima distinzione è funzionale alla prima. Oggi come ieri sul terreno del sapere si gioca una partita politica fondamentale” (ibidem).
Forse c’è bisogno di un nuovo illuminismo che sappia redistribuire oltre alle ricchezze anche il sapere.
Se si crede nell’Illuminismo non ci sono alternative, altrimenti è l'oscurantismo.
Discipline come Arte e immagine (educazione artistica) e Disegno e storia dell’arte possono dare il proprio contributo. L’educazione alla creatività, che è alla base dell’insegnamento appunto di Arte e immagine, ha come presupposto teorico quello di stimolare nello studente la capacità di svincolarsi da schemi di pensiero precostituiti e di favorire l’emergere della creatività in senso lato ma anche intesa come sviluppo del pensiero divergente, come sviluppo di un pensiero cioè in grado di cogliere molteplici soluzioni ad uno stesso problema. Trattasi di un pensiero creativo e razionale al tempo stesso, essenziale quando si tratta di sfuggire dai dogmi e dalle superstizioni.
Quando le riforme sono troppo sintonizzate con il finanziario-centrismo attualmente imperante, rischiano di perdere di vista o di non tenere abbastanza in considerazione alcuni fattori importantissimi come, per esempio la dignità ontologica del discente, ma soprattutto l’aderenza ai più alti principii costituzionali ancorché proclamati, così come rischiano di perdere di vista l’identità culturale di appartenenza, la propria specifica cultura e tradizione, la propria lingua, né sembrano tenere abbastanza in considerazione gli obiettivi generali cui è asservita da sempre la vera didattica, quelli di creare un individuo propriamente detto, formato e indivisibile (in-dividuo), capace di sviluppare un pensiero realmente autonomo, convergente o divergente che sia, anche a seconda dei casi specifici e concreti, e quindi anche flessibile, il che non significa, badate bene, sibillino o opportunista ma, al contrario, libero e capace di sviluppare altresì un pensiero critico ed indipendente, nonché di sviluppare tutto il proprio potenziale umano per un nuovo umanesimo.
Il cittadino di domani non può essere il risultato ingegneristico di gruppi di non meglio identificati decisori politici (di cui i discenti non sanno niente, e di cui non sanno niente neanche i genitori dei discenti poiché probabilmente nemmeno eletti dai genitori stessi, decisori che forse non sono stati nemmeno eletti in generale, ma scelti, nominati, calati dall’alto chissà da dove) spesso intenti a mantenere vivi i compartimenti stagni della società, il divario tra cultura di massa (Adorno forse direbbe “cultura per le masse”) e saperi riservati, nonché un gran numero di dogmi e superstizioni secondo un’ottica palesemente anti-illuministica, poiché è chiaro che coloro che traggono vantaggio dai dogmi e dalle superstizioni si guarderanno bene dal forgiare cittadini in grado di individuarli e di smascherarli questi dogmi e queste superstizioni, e si adombra così quindi anche il legittimo sospetto di un conflitto di interessi, che ripropone il tema delle regole, dell’elettività, della responsabilità, dell’architettura europea stessa e della rappresentatività.
Serve dunque una scuola che risponda criticamente e creativamente alle questioni in essere e non una istituzione passiva, esclusivamente recettiva; serve una scuola che faccia crescere i propri cittadini e che li forgi consapevoli delle dinamiche in atto.
Così nella formazione sono molti gli aspetti che concorrono alla crescita dell’individuo, e all’aumento della sua consapevolezza e questa esperienza di tirocinio indiretto e diretto e, nell’ambito della specifica esperienza di tirocinio diretto, sia quello osservativo che quello attivo, pur essendo state esperienze parziali e imperfette rispetto ad un ideale ottimale, e cionondimeno veridicamente umane, hanno in ogni caso contribuito variamente a sottolineare l’importanza di questi aspetti, ma hanno anche sottolineato la necessità di mantenere alti i principii costituzionali, i più alti principii pedagogici e didattici, di mantenere alte le capacità già mostrate dalla scuola, anche attraverso i parametri di democraticità e rappresentatività interni alla scuola stessa, senza i quali il divario tra apprendimento e addestramento si farebbe, presumo, piuttosto esiguo."