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venerdì 31 agosto 2012

Interpretazioni interessate?

Il santo patrono dei pittori e degli artisti in generale, anche nella accezione moderna di operatori artistici, è San Luca Evangelista.
E' confidando nella sua intercessione e clemenza di giudizio che io,  operatore artistico, mi accingo,  non senza un qualche timore reverenziale, a commentare l'interpretazione di una frase del suo Santo Vangelo.
Lo faccio perchè sono oltremodo convinto che una certa interpretazione di questa frase abbia  più che una qualche rilevanza nel determinare tutta una serie di atteggiamenti che definirei arrendevoli nei confronti di quello che potrebbe configurarsi, in termini generali, come un tendenziale peggioramento delle cose.
Lo faccio perchè credo che questa stessa frase (e le sue interpretazioni) abbiano una qualche rilevanza anche nel determinare una certa facilitazione al cammino di potenziali pericoli e deviazioni, in ultima analisi anche dell'assetto democratico stesso.
Ecco la frase nella sua attuale traduzione italiana tratta dalla Bibbia ( Luca 18,8) edizione ufficiale della CEI:

'Vi dico che farà loro giustizia prontamente.
Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?'

Partiamo dunque da qui. Come interpretare questa domanda?
Per tentare un approccio interpretativo a questa domanda intanto possiamo dire che si tratta di una domanda retorica. Come è tipico delle domande retoriche non c'è una risposta che segua, per lo meno non una risposta immediata e non una risposta scritta. Nel Vangelo di San Luca dopo questa domanda segue una parabola, in altri termini si cambia discorso e la risposta rimane sospesa.
Quindi questo parametro tipico delle domande retoriche è rispettato con ogni evidenza.
E' forse indagando le caratteristiche delle domande retoriche che possiamo trarre degli elementi utili alla decifrazione di questa che forse è una dalle domande maggiormente inquietanti di tutto il Vangelo?
Forse, rileggiamo:

'Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?'
L'assenza di risposte così tipica delle domande retoriche crea un vuoto che generalmentre viene colmato da una risposta che si presume sottintesa. E quale sarebbe la risposta sottintesa in questo caso? Alcuni ritengono che la risposta sottintesa sia: No! Non troverà la fede sulla terra! 
E questo naturalmente sbilancia la questione a favore di coloro che ritengono che si tratti di una frase profetica, di una predizione.
Tuttavia le cose potrebbero non stare esattamente così e questa risposta potrebbe essere eccessivamente frettolosa. Tra gli assertori della tesi secondo la quale si tratterebbe di una frase profetica possiamo annoverare un insigne filosofo inglese vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento: Francesco Bacone, italianizzazione del nome inglese Francis Bacon.
Nel suo saggio intitolato 'Della Verità' Bacone ci dice per esempio che la perfidia della falsità e l'inosservanza della fede si esprimono in modo eccelso con le parole del Vangelo secondo Luca appunto al capitolo 18 versetto 8, parole verso le quali richiama la nostra attenzione.
Bacone ci conferma con parole sue di credere che si tratti di una predizione. 
Tuttavia la sua citazione, obiettivamente presenta qualche lacuna che andremo ad esaminare.
Invitiamo gli eventuali gentili lettori a munirsi del testo del saggio. Io, da parte mia preferisco riportare soltanto discorsi in modo indiretto, per non incorrere nel rischio di violazione dei diritti d'autore. Mi rendo conto che in questo modo rendo le cose meno intelligibili e più farraginose ma preferisco assecondare un principio di prudenza. Bacone è scomparso da quasi quattro secoli e credo che i suoi diritti d'autore oramai siano inesistenti, tuttavia a scanso d'equivoci...
Ma riprendiamo...a cosa dobbiamo queste lacune? Ad una diversa traduzione del testo sacro? Ad una omissione volontaria, a che cosa?
Non conosco le versioni della Bibbia dell'epoca di Bacone. Presumo che fossero in latino, ma queste diversità non so se si possano spiegare semplicemente col passaggio dal latino al volgare.
La questione per me è aperta e la dovrò approfondire.
In ogni caso quattro cose emergono ben visibili e noi le possiamo notare senza difficoltà, eccole:
a) invece di 'Figlio dell'uomo', viene usato il termine 'unto' cioè 'Cristo';
b) la citazione  è priva della parte che recita: 'Vi dico che farà loro giustizia prontamente.'
c) nelle versioni attuali dei Vangeli l'avverbio di negazione 'non' non compare; sbagliano le versioni attuali o quelle di allora?
d) viene omesso il carattere interrogativo della frase sul quale mi pare sussista oggigiorno una generalizzata unanimità e che ha trovato oggi la sua oggettivazione nella presenza del segno di punteggiatura che rappresenta l'interrogazione, il punto interrogativo appunto.
In effetti, in generale, non credo che nei testi antichi fosse presente un segno di punteggiatura che indicasse la natura interrogativa  delle  frasi. Ma nei  testi  di oggi la punteggiatura è presente e nel caso specifico tutti i testi, tutte le versioni da me conosciute riportano la frase in esame in forma interrogativa. Forse già nel Cinquecento o nel Seicento era così. Bacone tuttavia non la riporta in forma interrogativa. Perchè? c'è una ragione? Può darsi che riporti una opinione altrui, che lui condivide e fa sua, ma che nasce altrove. 
Non solo, ma il fatto che egli dica che si tratta di una situazione che è stata predetta (e soltanto dopo citi il Vangelo) dimostra in modo inequivocabile una presa di posizione pregiudiziale sull'argomento, dove il pre-giudizio consiste esattamente nel ritenere la frase evangelica una frase profetica.
Come dire che non si discute il carattere della frase perchè il suo carattere è già stato acquisito ed il suo carattere, secondo questa interpretazione,  è profetico.
Ci sono troppe cose date per scontate. Il fatto è che l'esegesi biblica, fatte salve le alte verità di fede, non dovrebbe permettere che le questioni si liquidino con una simile frettolosità o che le si diano così per scontate.
In ogni caso la domanda rimane senza una risposta, e si configura come domanda retorica che non sottintende una risposta precisa, men che meno la certezza di una risposta negativa. Al contrario, in questa sospensione si può ravvisare nettamente la presenza di una speranza, la speranza che così possa non essere!
La frase virgolettata nell'attuale versione del testo di Francesco Bacone presenta troppe anomalie perchè la si possa credere una citazione vera e propria del Vangelo. Naturalmente essa lo richiama, e come, ma non lo cita propriamente ed esattamente. Come illustrato temo ci si trovi dinanzi piuttosto ad una interpretazione della stessa che ad una citazione vera e propria.
Nei testi che pubblicano il saggio di Bacone, le note a piè di pagina che rimandano al Vangelo di San Luca sono pertinenti e giuste, indirizzano verso la fonte primaria a cui Bacone stesso attinge e questo è naturalmente molto utile e positivo ma non possiamo certamente affermare che da un punto di vista strettamente filologico esse non necessitino di una qualche precisazione. Perchè è vero che la frase in questione è contenuta in Luca 18,8 ma è anche vero che essa non rappresenta per esteso quel versetto e che la parte omessa è portatrice e rivelatrice di un diverso sentore, di un diverso registro a cui ritengo sia utile approcciarsi per una lettura equilibrata e contestualizzata. E questo diverso registro bilancia quello che affiora nella frase interrogativa. 
Forse è per corroborare la tesi 'profetica' che i sostenitori di questa, omettono di citare del versetto 8 del capitolo 18 l'altra parte: 'Vi dico che farà loro giustizia prontamente.'
Questa frase termina un discorso sulla giustizia, sulla sua forza e sulla sua prontezza. Soltanto dopo appare l'altra, quella interrogativa che, più che profetizzare, diciamolo a questo punto, insinua un dubbio, drammatico e terribile quanto si vuole, eppur tuttavia pur sempre e soltanto un dubbio, non una certezza!
Ma anche se volessimo essere pessimisti fino in fondo, cosa sconsigliabilissima sempre e in questo caso in modo particolare, e vedere in questa ultima frase una profezia, la questione, pur offrendo punti di vista certamente interessanti nella loro pur evidente drammaticità, non potrebbe essere chiusa così repentinamente e così semplicisticamente. Il dibattito dovrebbe necessariamente aprirsi a vari interrogativi susseguenti...
Il rischio di cadere nel fatalismo e nell'accidia concomitante è assolutamente realistico e pericoloso, e dovrebbe bastare da solo a dissuadere dalla lettura pessimistica e inclinare verso quella ottimistica.
Dovremmo abdicare alle valenze della fede, della verità e della giustizia solo perchè ci viene ipotizzato un futuro deprivato di quei vasti orizzonti che queste stesse valenze sono in grado di squadernare dinanzi ai nostri occhi?
Dovremmo abdicare alle valenze della fede solo perchè ci viene prospettato un futuro nel quale la fede, si dice, sarà assente? Io credo che non sia opportuno e che non sia utile. Credo anzi che sia dannoso.
Quando Temistocle, nell'antica Grecia, ricevette il primo responso da parte dell'oracolo di Delfi, interrogato sulle sorti della guerra che i persiani di Serse gli avevano mosso, non si lasciò abbattere pur essendo stato l'oracolo nefasto.
Intanto mandò subito qualcun altro a chiederne un secondo. Pur essendo il secondo responso ugualmente nefasto, questo conteneva degli elementi aggiuntivi interpretando i quali Temistocle trasse quei dati che poi lo portarono alla sostanziale vittoria nei confronti dei persiani. Ma il principale strumento usato da Temistocle è stato l'amor patrio unito all'intelligenza tattica lucida e ferma, priva di quel panico che l'oracolo così nefasto avrebbe potuto portare.
Questo ci dimostra che non dobbiamo cedere alla presunta inevitabilià o negatività di un' informazione o di una situazione, ma dobbiamo sempre avere lo stimolo di migliorare le cose.
E allora ripeto, dovremmo abdicare alle valenze della fede soltanto perchè ci viene prospettato un futuro nel quale la fede, si dice, sarà assente?
Credo di no, benchè forse qualcuno vi speri. I persiani se avessero saputo del primo responso dell'oracolo di Delfi avrebbero certamente sperato che i greci vi credessere pienamente e che fossero presi da sconforto. Non fu così e la storia ci testimonia che i persiani alla fine furono sconfitti.
Ecco uno strumento concettuale semplice e utile a disacernere gli schieramenti in campo: chi crede la frase 'profetica'? Chi no? Chi si lascia abbindolare dal fatalismo? Chi invece sfrutta i mezzi e i doni del descernimento che Dio a donato perchè venissero usati per tentare sempre e comunque una risposta di buon senso?
Infatti saremmo tentati a ragion veduta di ritenere 'persiani' coloro che la ritengono profetica, e 'greci' coloro che non la ritengono tale.
E Bacone allora sarebbe un 'persiano'?
No, ritengo che fosse in buona fede. Dobbiamo pensare che con Bacone siamo a cavallo tra Cinquecento e Seicento in un contesto totalmente diverso da quello attuale. E questa frase, alludendo al futuro che verrà, acquista importanza col passare del tempo e oggi, a distanza di quattro secoli dall'epoca di Francis Bacon, sembra avere acquistato una rilevanza maggiore rispetto ad allora.
Bacone non è quindi un 'persiano' nel senso di un 'invasore', non aveva nulla da invadere. Tuttavia, forse inconsapevolmente, nel corroborare quella tesi potrebbe suo malgrado aver aiutato in passato e potrebbe aiutare ancora oggi coloro che da questa tesi potrebbero pensare di trarre profitto.
Credo che il teologo ci confermerebbe quanto grande sarebbe il gloriarsi dell''avversario' nel riuscire a strumentalizzare a proprio favore lo stesso 'Vangelo' cioè proprio lo strumento principale per contrastarne l'operato.
E da un punto di vista tipicamente teologico, certamente nell'insieme di coloro che sperano di confondere le menti e i cuori dei fedeli e non solo, e che sperano di far credere vera qualcosa che non lo è, è difficile non intravedere quella che potremmo definire l'ombra dell''avversario', in ogni caso comunque di un 'avversario'.
Ora, nel mondo ci sono credenti e non credenti di varie fedi e confessioni. Immagino che l'interprertazione 'profetica' (e negativa) della frase presa in esame, sia rivolta ai credenti. Così lo è anche questa dissertazione che ha lo scopo di dissuadere dallo scendere a rapide conclusioni visto l'effetto negativo che queste possono avere. Ma ha anche lo scopo di dissuadere dal chiudere gli occhi dal mondo che si guasta per la sola ragione che 'così è stato predetto'! Infine ha lo scopo di suggerire di prendere in esame l'interpretazione 'non profetica' (e positiva) della stessa, poichè questa consente di non cedere alla tentazione di abdicare a quelle valenze positive che aiutano il mondo e che rispondono a quell'istintiva e naturale esigenza di giustizia cui allude la prima parte del versetto (Lu 18,8) benchè in qualche caso distrattamente omessa.

martedì 14 agosto 2012

Le domande per il futuro

Come annunciato nel post datato 11 agosto 2012, domenica 12 agosto sono stato a S. Anna di Stazzema, dove erano presenti autorità locali e addirittura europee. La giornata è stata ricca e intensa di emozioni.
Il programma è stato rispettato. Il Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz ha tenuto il discorso conclusivo, come previsto, discorso nel quale è emersa evidente la volontà di impedire che simili eventi possano succedere nuovamente, e quindi anche la volontà di impedire che le premesse storiche di questi tristissimi eventi abbiano a ripetersi. Non possiamo che condividere.
Al termine il programma prevedeva, dopo l'inaugurazione del Centro per la Pace, una conferenza stampa.
Pur essendo arrivato in ritardo rispetto all'inaugurazione non ho perso la conferenza stampa alla quale ho anzi partecipato con una domanda alla quale tenevo moltissimo. Voglio subito dire che, a causa del ritardo, non avevo capito che le domande erano riservate ai soli giornalisti, e quindi ringrazio fin da subito, le autorità presenti, di essere state così gentili da avermi consentito ugualmente di formulare la mia domanda. In effetti io sono un operaore artistico e non un giornalista accreditato, un semplice cittadino italiano ed europeo.
Tuttavia come gestore di un blog che si prefigge di fornire elementi utili a che un 'progresso materiale e spirituale' abbia a verificarsi, come chiede la Costituzione Italiana, mi sono sentito di formulare la mia domanda come se fossi un giornalista. La mia non era certo una domanda comoda, me ne rendo conto, ma se un progresso deve essere, dobbiamo anche renderci conto che non è evitando le domande scomode che questo potrà avvenire. Così dopo aver fatto presente quanto desiderassi  formulare la mia domanda, anche con ripetute alzate di mano, finalmente  mi è stato porto il microfono per quella che è stata l'ultima domanda della conferenza. Cosa ho domandato dunque? Dopo aver salutato le autorità presenti ho introdotto la mia domanda così: Rispetto al trattato ESM si ha l'impressione di rimanere molto sulla superfice e di andare avanti a promuoverlo a suon di spot che, come sappiamo, sono fatti per vendere e spesso riescono a vendere ciò che promuovono. Ma cosa sappiamo esattamente del contenuto di ciò che viene  promosso? Poco o niente! Le persone non sono informate proprio perchè non sono state informate adeguatamente da chi avrebbe dovuto farlo. E allora ecco la mia domanda:

Signor Presidente Schultz, il trattato ESM secondo lei, contiene delle clausole vessatorie nei confronti degli stati che vi dovrebbero aderire oppure no?

La risposta è stata ricca di dati, di numeri, di percentuali di tassi di interessi relative alla Banca Centrale Europea  e ad altre banche, numeri che adesso non saprei neanche ricordare e non li citerò.
Ma sostanzialmente non ha risposto alla mia domanda!
Così ho fatto notare al gentile Presidente che sostanzialmente non satava rispondendo alla mia domanda, ma purtroppo non c'è stato un seguito. Si poteva rispondere con un si, con un no, con un non so, oppure argomentando una risposta con una maggiore pertinenza, e invece si è preferito non rispondere a questa domanda. Devo dire che la parte che ho apprezzato della sua risposta è stata quella nella quale ha detto che certe cose devono essere valutate dal parlamento, segno che forse c'è un margine su cui discutere.
Quando ho salutato il Presidente, tuttavia, gli ho dichiarato nuovamente di non essere stato soddisfatto della sua risposta, lui ne ha preso atto, ma poi ci siamo salutati cordialmente. Penso che la difficoltà a rispondere rappresenti il sintomo di un disagio le cui cause  probabilmente, il Presidente stesso vorrebbe non sussistessero, ma che tuttavia si trova forse a dover subire. Ma allora se ci sono delle cause che determinano del disagio dobbiamo chiederci dove sono e quali sono e dobbiamo trovare un modo per ovviare a questo stato di cose.
Credo che debbano esserci maggiori possibilità, in nome della stessa democrazia che è stata menzionate negli stessi discorsi della giornata, di poter formulare domande da parte dei cittadini comuni, in nome di quella Europa dei Popoli che si dice di voler costruire. Sottrarvisi non serve a niente e a nessuno. Sono cresciuto in una cultura che mi ha insegnato a mettere in dubbio le mie certezze per costruirne di più solide e pensavo che questo fosse ormai una buona abitudine diffusa. Forse non è così, e mi dispiace.
Allora speriamo che possa esserlo un domani.
Spero che a simili altezze istituzionali ci si renda conto delle potenzialità di crescita insite nel suesposto metodo, cioè, per ribadire, nel metodo di mettere in dubbio le proprie certezze, e che si adottino le misure democratiche opportune per favorire un aperto confronto.

sabato 11 agosto 2012

La memoria per il futuro

Domani 12 agosto 2012 sarò presente a Sant'Anna di Stazzema dove si commemora l'eccidio del 1944, uno dei più feroci commessi in Italia ai danni delle popolazioni civili da parte dei nazi-fascisti.
La mia sarà la presenza di un semplice cittadino che vuole testimoniare la sua solidarietà alla popolazione locale. Ma la partecipazione a questo evento è importante anche per testimoniare il disappunto rispetto a ciò che accade quando salgono al potere le dittature, quando la democrazia viene meno. La testimonianza dunque ci  si augura possa tradursi fattivamente nell'impegno solenne a far si che i poteri dittatoriali non abbiano più a ripetersi in Europa, in nessun modo e sotto qualsiasi forma, fosse anche sotto forma di dittatura economica.
Ecco perchè è importante esserci domani, perchè in una Europa cui verrà sottoposto l'approvazione del MES o ESM (Meccanismo di Stabilità Europeo, che a discapito del nome, nasconde lati realmente oscuri e pericolosi, e un linguaggio a tratti perentorio e violento) la memoria aiuti il presente a non commettere errori che pagheremmo in futuro.
Sarebbe sciocco pensare di essere presenti ( e credo in effetti che a nessuno venga in mente di farlo) per rinfocolare rancori o additare un po' anacronisticamente come nemiche  nazioni che subirono esse stesse in realtà i danni della dittatura e in modo pesante. Al contrario è in nome dell'attuale amicizia che ogni testimonianza deve volgersi a suscitare attenzione e allarme verso tutto ciò che appare oscuro e perentorio, anche in nome di un principio di prudenza; è in nome dell'attuale amicizia che la testimonianza deve indirizzare a prestare orecchio a quelle istanze e a quelle accorate critiche che da tanta parte della popolazione civile a vari livelli e gradi vengono mosse rispetto ad anomale cessioni di sovranità nazionali, insite ancorchè non esplicitate nello stesso trattato ESM. E' in nome di questa amicizia che chiediamo il rispetto dell'Art. A del trattato di Maastricht.
Quando la democrazia si incrina si è suscettibili di prestare il fianco alle dittature. Rispettiamo la democrazia dell'Europa dei Popoli; ascoltiamo i popoli dell'Europa.
Il discorso conclusivo sarà tenuto dal Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz.

mercoledì 8 agosto 2012

Il grande problema culturale di oggi

...Continua da post del 3 agosto 2012

Con l'ultimo post ci siamo lasciati chiedendoci se la concezione che abbiamo definita articifio-centrica essendo di difficile collocazione storica non apparisse anacronistica, o in altri termini antiquata, perchè magari anacronistici ( o antiquati ) erano i mezzi della nostra indagine su di essa. Ma obbiettivamante ci sentiamo di escludere del tutto questa ipotesi perchè francamente i mezzi di indagine che talvolta, è vero, possono influenzare il risultato della stessa,in questo caso sono dei mezzi semplicissimi come il confronto tra le diverse idee che ci troviamo dinanzi,la ricerca di similitudini e divergenze e via discorrendo. Sono quindi strumenti concettuali di uso piuttosto comune. Questo dubbio ci sembra dunque fugato.
Ma allora in che cosa consiste la difficoltà di ritenerla anacronistica come istintivamente apparrebbe?
Essenzialmente dal fatto che, come abbiamo già detto, non possiamo collocarla in un preciso momento storico.
Ma allora il problema rimane e noi dobbiamo quindi chiederci ancora:
la concezione che mette al centro degli interessi dell'uomo i suoi prodotti anzichè l'uomo stesso (in questo caso specifico il mercato invece dell'uomo) e che investe questi prodotti di una dignità superiore  a  quella  dell'uomo che li ha pensati e prodotti per se, è una concezione anacronistica o una concezione modernista?
Rispondere non è semplice, ci proviamo:
L' artificio-centrismo sembra anacronistico perchè sembra più moderna la concezione che ci sembra rappresentare la sua più perfetta antagonista cioè la concezione antropocentrica originariamente e tipicamente rinascimentale, e con il Rinascimento facciamo un salto all'indietro di circa sei secoli. Questo ci spinge a credere la concezione artficio-centrica come più arretrata rispetto a questa. Eppure la difficoltà di dargli una collocazione precisa riporta a prendere in considerazione l'ipotesi di una sua originalità e quindi in qualche modo di una sua modernità.
In effetti dobbiamo ammettere che effettivamente pare essere veramente una concezione originale e quindi
almeno in questo moderna, ma da un punto di vista essenzialmente esistenziale, o se preferite anagrafico, deprivando cioè il termine 'moderno' di quei valori di positività che gli sono tipicamente connessi e che generalmente si porta dietro.
In altri termini quella artificio-centrica rappresenta una concezione culturale che presuppone come sub-strato culturale soltanto alcune caratteristiche della modernità, escludendone altre, le più rilevanti.
Per esempio esclude quelle di ambito filosofico perchè è compito della filosofia ( oltre che del senso comune) stabilire se l'uomo ha più o meno dignità delle cose che egli pensa, progetta, costruisce.
Quindi c'è una doppia difficoltà: è difficile considerarla anacronistica, ma è difficilie anche considerarla pienamente moderna e avanzata. E questa doppia difficoltà la rende una concezione piuttosto ambigua.
Ma, per concludere, in tutta obiettività non ci sembra possa rappresentare una conquista o un passo avanti di cui andare fieri e non c'è dubbio che la concezione antropocentrica rinascimentale, pur di sei secoli più vecchia ci sembra esprimere un ben più alto valore, una più alta conquista culturale.

Potrà sembrare esagerato ricavare una dissertazione di questo tipo per delle frasi sentite in qualche notiziario,o lette sui giornali ma potrebbe non esserlo. Infatti dobbiamo ricordare che erano frasi ricorrenti e che quindi tendevano evidentemente a creare opinione. Oppure la loro ricorrenza, come abbiamo tra l'altro già detto, intendeva proprio suscitare un dibattito, nel qual caso l'intenzione è lodevole, e la conseguenza naturale è che simili dissertazioni abbiano luogo. Ma ci tengo a precisare che ci sono frasi ed espressioni che effettivamente 'parlano' al di là delle reali intenzioni del dichiarante, e che ci sono cose che diciamo anche senza rendercene pienamente conto.
Capita a tutti, a me per primo. Quello che cambia e che fa la differenza, è il contesto nel quale vengono pronunciate. Proviamo a pensare a quale differenza c'è tra un contesto di amici che parlano tra di loro e un alto contesto istituzionale che viene amplificato dai mezzi di informazione di massa. La differenza è notevole.
In ogni caso le parole che pronunciamo hanno chiaramente un valore e sono importanti, tanto più quanto più dall'alto vengono pronunciate. E non c'è alcun dubbio che le parole che pronunciamo esprimano una moltitudine di cose che vanno anche al di là delle nostre intenzioni o consapevolezze o del più immediato dei significati. Ma indagarle deve essere ritenuto legittimo e non offensivo.
Ed il problema culturale di cui esse sono in qualche modo il sintomo è tanto più importante  quanto più alto è il contesto istituzionale nel quale questo problema si manifesta e viene individuato, anche perchè, dato il contesto, il problema che si manifesta può andare  ad incidere direttamente su quello che è il nostro futuro e quello delle prossime generazioni.

E' importante evidentemente, per non dire necessario, fronteggiare questa concezione artificio-centrica, che si rivela malgrado le intenzioni o la consapevolezza, contrapponbendole un'altra più profonda concezione che risponda meglio alle esigenze dell'uomo contemporaneo e alle sfide che lo aspettano.
Ora, siccome la più perfetta antagonista a questa concezione ci sembra essere quella che investe l'uomo della sua legittima e imprescindibile dignità ontologica, possiamo concludere che per contrastare l'artificio-centrismo con tutti i pericoli che esso comporta, è necessario e doveroso ricorrere ad un nuovo umanesimo che tolga l'uomo da una posizione di subalternità rispetto ai suoi stessi prodotti, e che lo riporti di nuovo al centro del mondo o più pragmaticamente, se preferite, dei suoi stessi interessi e che gli conferisca una maggiore dignità.
Potrebbe servire e rivelarsi utile un nuovo antropocentrismo che dovrebbe ovviamente tenere conto delle mutate condizioni di vita ed essere quindi di un grado diverso rispetto a quello del passato e proporzionato alle problematiche dell'uomo contemporaneo. E l'impressione è che da tempo in vasti settori della società si senta questa esigenza che evidentemente non può essere ulteriormente ignorata.
Lungi dal costituire un ostacolo alla fede del credente poi, questo antropocentrismo pur riconoscendo la posizione di centralità dell'uomo nella vita dell'uomo, non implica affatto il sostituire  Dio nella posizione centrale, poichè il credente sa che al centro dell'uomo c'è Dio.
Oltretutto, in ogni caso, ci pare meno grave questo che sostituire Dio con i 'prodotti' dell'uomo.
Per entrare un poco dentro a questo nuovo antropocentrismo, possiamo affermare che quest'ultimo dovrebbe spontaneamente distinguersi dal suo illustre precedente rinascimentale anche per un altro fatto che ci limitiamo a segnalare:
l'antropocentrismo rinascimentale riconosce la centralità dell'uomo ma in una società fortemente maschilista. si tratta quindi di un antropocentrismo tendenzialmente andromorfico, per così dire, cioè  fato a immagine del maschio. il nuovo antropocentrismo dovrebbe, si spera, aver superato questa dimensione parziale, per diventare un antropocentrismo antropomorfico, cioè di forma genericamente umana, dove per genericamente umana si intende che non si esclude ne la forma maschile ne quella femminile ma che entrambe hanno pari dignità di esservi rappresentate.
Questa potrebbe essere una possibile risposta e già da tempo, ripeto, qualcosa si è mosso in questa direzione, ma temo sia rimasto inascoltato.

venerdì 3 agosto 2012

Il grande problema culturale di oggi

...Continua dal post del 30 luglio 2012

Nel precedente post abbiamo analizzato due frasi molto ricorrenti oggigiorno:
L'Europa ci chiede...; I mercati ci chiedono...
Riprendiamo il discorso.
In generale, le frasi che vengono pronunciate anche e soprattutto quando si riferiscono all'esposizione dei propri intenti o ad illustrare il proprio operato, volenti o nolenti denunciano la cultura alla quale  appartengono. Ma cosa si deve intendere per cultura innanzitutto?
In questo caso per cultura si deve intendere non tanto l'alto sapere culturale, o in altri termini l'alto grado di acculturamento, quanto piuttosto la concezione di vita, il proprio modo di operare nella vita e di concepire la stessa, il modus vivendi.
Naturalmente non tutte le persone hanno lo stesso modus vivendi perchè è evidente che non tutti hanno lo stesso tenore di vita o appartengono ad una stessa classe sociale, ad uno stesso ambito di vita.
Per questo le cose che diciamo rivelano e rispecchiano ciò che siamo o vorremmo essere e ciò che pensiamo del mondo o come vorremmo trasformarlo.
Per questo i problemi che queste frasi pongono si configurano come 'problema culturale', perchè denunciano l'appartenenza ad un tipo di cultura che è vissuto da chi le pronuncia, ma denunciano anche gli intenti che potrebbero tradursi in politiche che ricadono su tutti anche su coloro che non aderiscono alla stessa cultura. Infatti quando una idea si traduce in politica, naturalmente allarga il campo della propria portata e della propria azione, e va ad investire anche la vita reale e il modus vivendi di chi non condivide queste stesse idee, appunto.
Quindi, riassumendo, il problema che queste frasi rivelano è un problema che si configura come 'problema culturale' perchè queste stesse frasi si fondano su concezioni di vita personali ma che potrebbero non essere condivise. Sembrano essere in gioco concezioni di vita diverse, forse addirittura opposte. Esse si manifestano come 'problema culturale' perchè un problema culturale è anche quello che potrebbe scaturire dalla loro applicazione sul piano pratico. Ma anche perchè compito della cultura (o di una diversa cultura) dovrebbe essere quello di comprenderne la portata e di offrire degli strumenti concettuali tali da svolgere il compito di mitigarne gli effetti potenzialmente negativi.
E' quindi necessario, per non dire doveroso, soffermarsi a riflettere e cercare di capire quali sono queste diverse concezioni di vita e in che modo rapportarsi ad esse.
Fondamentalmente quello che la mia breve analisi ha cercato di mettere in luce è che queste frasi ci rivelano una concezione decisamente non antropocentrica. Cioè a dire una concezione che non mette al centro l'uomo, il suo essere corona della creazione secondo alcuni, il suo essere corona dell'evoluzione secondo altri o entrambe le cose prese insieme  secondo altri ancora.
Questa concezione rivela, al contrario, una impostazione che potremmo definire, passatemi il termine, artificio-centrica. Cioè mette al centro i prodotti dell'uomo ( cioè artificiali ) e li investe di una dignità superiore a quella dell'uomo stesso che li ha fatti: i prodotti e le creazioni dell'uomo si antepongono al proprio artefice ed hanno maggiore dignità del proprio artefice! Il che sembra evidentemente assurdo, almeno secondo il senso comune!
Chiediamoci ancora una volta:

ma l'uomo è stato fatto per i mercati o viceversa sono i mercati che sono stati fatti per l'uomo?

La risposta che si spera di ricevere da questa domanda, come abbiamo già detto nel precedente post, è che sono i mercati che sono stati fatti per l'uomo e non viceversa.
E questo fortunatamente rivela ancora oggi un residuo di quell'antropocentrismo che dal Rinascimento in poi si è andato affermando quando con maggiore insistenza e quando con minore fortuna o con qualche intoppo, ma in linea di massima in modo sempre abbastanza costante.
La concezione artificio-centrica è abbastanza singolare invece nella sua originalità e non si può nemmeno dire che riporti l'uomo ad una fase precedente al Rinascimento, cioè al medioevo perchè la concezione medievale, che pure da un punto di vista della topografia cosmica metteva al centro la Terra, creazione di Dio, era caratterizzata essenzialmente da una concezione Teo-centrica, da una concezione cioè che metteva al centro di tutto Dio.
La concezione artificio-centrica sembra quindi costituire addirittura un arretramento rispetto al medioevo. Eppure è una concezione che si manifesta attualmente a quanto pare e questo dovrebbe far lungamente riflettere. In altri termini, una domanda che potremmo rivolgere a noi stessi è: siamo forse noi che stiamo usando dei sistemi di interpretazione sbagliati o anacronistici, tali da farci sembrare anacronistico l' oggetto della nostra indagine?
Credo che innanzitutto sia importante sollevare la questione e poi tentare una risposta che si presenta articolata e che affronteremo nel prossimo post.
Intanto, per concludere, diciamo che se il dubbio prende è perchè  è difficile collocare la concezione artificio-centrica in un qualsiasi periodo storico. Ci stupiremmo di ritrovarla perfino nel mondo dell'uomo preistorico.
Probabilmente rappresenta una vera e propria novità anche se forse non in senso assoluto.
A scanso di equivoci, ci tengo a precisare comunque che non stò cercando di suscitare l'ilarità di nessuno, sia chiaro. Ma ci sono cose che non possono essere taciute e certe analisi vanno portate avanti fino ai minimi termini, anche al rischio di dare l'impressione opposta, perchè la posta in gioco è troppo alta. Non saprei in quali altri termini porre la questione. Lasciatemi dire che, al contrario, il tutto verte, e spero si senta, su una assoluta serietà, e anzi oserei dire preoccupazione.

Prosegue...

Il problema culturale
Tecnica mista su carta
2011-2012