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sabato 29 ottobre 2022

Diffusione del sapere scientifico o rispetto della riservatezza

Dopo l’insediamento del nuovo Governo, assistiamo a quello che sembra essere un cambio di orientamento rispetto a certe tematiche, specialmente quelle relative alla questione covid. Per esempio viene annunciato il reintegro del personale sanitario sospeso a causa del non adempimento all’obbligo di inocularsi un farmaco anticovid, cosa, quella del reintegro di cui francamente si sentiva proprio il bisogno, specialmente dopo un numero considerevole di autorevoli studi, vedi quello di The Lancet, che hanno dimostrato quanto questi farmaci non impediscano la trasmissione del famigerato nuovo coronavirus, unitamente al fatto che da essi possono scaturire numerose reazioni avverse, effetti collaterali purtroppo anche molto importanti, come dimostra Eudravigilance per esempio e che l’impiego precoce degli antinfiammatori avrebbe ridotto le ospedalizzazione del 90 per cento circa.
Questo cambio di orientamento sta scatenando però varie polemiche, in quanto sembra che ci sia tra i pazienti chi teme il contatto con un medico non “vaccinato” e così vorrebbe segni di riconoscimento inerenti questo stato, non essendo per fortuna in vigore la discriminatoria certificazione covid. Francamente la cosa è assurda, tuttavia persone che hanno paura di questo tipo di contatto sembrano essercene.
In ogni caso nessuno ha il diritto di sapere lo stato vaccinale e quello “vaccinale” degli altri, sono tutti dati giustamente ritenuti sensibili, protetti dal Garante per la Protezione dei Dati Personali. Sarebbe arrivato il momento di smetterla di forzare le situazioni, di sospingere a violare la riservatezza di queste informazioni, di dare questi esempi sbagliati, perché è sempre sbagliato incentivare un comportamento che non è rispettoso della riservatezza degli altri, un po’ di autodisciplina non guasterebbe. Del resto negli ospedali pubblici si seguono le norme deontologiche della pubblica amministrazione e queste sono sufficienti da sole a determinare intanto la regolazione dei rapporti tra colleghi. Ogni dipendente pubblico osserva la Costituzione, servendo la Nazione con disciplina e onore, assolve i propri compiti nel rispetto della legge, persegue l’interesse pubblico senza abusare della propria posizione o dei poteri di cui è titolare, deve essere obiettivo, corretto, in buona fede, indipendente e imparziale, evita comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti da svolgere. Ecco, pretendere di conoscere lo stato di un dipendente pubblico e non, rispetto alla vaccinazione in generale e alla “vaccinazione” covid in particolare, vìola la riservatezza di chiunque non voglia spontaneamente renderlo di pubblico dominio. E questo vale anche per i rapporti con i pazienti. Rimane una invadente domanda da porre eventualmente ad un medico e, sapete come si dice, chiedere è lecito, rispondere è cortesia. Teniamo presente che in questo caso però, se il medico non risponde, non è perché sia necessariamente scortese, data l’invadenza della domanda, non rispondere è cosi legittimo che non rappresenta certo un atto di scortesia, quanto piuttosto di autodifesa, particolarmente in un mondo che viaggia per schemi, pregiudizi ed etichette, per algoritmi meccanici, che spinge a ghettizzare chi non si allinea e che dispone delle informazioni come se si trattasse di armi. Eviterei di far sfociare tutto in una guerra di religione dove i ’credenti’ chiedono liste di proscrizione dei ‘miscredenti’ per attuare nei confronti di questi ultimi una personale discriminazione, per rifiutarli socialmente, per additarli ai consimili, a questo potremmo arrivare. Però c’è la legge, il GPDP, i codici deonotlogici, se non basta la scienza, quella vera, quella al riparo da conflitti di interesse e che pone nel dubbio, nella tecnica della incessante confutazione delle proprie tesi, da minare per saggiarne la consistenza, nella ricerca e nella letteratura specifica, un argine all’ignoranza diffusa, che solo questa è in grado di determinare un deterioramento come quello che consisterebbe nel far sfociare tutto in una guerra di religione. Dovrebbe pensarci la scienza, quindi, coadiuvata da una informazione che si fa divulgazione scientifica, tuttavia se quella, con l’aiuto di questa non ci arriva, per fortuna c’è appunto la legge. Come facevamo prima del famigerato nuovo coronavirus? Non chiedevamo la lista dei medici vaccinati per quella determinata malattia infettiva, ci si fidava, anche semplicemente delle proprie impressioni. Oggi invece abbiamo abdicato a percezione e propriocezione, in favore di rigidi algoritmi inculcati da una informazione che è stata di tipo terroristico, volta a spaventare per convincere, dove convincere sta per indurre alla soluzione unica, quella dell’inoculazione di un farmaco presentato come salvifico rispetto ad una malattia presentata come incurabile. Invece un problema complesso implica spesso una serie di soluzioni, NON una sola, ed è per questo che dovremmo da oggi, insistere prepotentemente nello sviluppo del pensiero divergente, quel tipo di pensiero che stimola alla ricerca di molteplici soluzioni ad uno stesso problema e che è suscettibile di trovarne. Mentre attendiamo che questo tipo di pensiero si affermi nella nostra società, dal momento che ce n'è tanto bisogno, possiamo auspicare un'ampia diffusione dei veri principi medici e scientifici, per evitare guerre di religione tra fazioni radicalizzate, tra 'credenti' e 'miscredenti' che non si piegano al nuovo dogmatismo, oppure che ci si disponga semplicemente al rispetto della riservatezza degli altri, degli altrui dati personali, senza pretendere di sapere ciò che non è giusto sapere.