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lunedì 30 luglio 2012

Il grande problema culturale di oggi

C'è un grande problema culturale in Italia e in Europa.
Lo si evince da tutta una serie di politiche e da tutta una serie di interventi inerenti le stesse politiche anche da parte di alti esponenti dello stato che da un po' di tempo ribadiscono ogni qual volta se ne presenta l'occasione quello che sembra essere diventato una specie di tormentone e che possiamo riassumere così:

L'Europa ci chiede..., i mercati ci chiedono...

E tutto questo per giustificare politiche appunto, che non vengono minimamente spiegate, se non con queste poche parole che sono del tutto insufficienti a illustrarne la portata, politiche nei confronti delle quali c'è una scarsissima informazione e una assenza di dibattito allarmante, essendo forse considerate per addetti ai lavori .
Ecco perchè mi prendo la briga di sottolineare che esiste un problema culturale molto esteso e molto presente ,che si somma agli altri problemi e che dovrebbe essere segnalato e dibattuto apertamente in più sedi possibili.
Pur nel rispetto delle opinioni diverse dalle mie e sopratutto nel rispetto di chi le esprime e delle eventuali istituzioni che chi le esprime rappresenta, con lo stesso spirito espresso nel post precedente mi premuro di offrire agli eventuali gentili lettori questa modesta dissertazione.
Quello che segue è soltanto il mio piccolo intervento che spero possa essere raccolto e sviluppato da persone più qualificate di me.

Esaminiamo allora le due frasi. A proposito di: 'L'Europa ci chiede'.

Intanto dobbiamo renderci conto subito fin dall'inizio che l'Europa è fatta dai suoi cittadini.
Sarebbe così scandaloso quindi dire che l'Europa siamo noi? Se lo fosse probabilmente ci troveremmo di fronte ad un giudizio che non considera la nozione di Europa dei popoli.
Non credo quindi che possano sussitere opinioni scandalizzate rispetto a questo punto.
Ma allora se non è scandaloso vuol dire che non c'è niente di cui scandalizzarsi e se non c'è niente di cui scandalizzarsi allora vuol dire che è vero, l' Europa siamo noi.
Intendiamoci per me questo è scontato, così come lo è per una moltitudine di cittadini europei ,ma temo che non lo sia per tutti.
Se esaminiamo la frase 'l'Europa ci chiede' con serietà scentifica dovremmo pur convenire che il presupposto teorico perchè questa frase possa sussistere prevede due soggetti, uno costituito dall'Europa stessa, l'altro da colui o coloro a cui l'Europa si rivolge.
I due soggetti si troverebbero come interlocutori l'uno dell'altra ma questo implica una  separazione, implica il fatto cioè che l'uno e l'altra siano due cose diverse.
Intendiamoci, la frase in sé e per sé ha una sua efficacia mediatica e sintetizza una certa realtà, e chi la usa probabilmente cerca di comunicare in forma breve un concetto che altrimenti richiederebbe un dispendio di parole notevole probabilmente. Tuttavia, anche se chi la usa non intende, almeno nelle intenzioni, distingure e seperare i due soggetti cioè l'Europa e i suoi  interlocutori di fatto questo da un punto di vista della comunicazione oggettiva è esattamente ciò che avviene, ed è ciò che viene comunicato e percepito al di là di ogni intenzione.
Credo che sia giusto farlo presente. Credo che sia giusto fare presente che si tratta di una frase che esclude e non include.
Se invece la cosa è consapevole allora ci si trova di fronte ad un problema culturale che può essere sintetizzato dalla domanda: ma allora che cos'è l'Europa? o meglio, che cos'è l'Unione europea?
Dovremmo cercare di rispondere innanzitutto a questa domanda prima di intraprendere qualsiasi tipo di politica comunitaria. E' o non è fondamentale sapere cosa si è prima di decidere in quale direzione andare? Ma purtroppo non c'è una Costituzione che ce lo dica.
In mancanza di una Costituzione che ce lo dica è necessario e doveroso continuare a pensare che l'Europa siamo noi! Soprattutto se si è pienamente convinti di questo e non c'è nessuno che ci dica e ci spieghi che è sbagliato pensarlo!
Dunque, l'Europa ci chiede...ma noi non siamo sicuri di esserci rivolti richieste simili, potremmo dire!

A proposito di: 'I mercati ci chiedono'.

Quanti economisti di fronte a questa frase si saranno chiesti: a quali mercati si allude?
Perchè dire mercati significa dire compravendita e la compravendita avviene là dove esiste la merce e il compratore, anche quello che compra al dettaglio. Ogni negozio è mercato.
In questa frase sembra invece emergere una visione più ristretta della nozione di mercato, forse si allude alla borsa valori. Ma il mercato è più esteso, smentitemi se sbaglio.
Allora com'è possibile pensare che si stia cercando di aiutare il mercato quando le politiche di austerità implicheranno una riduzione degli scambi di compravendita e quindi una contrazione dei mercati?
Ma sopratutto c'è una domanda che vorrei porre, una domanda che non è mia benchè non sappia a onor del vero a chi attribuirla, e mi scuso per l'ignoranza. Ma i gentili lettori più esperti, se ve ne saranno ,cosa che io spero, avranno forse già individuato la persona a cui attribuirne la paternità, e la domanda è la seguente:

ma è l'uomo che è stato fatto per i mercati o sono i mercati che sono stati fatti per l'uomo?

Io credo che i mercati siano stati fatti per l'uomo, e non l'incontrario e voi che ne pensate?
Dovremmo dunque essere noi a rivolgere delle richieste ai mercati e non viceversa.
Ecco dunque un problema culturale sul quale dovrebbero aprirsi dei dibattiti perchè ci sono evidentemente delle opinioni divergenti tanto da essere diametralmente opposte.
Talvolta sembra quasi che l'insistenza con la quale certe frasi vengono ripetute sia quasi fatta di proposito per suscitare dibattiti, il che da questo punto di vista è apprezzabile, peccato però che ciò non avvenga nelle  proporzioni commisurate all'entità e alla portata della questione!

Prosegue...

venerdì 20 luglio 2012

Sappiamo davvero cos'è il fiscal compact?

E' con grande amarezza che apprendo la notizia fresca dell' approvazione in Italia del fiscal compact.
Ed è per dare questa notizia che interrompo temporaneamente la serie di post che mi ero prefissato di pubblicare secondo una ideale scaletta.
Sono un operatore artistico, è vero, ma prima ancora sono un cittadino della Repubblica Italina e come tale vivo le vicissitudini della mia nazione che non mi sono indifferenti, quando con grande attenzione e quando distrattamente. Ma in questo caso la notizia è di una tale rilevanza che non è proprio possibile disinteressarsi o passarla sotto silenzio.
Sono un cittadino che crede nella democrazia, nelle istituzioni, nella Costituzione, e come tale faccio mio l'invito di quest'ultima di approfondire un argomente per ' il benessere spirituale o materiale della società' ( Art.4). E' così, sotto l'invito della Costituzione, sotto l'invito di chi chiede partecipazione e concorso di idee, che mi accingo serenamente, e con pacatezza, pacificamente e democraticamente, rispettoso delle altrui idee ma soprattutto di chi le esprime, ad esprimere a mia volta le mie su questo argomento, certo di ricevere lo stesso trattamento.

E' con amarezza dicevo, sì perchè la decisione presa dalle camere ignora del tutto o quasi la moltitudine di opinioni contrarie, le quali opinioni hanno avuto il solo torto di trovare una scarsa eco nei mezzi di informazione di massa. Non così in internet però. Ed è per questo che suggerisco agli eventuali lettori di cercare notizie in rete. E' principalmente lì che l'encomiabile lavoro di alcuni cittadini, alcuni dei quali con una reale preparazione specifica sugli argomenti, ha fatto luce su quelli che possiamo definire i lati oscuri di questo trattato e dei trattati concomitanti. Ma la maggioranza del pubblico, la maggioranza dei cittadini è alla radio e alla televisione o anche dai giornali che attinge le notizie. Ed è lì che avremmo potuto assistere ad una maggiore confluenza di informazioni, che sarebbe stata gradita a molti, così come sarebbe stato auspicabile assistere a dibattiti pubblici in fasce orarie maggiormante seguite. Le persone guardano soprattutto i telegiornali ma purtroppo non è dai notiziari, i quali, per loro natura, riportano prevalentemente fatti già avvenuti,  che sarebbe stato possibile formarsi una opinione autonoma sulla questione.
Internet funziona ma l'informazione è ancora fisiologicamente e ovviamente sbilanciata a favore dei mezzi di informazione più tradizionali. Di questo non dobbiamo stupirci.
Mi chiedo quanto i parlamentari sappiano della distanza della loro decisione dal sentimento e dall'opinione popolare diffusa, anche a livello europeo, ed è anche per questo, che con l'approvazione del fiscal compact essendosi palesata per noi questa distanza, che credo sia utile per loro sapere che la distanza è notevole.
Vediamo dunque che cosa è stato approvato:
Ciò che è stato approvato è un trattato la cui costituzionalità a detta di molti è dubbia.
Per questo come semplice cittadino, e non come altro, ma insieme con gli altri, vorrei invitare la Corte Costituzionale a prendere in esame la questione e ad esprimersi.
L'impressione generale è che sia stata ratificata  la cessione della sovranità nazionale in metaria di politica economica. La mia domanda, come la domanda di molti è: si era consci di questo? E se sì, si può fare?
Chi ha ricevuto mandato da parte dei cittadini di cedere la sovranità nazionale? C'è qualcuno che può alzare la mano e dire: Sì, io l'ho recevuto questo mandato?
Qui non intendiamo dire che non si debba discutere anche di questioni e argomenti 'scottanti' ma l'importante è appunto farlo, discuterne. Credo che certe decisioni, debbano essere discusse pubblicamente e forse prese a suffragio universale, data l'entità dell'argomento.
Dopotutto il trattato di Maastricht impegnava le Alte parti contraenti a prendere le decisioni più vicine possibile ai cittadini. Questo è stato rispettato? E' ignorando questo articolo ( Art. A) che si pensa di arrivare all'Europa di popoli?
Ciò che è stato ratificato è l'obbligo giuridico di rientrare dal debito pubblico. Rientrare dal debito pubblico in sé e per sé è cosa positiva ma  dovrebbe essere un obiettivo politico e non un obbligo giuridico.
Trasformarlo in obbligo giuridico significa concedere l'apparente diritto ( ripeto apparente ) di tagliare fondi, stipendi, pensioni e altro ancora a enti e persone che già fanno fatica ad andare avanti, e in ultima istanza impoverire il Paese con politiche di austerità che tutto fanno tranne che stimolare la domanda e la crescita.
Anche in questo caso sono molti i giudizi tecnici di economisti che dicono che così non ci sarà crescita. Tra l'altro questo significa altresì mancare all'invito fatto dallo stesso presidente degli Stati Uniti d'America di redistrubuire la ricchezza, ricordate il motto : redistribuzione!? Certo si tratta di un semplice invito ma se si è veramente alleati degli Stati Uniti non si può esserlo a corrente alternata, io credo. Se siamo alleati degli Stati Uniti non dobbiamo esserlo soltanta quando si tratta di inviare truppe in missione di pace!
Se siamo alleati degli Stati Uniti allora dobbiamo esserlo anche nel momento della "redistribuzione"!!!
Ma qui, secondo molti, stiamo imboccando la strada inversa!
Però riprendiamo. Apparente diritto di tagliare dicevo, perchè questo trattato non può cambiare da solo la Costituzione al cui primo articolo si dice che  "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro".
Al primo articolo si dice anche che " La sovranità appartiene al popolo" e invece con questo trattato viene ceduta ad un organo intergovernativo che non fa parte delle istituzioni europee, un organo per metà semielettivo e per metà costituito da ricchi privati cittadini ( e quindi praticamente non elettivo) che perseguono fini tendenzialmente privatistici  e che si troverebbero a gestire centinaia di miliardi di euro a proprio piacimento e senza dover rendere conto a nessuno.
Anche questa Superstruttura non sembra 'il più vicina possibile ai cittadini'! 
Ma per adesso vorrei far notare una prima contraddizione piuttosto evidente che emerge da questi trattati:
Com'è possibile per uno stato che deve versare 125 miliardi di euro al suddetto organo che non fa parte delle attuali  istituzioni europee e che è sostanzialmente non elettivo cioè il Meccanismo di Stabilità Europeo (MES o ESM) rientrare dal debito pubblico, che è cosa difficilissima anche per il più virtuoso degli Stati? com'è possibile che uno Stato a cui si tolgono le risorse per rientrare dal debito pubblico, poter onorare questo impegno e rientrare appunto dal debito pubblico? In altri termini: come si può pagare se vengono tolti i soldi?
Dobbiamo poi notare che nel momento in cui si danno soldi a prestito, cioè con una percentuale di interessi, è in quel preciso momento che viene creato un debito. E allora in uno Stato che si basa sul credito ( e quindi sul debito ) in uno Stato cioè che crea consapevolmente un debito, il debito pubblico è cosa talmente fisiologica e connaturata e scontata che il suo estinguersi è praticamente una chimera! Dovremmo quindi cedere massicce quantità di soldi a questo organismo non istituzionale ( cioè che non fa parte delle istituzioni europee) e non elettivo per poi riprenderli a debito per far fronte ad un debito interno che è praticamente fisiologico?
La fisiologia del debito è nota fin dall'antichità!
Per questo antiche culture come quella ebraica avevano istituito l'anno giubilare. Ogni sette settimane di anni più un anno, cioè ogni 50 anni arrivava questo anno giubilare. Questo anno particolare era annunciato dal suono del corno di ariete che si chiamava jobel, da cui giubileo appunto. Durante questo anno tutti i debiti venivano sistematicamente e convenzionalmente estinti. E questo perchè non c'è altro modo per estinguere un debito fisiologico. Contrariamente a quanto una certa cultura trasversale antisemita voleva farci credere, il popolo ebraico non solo non è fatto - e qui uso una brutta parola molto abusata in passato dai suoi detrattori - di strozzini, ma al contrario nella loro cultura era presente questo anno giubilare che dimostra in modo inequivocabile un senso di equità assolutamente lungimirante.
Prendiamo esempio da questa antica e nobile cultura, e meditiamo su questa opportuna soluzione convenzionale.
Intanto assimiliamo con autentica amarezza e con dolore la recentissima notizia, pensando a quante istanze dei cittadini siano rimaste inascoltate, a quante persone hanno avanzato questi stessi dubbi senza poter far pervenire la propria voce alla destinazione che essi auspicavano.
A proposito di auspici, auspichiamo fortemente che la classe politica  si dimostri più sensibile a ricevere le preoccupazioni, i dubbi, le idee del popolo sovrano, del proprio popolo elettore e faccia di questa sensibilità un punto imprescindibile a cui ricorrere sempre. E' essenzialmente sulla base di questa capacità recettiva che credo possa svilupparsi una autentica democrazia!

Caos sociale
Tecnica mista su carta
2011-2012

lunedì 9 luglio 2012

Le ragioni del lavoro

...Continua da abcd

Nel post precedente abbiamo visto come intorno ai monasteri si sviluppa tutta una serie di attività che in parte sono svolte dai monaci stessi ma in parte no. La vita del monastero non è completamente chiusa al mondo esterno, anzi, essa ha bisogno proprio del mondo esterno per il proprio approvvigionamento e per tutta una serie di altre cose. Vige un alto grado di autonomia ma non una vera e proprio autonomia totale, anche perchè questo, per certi versi, potrebbe addirittura contrastare con la stessa missione evangelica. Dunque intorno al monastero si sviluppano delle attività, si fa del commercio, vari mestieri trovano una possibilità di applicazione e tra questi abbiamo visto come anche gli artisti-artigiani trovino una loro appropriata collocazione.
Dal lavoro in generale, quindi, siamo passati a valutare il lavoro dell'artista artigiano in particolare.
Abbiamo per esempio visto come spesso, questi artisti dovessero spostarsi da un centro ad un altro e che, anche per questo, era decisamente pratico essere remunerati in moneta anzichè in natura.
Durante il medioevo ed il Rinascimento il sodalizio tra il clero e gli artisti è molto stretto e i rappoprti umani e gli scambi culturali, oltre che avvenire nelle celebrazioni ufficiali avvengono anche in altra sede, in modo ufficiso nei rapporti di lavoro, o di altro genere.
Di artisti religiosi e devoti ce ne sono stati molti nella storia dell'arte. Leonardo da Vinci per esempio credeva profondamente in Dio, ma anche Michelangelo, e come non citare Raffaello, il Botticelli e la lista sarebbe lunga. Certo spesso accade che qualcuno inciampi, sbagli, ecceda, ma sostanzialmente la fede rimane e quasi in tutti.
In effetti è difficile incontrare artisti medievali e rinascimentali, ma anche manieristi e barocchi che non avessero fede, anche in virtù dell'arte stessa che essi dipingevano o scolpivano che era prevalentemente sacra, così come furono molti gli artisti credenti anche dei periodi successivi.
Non solo ma alcuni artisti erano perfino degli ecclesiastici cito a titolo di esempio: Beato Angelico, Filippo Lippi, Padre Pozzo ecc...
E fino all'invenzione della stampa come dimenticare l'opera culturale, in certi casi altamente artistica, per non dire straordinariamente artistica degli amanuensi che erano prevalentemente monaci.
Non dobbiamo dimenticare poi che dall'anno mille in poi contemporaneamente ai monasteri si sviluppano i liberi comuni dai quali emergono a sua volta i più variegati mestieri artigiani e le botteghe annesse e connesse.
Ecco, in questo periodo possiamo, dunque, vedere come cominci ad emergere, ad essere capita e ad essere vissuta appieno quella che possiamo definire l'inclinazione del singolo individuo verso una attitudine o un mestiere.
Un bell'esempio di questo lo troviamo nell'opera letteraria di Giorgio Vasari ossia ne 'Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori da Cimabue insino a' tempi nostri'.
All' inizio di ogni vita infatti si narra dell'infanzia del singolo artista e di come manifesti una certa propensione artistica piuttosto che un altra e di come questa venga poi variamente assecondata da chi ne fa le veci.
E così in questa varietà di mestieri e attività e per sancire una volta di più il sodalizio tra arti in senso lato e mondo ecclesiastico, ma direi anche il mondo della fede in generale si è ben pansato di attribuire ad ogni mestiere un santo patrono.
Finisco questa pubblicazione proprio facendo notare come ogni mestiere abbia appunto un suo santo patrono. Per esempio per i pescatori i santi patroni sono San Pietro e Sant'Andrea, per i pellicciai San Giovanni Battista, per i traduttori San Gerolamo e così via...
Anche gli artisti naturalmente hanno il loro santo patrono e protettore: San Luca Evangelista.
Anche il Cennini lo cita definindolo: 'primo dipintore cristiano'.
Può darsi che il Cennini lo ritenesse davvero un pittore, come forse la maggior parte dei suoi contemporanei, non so esattamente.
In realtà però, San Luca Evangelista non era un pittore bensì un medico, ma per quel mirabile ritratto ancorchè letterario che fece nel suo Santo Vangelo, il ritratto della Vergine Maria, Dilettissima Avvocata di tutti i peccatori, venne raffigurato come pittore, proprio nell'atto di compiere questo ritratto. Attraverso, quindi, una traslazione di significato il ritratto letterario è divenuto ritratto pittorico. E così è stato raffigurato per esempio da Jean Van Eyck, e poi da Raffaello, Guercino ed altri, come pittore appunto.
In ogni caso, comunque la si pensi  egli è divenuto il santo patrono degli artisti in generale.
Dopotutto anche l'arte letteraria è, appunto, arte!

martedì 3 luglio 2012

Le ragioni del lavoro

Continua da abc

Ma l'importanza che il lavoro rivestiva nella vita sociale e reale delle persone, e la percezione del  suo  essere strumento fondamentale era intuito chiaramente fin dal principio ed è andato esplicitandosi e chiarendosi nel corso della storia,  e la stessa storia del cristianesimo ha dato un   suo  contributo  non  indifferente  alla chiarificazione anche teorica del suo ruolo e del suo valore morale.
A tale proposito giova ricordare, per tornare ancora una volta al medioevo, quello che fu il motto dei monaci Benedettini già nell'alto medioevo appunto:
'Ora et labora', cioè prega e lavora!
Certo è doveroso anche ricordare un particolare di non poco conto e cioè che coloro che aderivano alla regola benedettina quando lavoravano non lo facevano dietro compenso di denaro, bensì appunto per obbedire alla regola, ed i frutti di questo lavoro andavano a beneficio dell'intero monastero, dell'intera comunità.
Tuttavia da questo motto è anche possibile evincere quale valore venisse attribuito al lavoro dagli stessi Benedettini e cioè come il lavoro stesso fosse investito di grande considerazione e di alto valore morale.
In ogni caso, per varie ragioni sulle quali non ci dilungheremo in questa sede, dobbiamo ricordare anche che gli stessi monasteri del medioevo ed i territori circostanti che, tra l'altro venivano dissodati e amministrati con grande oculatezza, divennero centri e territori oltre che di vita religiosa e culturale, anche di vita economica.
(parafrasi da Mito Storia Civiltà, Minerva Italica)

Grazie anche a questo i monasteri poterono adornarsi, come abbiamo già accennato, di opere d'arte, di opere legate cioè al gusto estetico, per fungere da esempi  esplicativi quando per esempio descrivevano scene bibliche o evangeliche, mostrate per educare il popolo o i confratelli. Tuttavia esse, in quanto legate al gusto estetico fungevano anche da abbellimenti.
Queste opere erano il frutto di una sapienza artistico-artigianale di operatori altamente specializzati e potevano essere di vario genere: architattoniche, scultoree, pittoriche, toreutiche, di ebanisteria ecc.
E' più che probabile che taluni di questi artisti-artigiani venissero pagati in natura, ma sicuramente molti lo furono anche monetariamente, o in entrambi i modi.
In ogni caso l'uso della moneta come mezzo di remunerazione anche in questi ambienti andrà diffondendosi in modo sempre maggiore e non c'è ragione di cui scandalizzarsi. Il motivo lo abbiamo sostanzialmente già detto: la moneta rendeva estremamente agile la remunerazione dell'artista-artigiano, era insomma molto pratica. Non tutti potevano permettersi di portare in giro capi di bestiame o forme di formaggio!
Soprattutto per coloro che svolgevano la loro attività in modo itinerante, spostandosi cioè di centro in centro anche per centinai di miglia era molto comodo essere pagati in moneta piuttosto che in natura.

Prosegue...abcd

lunedì 2 luglio 2012

Le ragioni del lavoro

Continua da ultimo post di giugno

Riprendiamo la nostra modesta indagine sulle ragioni del lavoro dal punto in cui l' abbiamo lasciata cioè dal tema della moneta.
Come tutte le invenzioni, anche quella della moneta - e quest'ultima particolarmente, se mi si passa la battuta!- presentano due facce della medaglia, a seconda dell'uso che se ne fà.
Così ciò che è pensato per il bene generale dell'essere umano può finire per rappresentare in talune circostanze  una fonte di discriminazione sociale, di corruzione, ingiustizia, malcostume.
Tutto dipende! Ma il denaro è neutro e incolpevole. E' l'uso che se ne fa che può determinare i più svariati esiti,e che può essere encomiabile o stigmatizzabile.
Ci sono stati addirittura dei papi che hanno vigilato sull'uso della moneta e sono intervenuti affinchè potesse prevalere un uso encomiabile e non stigmatizzabile della stessa, un uso giusto e non discriminante, come per esempio l'universalmente stimato papa Gregorio Magno.
In ogni caso, per ritornare al punto di prima, con l'invenzione della moneta tutto cambiò.
Ed anche la stessa moneta col tempo è cambiata, anche lei ha subìto una sua evouzione divenendo, grazie alla Cina che l'inventò e a Marco Polo che l'introdusse in Europa, cartacea oltre che metallica, divenendo cioè carta-moneta.
Insomma con la moneta, cartacea o metallica che fosse molte trasformazioni anche nel lontano passato furono possibili.
Le scorte non erano più necessariamente scorte di soli beni materiali anche commestibili, ma perfino scorte di denaro. Era nato insomma il risparmio! Chi lavora non solo può sopravvivere  ma può anche risparmiare. E con il risparmio arriva la possibilità di acquistare beni sempre più costosi, perfino quelli immobili.
Così la proprietà privata legata principalmente in un primo momento ai beni mobili finisce con l'estendersi ai beni immobili appunto, e lo stesso concetto di proprietà privata si estende, dando un notevole contributo all'emancipazione dell'essere umano.
E più fonti di risparmio messe insieme hanno costituito, in passato,il passaggio fondamentale per la messa in opera di importanti cantieri, per la costruzione di opere pubbliche e private, come i palazzi dei governatori, gli edifici ecclesiastici ( chiese, cattedrali, battisteri) ecc., a loro volta decorate da statue, dipinti ecc. cose che l'esistenza della moneta ha decisamente favorito e facilitato.
Da allora, cioè dall'invenzione della moneta, la realtà sociale rispetto alle origini si era fatta decisamente più complessa, variegata, multiforme. Grazie a questa maggiore complessità vanno aumentando talune possibilità e, di conseguenza, diminuiscono certe limitazioni nel 'fare'.
E queste nuove possibilità ancora una volta vanno ad incrementare il numero dei lavori possibili.
Che valore dare allora a questo oggetto particolare che si chiama moneta?
La moneta è un mezzo convenzionale utile per ottenere beni di vario genere, un mezzo e non un fine.
Ci sono illustri premi nobel che dicono che la moneta non è voluta per se stessa, quanto piuttosto per le cose che consente di comprare, poichè è un mezzo e non una merce.
Ed oggi questo dovrebbe essere ancor più vero perchè la diffusione della moneta è universale.
Ma dobbiamo constatare come in certi casi essa stessa sia trattata da merce e non da mezzo, ed è questo un tema molto dibattuto ai giorni nostri. C'è chi vede il contrapporsi della cosiddetta economia reale a quella dei derivati. Di fronte alle crisi economiche molti illustri personaggi sostengono divedere una via d'uscita in una sorta di ritorno all'ordine che veda il suo appoggio all'economia reale che è alla base di tutto il sistema economico. 
La nozione di economia è oggi così strettamente legata a quella di lavoro che non possiamo citare l'una senza richiamare automaticamente l'altra, e parimenti non possiamo citare la nozione di lavoro senza quella concomitante di remunerazione e di conseguenza anche di moneta.
Per questi stretti legami di relazione e di senso tra lavoro, moneta ed economia, legami che si fondano su strette e concrete relazioni oggettive non si può, ribadisco, citare uno di questi termini senza richiamare immediatamente gli altri. Ecco che allora il valore dell'ecomomia viene rievocato in modo diretto o indiretto spesse volte e a più livelli, perfino in certe Costituzioni Nazionali come quella italiana per esempio il cui primo articolo dice:

'L'Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro.'

Prosegue... abc


Il caos è fondato sull'assenza del lavoro
Tecnica mista su carta
2011