Per le tecniche miste su carta o altre tecniche che compaiono in questo Diario Elettronico firmate a nome Alessio, tutti i diritti sono riservati.







martedì 27 ottobre 2020

Riconoscimento molecolare del tampone con la Reazione a Catena della Polimerasi

Come avviene il riconoscimento molecolare? Ho cercato lungamente questa risposta poiché la ritenevo di fondamentale importanza per comprendere il fenomeno del coronavirus, anche negli aspetti sociali e in quelli legati all’uso dei mezzi di informazione di massa. La tecnica del riconoscimento molecolare è chiamata Reazione a Catena della Polimerasi. Adesso, per fortuna se ne sta parlando, benché non quanto si dovrebbe. La polimerasi è un processo chimico mediante il quale si ottiene un polimero a partire da sostanze a basso peso molecolare, come dei monomeri. In chimica, un monomero è un composto generalmente a basso peso molecolare, appunto, dall'unione delle cui molecole si forma un polimero. Questa tecnica amplifica il contenuto dei tamponi, qualunque esso sia, anche se è composto da una grande percentuale di genoma umano ed è quindi definita largamente aspecifica. Nel caso del covid, essendo il suo genoma costituito da RNA, cioè da una sola elica si deve prima procedere alla trascrizione inversa, che deve affidare a ciscun nucleotide dell’RNA il nucleotide complementare, ed arrivare al DNA. Clementi direttore di microbiologia del San Raffaele di Milano, dice che i risultati oltre i 30 cicli di amplificazione della PCR dovrebbero essere considerati automaticamente negativi e quelli fatti oggi in Italia vanno dai 32 ai 40 cicli. In base ad altre autorevoli opinioni andare sopra i 30 cicli significa produrre spazzatura. Se è così, decisioni importantissime vengono prese sulla base di risultati che taluni scienziati considerano spazzatura. I cicli di amplificazione generalmente vengono alzati quando i tamponi contengono minime sequenze virali, cioè quando la presenza virale, è quantitativamente irrisoria, cosa che dovrebbe dimostrare già di per se stessa che ci troviamo dinanzi a una potenziale dose non infettante, anche nel caso in cui quel minimo campione virale dovesse essere covid, e non è detto che sia così. Dobbiamo tenere presente che i migliori tamponi producono il 51 per cento di falsi positivi, i peggiori il 91 per cento. In sostanza, le impressioni che riceviamo sul fenomeno covid, sono condizionate e derivano da interpretazioni di dati raccolti con sistemi che non sono validati dall’Istituto Superiore di Sanità, da risultati che taluni considerano spazzatura e, peraltro, ad aggravare la situazione, le informazioni inerenti positivi, malati e ricoverati, vengono veicolate mediaticamente senza operare le opportune distinzioni. Est modus in rebus, c’è un limite nelle cose, anche nell’informazione, un limite varcando il quale non può sussistere il giusto, per cui anche il sensazionalismo non rende più, poiché contribuisce alla diffusione del malcontento generale della Nazione.