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giovedì 12 agosto 2021

Cosa ne è stato dell'eziologia e della patogenesi nella vicenda covid?

Eziologia e patogenesi, cioè rispettivamente quel ramo della medicina che ha per oggetto l’indagine sulle cause delle malattie e quello che ha per oggetto il modo con cui insorgono, sono molto complesse. Stabilire la causa di una malattia non è cosa banale né semplice. Dobbiamo innanzitutto tenere in considerazione che esse ci insegnano che per l'insorgenza di una malattia difficilmente esiste una causa sola. Per avere idea della complessità teniamo presente che le categorie delle cause di malattia possono essere suddivise in determinanti e coadiuvanti, in necessarie e favorenti, in dirette e indirette, in sufficienti e insufficienti. Esse si mescolano in varie combinazioni. Portiamo ad esempio il mycobacterium tuberculosis,  il bacillo della tubercolosi, famoso anche come bacillo di Koch, esso è causa necessaria e tuttavia non sufficiente della tubercolosi. Per questo ed altri esempi si è diffuso così tra gli esperti di patologia il convincimento e quindi la nozione concomitante per cui uno stato di malattia si realizza quando vi è una costellazione di agenti causali. Questo per una singola malattia e teniamo presente che un decesso può dipendere da varie malattie.
Proviamo quindi a considerare una situazione in cui sono appunto presenti varie malattie. Potremmo parlare a ragion veduta di molteplici costellazioni di agenti causali. Quindi, se  una persona affetta da molteplici malattie, ciascuna con la propria costellazione di cause, giunge purtroppo alla morte, questa probabilmente dipende da molteplici costellazioni di agenti causali. Potremmo parlare forse di una "galassia" di genti causali.

Questo vale anche per la malattia per cui il nuovo coronavirus è necessario e tuttavia non sufficiente, giacché anche quando i sistemi diagnostici di rilevamento dichiarano positiva al nuovo coronavirus una persona, questa nella maggioranza dei casi non ha sintomi, quindi non ha neanche malattia. In questo caso il virus c'è, però non è sufficiente a sviluppare la malattia.

Nel giudicare la presenza di un agente patogeno, in questo caso virale, i sistemi diagnostici devono essere estremamente affidabili e non sempre è così. Possiamo anzi affermare che a causa di un sistema diagnostico giudicato inidoneo da vari tribunali e molto discusso, diviene maggiormente facile giungere ad un errore nell'attribuzione di una causa, spesso anche della sola presenza del virus.
Proviamo infatti a immaginare una situazione nella quale un sistema diagnostico inappropriato designi come positiva al nuovo coronavirus una persona che il virus non l’ha nemmeno sfiorato e che però ha magari varie malattie, un classico caso di falsa positività su una persona con malattie pregresse, come ce ne sono stati tanti, anzi tantissimi. Questa persona, se dovesse morire, verrebbe annoverata tra i decessi covid, e andrebbe a infoltire il numero di quelli che vengono categorizzati, in modo purtroppo così superficiale, come decesso covid, appunto. Ecco, le tabelle che ci vengono propinate ogni giorno purtroppo contengono questi errori e sarebbe necessario giungere ad ammettere questo il prima possibile e quantificare la percentuale di errore, così da correggerli. Errare è umano, correggersi divino.
È giusto o non è giusto chiedersi se eziologia e patogenesi, in questa circostanza, non siano state in un certo senso svilite?
Non dovremmo in nome della scienza che così spesso viene chiamata in causa in questa vicenda, e per difendere il suo buon nome, indignarci e protestare perché queste branche della medicina vengono così ridotte?
Se rileggessimo i dati alla luce di queste eventuali correzioni probabilmente assisteremmo a un vistoso ridimensionamento delle cifre.

La domanda che sorge spontanea in un crescente numero di cittadini è come sia possibile che con una mole enorme, incalcolabile, di ore dedicate al nuovo coronavirus, questi argomenti non vengano mai nemmeno sfiorati. Eppure sono essenziali. Se vogliamo uscire da questa situazione, magari anche con un arricchimento delle nostre conoscenze, dobbiamo chiedere all'informazione di affrontare certi argomenti. Avere una adeguata informazione è di fondamentale importanza.

A questo proposito, il direttore scientifico dell'Enciclopedia medica da cui ho tratto molte delle nozioni qui esposte, Pier Gildo Bianchi, era un convinto assertore del fatto che nel campo medico e scientifico una adeguata informazione si dovesse imporre come dovere civico.

Dove sono oggi i Pier Gildo Bianchi che convalidino questo convincimento? Penso che ce ne siano, anzi, so che ci sono, però purtroppo non giungono così sovente in televisione.

Quanto è stata considerata la nozione di falso positivo?

Si è mai giunti ad un dibattito sui sistemi diagnostici con PCR?


Se considerassimo il numero dei falsi positivi, se considerassimo altresì che scremato questo numero i restanti reali positivi per una buona percentuale non hanno magari sintomi e non possono quindi essere considerati malati, che gli altri ne hanno di lievi e alcuni purtroppo di gravi, ecco, se considerassimo tutto questo ed aggiungessimo a questo il fatto che anche il conteggio dei decessi dovrebbe presumibilmente subire un ridimensionamento in considerazione del discorso che facevamo prima, non sorgerebbe l’impressione che le cifre sciorinate quotidianamente, come bollettini di guerra, non corrispondano al vero?

Cosa direbbe Pier Gildo Bianchi del sistema comunicativo usato per il nuovo coronavirus e la malattia di cui è fattore necessario e tuttavia non sufficiente?

mercoledì 4 agosto 2021

Insegnare nella Scuola che non è mai stata luogo di contagio da nuovo coronavirus è possibile

Premetto che sono contrario all’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie, che tante sofferenze sta causando agli stessi, nell’indifferenza di chi queste sofferenze ha provocato e sono solidale con quanti stanno soffrendo per questa ragione.
Avrei voluto anche evitare di dare l'impressione di cadere ingenuamente in quella che potremmo definire la trappola della guerra tra poveri, per cui invece di dare l'idea di combattere una battaglia comune sembra che ci si metta gli uni contro gli altri a elencare le differenze che ci distinguono piuttosto che le cose che ci accomunano. Del resto queste situazioni, legate a questioni di salute pubblica e a processi decisionali che dai vertici si riverberano sulla popolazione, sono intrinsecamente molto difficili e tali per cui a chi le suscita, consapevolmente o no, sembra anche non sfuggire poi il fatto che esse possano sfociare in dinamiche di questo tipo, tali per cui, chi va ad operare dei distinguo sulla base di legittime osservazioni, rischia di essere frainteso innescando processi di erosione delle potenziali sinergie. Sono scenari che sembrano quasi previsti a tavolino. Per questo mi scuso con il personale sanitario se nel cercare di difendere la posizione degli insegnanti, la circostanza mi sospinge quasi inevitabilmente a fare dei paragoni che potrebbero dare la sensazione di prendere le distanze dai sanitari stessi. Non è così. Ben lungi dal ritenere che le argomentazioni addotte per suffragare l'idea dell'obbligo "vaccinale" per il personale delle professioni sanitarie siano sufficienti per imporlo e trovando anzi che siano lacunose nonché che sussistano tesi numerose e autorevoli per le quali appare maggiormente opportuno e ragionevole che obbligo non vi sia, nondimeno venendo impugnate quelle stesse tesi per ventilare un eventuale obbligo anche per il personale scolastico mi trovo costretto a commentarle per sottolinearne l'inconsistenza. Questi raffronti infatti hanno semplicemente lo scopo di dimostrare che quelle argomentazioni che sono state usate per sostenere l’idea dell’obbligo "vaccinale" per il personale sanitario, penso soprattutto al contatto coi pazienti, per gli insegnanti non sono minimamente applicabili e i luoghi dove si svolge il lavoro dei primi, come studi medici, pronto soccorso, ospedali, cliniche, non sono paragonabili in nessun caso alla Scuola. Queste argomentazioni non hanno proprio senso per quanto riguarda il contesto del personale scolastico.
Come dicevo nell'articolo precedente, per fortuna ho fatto l'ultimo anno scolastico quasi integralmente in presenza, e per le classi prime totalmente in presenza. Giova ricordare innanzitutto che insegnare in presenza non significa e non ha mai significato, neanche in periodi ordinari, avere contatti stretti.
Quando sento dire che i "vaccini" avrebbero lo scopo di evitare la didattica a distanza e di favorire la didattica in presenza la prima cosa a cui penso immediatamente è che io ho già insegnato in presenza in assenza di vaccini, in una situazione giudicata complessa a causa dell'epidemia e delle misure emergenziali, ed è andata benone, direi. A quanto pare sono sopravvissuto io e gli alunni.
Ho insegnato in presenza, esattamente senza "vaccini" e posso quindi affermare dalla mia esperienza che evidentemente è già stato possibile insegnare, durante una epidemia, durante uno Stato di emergenza, ancorché giudicato illegittimo quest'ultimo, per esempio dal tribunale penale di Pisa. A proposito di Stato di emergenza, oggi peraltro questa misura non solo non è legittima in quanto tale, non è legittima neanche in considerazione del fatto che il 31 di luglio è scaduto il tempo massimo di rinnovo delle proroghe, che non possono superare i dodici mesi, tale per cui questo rinnovo esclusivamente nominale a cui i mezzi di informazione non hanno dato il minimo risalto, produce una situazione di sospensione dello Stato di diritto e quindi una erosione dei livelli di Democrazia nel nostro Paese. Com'è possibile che ci si stupisca se poi qualcuno lancia allarmi per una emergenza democratica dal momento che disporre una proroga oltre i tempi consentiti per legge significa effettivamente  porsi al di fuori dello Stato di diritto?
 
Per continuare nel discorso precedente, a noi insegnanti non arrivano malati da curare, bensì alunni a cui insegnare; noi non dobbiamo visitare i discenti, dobbiamo inscenare lezioni in base alle specifiche discipline cui apparteniamo, i nostri strumenti da lavoro non sono termometri e stetoscopi, cateteri o bisturi, non dobbiamo somministrare medicine, stiamo a metri di distanza dagli alunni, dietro a una cattedra oppure in piedi alla lavagna, che sia quella tradizionale di ardesia o quella elettronica, la famosa LIM, elargendo spesso contenuti multimediali che debbono essere fruiti ad una certa distanza metrica appunto. Durante le lezioni gli alunni più vicini sono a un paio di metri; il nostro luogo di lavoro non è evidentemente come l’ospedale, dove spesso si pernotta e vi si può stare per giorni consecutivi, per settimane, in situazioni che non sono paragonabili a quelle di un alunno che sta qualche ora sui banchi. Abbiamo insegnato con Dispositivi di Protezione Individuale, in aule che vengono immediatamente pulite quando gli alunni le lasciano, costantemente sanificate, con finestre e porte aperte per consentire il ricircolo dell’aria che è quindi sempre ben ossigenata e anche allo scopo di evitare le concentrazioni di microparticelle della respirazione che potrebbero eventualmente contenere il virus. E questo a scopo prudenziale si potrebbe dire, giacché esistono degli studi che avrebbero dimostrato che anche in presenza di malati conclamati covid le stanze non si sarebbero saturate di paticelle virali. 

Se gli ospedali purtroppo sono stati spesso luoghi di infezione e di contagio del nuovo coronavirus la Scuole per fortuna no, ed è noto a tutti. È stato sottolineato spesso dall’allora Ministra Azzolina ed ha continuato ad essere così anche dopo, quando al ministero si è insediato Bianchi.
Crisanti stesso in tempi che potremmo definire non sospetti, quando ancora cioè non si poteva neppure ipotizzare di poter parlare di "vaccini", diceva che i bambini sono naturalmente resistenti a questo virus, che lo affrontano meglio di chiunque altro e non lo trasmettono o lo trasmettono in forma lieve. Ci sono state conferme di ciò, è noto che i giovani e i giovanissimi non sono fasce a rischio. I pazienti particolarmente oltre una certa età purtroppo sì.
Chi paragona la Scuola a luoghi come quelli degli ospedali non sa di cosa sta parlando. Le cose vanno vissute per essere capite oppure vanno intuite. Ho vissuto un anno insegnando in presenza e non è stato un anno vissuto, per così dire, pericolosamente, è stata sufficiente la prudenza, il rispetto delle regole che non si differenziano poi molto se non nel grado da quelle che vigono sempre, quanto a igiene personale e ambientale, per esempio

Consideriamo anche il mutato contesto, che varia col tempo, anche per ragioni legate al virus stesso con le sue mutazioni continue, cioè che i virus adottano la strategia dell'adattamento all'ospite, particolarmente quelli mutanti a RNA, come ci insegnano i virologi, e tra quelli a catena singola c'è appunto, com'è noto, il famoso nuovo coronavirus. Questo adattamento ha luogo perché nella loro microscopica intelligenza, passatemi l'espressione, i virus sanno che non devono uccidere l'ospite per non uccidere se stessi. Oggi il contesto è mutato anche perché è passato un tempo adeguato a fare in modo che questo adattamento abbia avuto luogo, così il contesto è appunto cambiato e la variante considerata dominante, la famigerata delta, non sembra paragonabile all'originale, se così si può dire. Si può quindi ipotizzare che, se l'anno scolastico precedente è stato vissuto non pericolosamente, a maggior ragione il prossimo. Non ci sono, a ben guardare, né numeri né argomentazioni tali da giustificare lo Stato di emergenza che per sua natura è tipico di situazioni iniziali, senza considerare quanto dicevamo prima, cioè che è stato giudicato illegittimo da tribunali e che, a norma di legge, è comunque scaduto. Se poi dobbiamo essere responsabili,  nessuno deve tirarsene fuori e dovremmo pur ammettere che non possiamo esserlo a corrente alternata. Essere responsabili non può significare soltanto "vaccinarsi" sarebbe un po' riduttivo. Se c'era quindi una cosa responsabile da fare, la prima in assoluto, sarebbe stata quella di munirsi di sistemi diagnostici appropriati, mentre da Lisbona a Vienna e, adesso, dai CDC e dalla FDA americani, arrivano conferme circa il fatto che i sistemi con PCR siano inidonei a causa dei molti falsi positivi e anche al fatto che non distinguano il famigerato virus dalle normali influenze.

L'obbligo è sempre la sconfitta delle argomentazioni, e i "vaccini" che sono stati permessi in via condizionale, sono di tipo sperimentale, e la condizione per la commercializzazione sarebbe quella di raccogliere diligentemente e con autentica deontologia professionale ogni presunta reazione avversa, in forma attiva e non passiva, cosa che purtroppo sembra non stia avvenendo nel migliore dei modi. Può definirsi responsabile questo?

Non essere riusciti a sviluppare un solo dibattito sulla PCR, nonostante la mole mastodontica di ore dedicate al fenomeno coronavirus, anche questo, non sembra certo un comportamento che possa definirsi responsabile.

Scegliere di vaccinare durante una pandemia, cosa sconsigliata già da Sabin ed oggi da Montagnier, Vanden Bossche, Bolgan, Doschi, Tarro, solo per citare alcuni esperti di virologia, può forse considerarsi responsabile, considerando che le obiezioni maggiori riguardano il fatto che, così facendo, si sviluppano varianti resistenti?

Se si deve essere responsabili dobbiamo esserlo sempre, non solo quando piace a noi.

Viene invocata la scienza come giudice o arbitro, però l'impressione è che quando l'arbitro fischia il rigore contro, no, non va più bene!!!

Insegnare nella Scuola è già possibile, è sufficiente il buon senso e applicare la prudenza, ventilare le aule, usare dispositivi di protezione, lavarsi, stare guardinghi, non fare sciocchezze. Posso affermarlo per esperienza personale.