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domenica 31 dicembre 2023

Poco dopo la covid, o quasi

Una commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione covid è un fatto unico nel panorama internazionale come unica è stata la scelta di dire no alla ratifica delle modifiche al trattato ESM o MES, se si guarda all’acronimo italiano, cosa sulla quale non ci soffermeremo adesso, torneremo però a parlarne in seguito. Sono fatti comunque che stanno ad illustrare come in Italia un qualche intelletto in fermento c'è, una qualche forma di opportuna critica rispetto a quanto succede intorno ai cittadini c’è e si traduce in azione politica e in prese di posizione significative proprio in quanto tese a comprendere lo stato delle cose senza accontentarsi di quello che l’informazione corrente passa. La percezione che ci sia qualcosa che non quadra o, forse meglio, qualquadra che non cosa, è abbastanza forte nei cittadini italiani, forse perché in Italia i livelli di ingabbiamento dell’informazione, sempre a senso unico, da vera rappresentante del pensiero unico e convergente, quello che di un problema offre una sola soluzione, senza cercare alternative, è stato particolarmente intenso tanto da indurre alla manifestazione di disarmonie che poi si sono mostrate intollerabili, cose che il popolo percepisce istintivamente prima ancora che razionalmente. A causa di questa intollerabilità c'è stata una reazione. In pratica il popolo ha percepito la presenza di un fattore che plasmava l'informazione a senso unico, cestinando un cospicuo numero di altre informazioni, come se i mezzi di informazione venissero gestiti in base ad un certo codice. Quando un codice riducente c’è non può non manifestarsi e se in questo caso il codice riduce l’equibrobabilità alla fonte di una serie di informazioni di manifestarsi, perché con ogni evidenza si manifesta con una maggiore frequenza solo un certo tipo di informazione e a discapito di altre che hanno la stessa dignità di rappresentazione, la cosa non passa inosservata ai sensi dei cittadini. Questa contrazione nella manifestazione di opinioni ridotte per numero ad una sola serie, sempre la stessa, appare inevitabilmente come una manifestazione di un codice che sta a monte, il quale codice non può che derivare da una posizione ideologica preconcetta che si esprime nell’impoverimento del dibattito da cui sono state escluse in effetti tutta una serie di altre opinioni, aventi diritto di albergare nel dibattito non meno delle altre. In pratica l’ideologia a monte del codice riducente rifletteva un pensiero non democratico, non rispettoso di alternative né di espressioni, di nozioni non allineate al pensiero dominante e veniva veicolato politicamente attraverso veri propri indirizzi ideologici, presumibilmente anche pressioni, nelle varie trasmissioni televisive e radiofoniche, per cui questo farsi eco a vicenda rafforzava l’impressione, in vero sbagliata, di non poter avere opinioni diverse a proposito di uno stesso fenomeno quale è stato quello inerente alla vicenda covid e nell’opinione pubblica si faceva strada  inizialmente la sensazione di non poter affrontare il problema se non coi modi espressi da questa ‘informazione ridotta’. Tuttavia le cose col tempo sono cambiate e non l’opinione pubblica nella sua interezza è stata persuasa che una sola soluzione al problema covid potesse sussistere, qualche dubbio è cominciato a subentrare e anche in quelli a cui inizialmente era stata inculcata l’idea della soluzione unica, del pensiero unico, hanno cominciato a percepire che qualcosa non si armonizzava con altri pensieri magari inconsci e questa disarmonia cominciava a manifestarsi sotto forma di disagio, malessere, disarmonie comportamentali, forse anche riprovazione di sé, negli individui più coscienziosi, per aver abbracciato tesi imposte e non discusse adeguatamente.
Dicevamo che se un codice c’è non può non manifestarsi, e infatti si è manifestato. Questo manifestarsi è stato percepito inizialmente proprio come disarmonia, più col sentimento che con la ragione, poi subito dopo questa percezione si è tradotta in pensiero razionale, strutturato, in critica compiuta e in molti casi anche in azione giudiziaria. Per queste ragioni l’Italia che ha subito gravissimi danni dalla vicenda covid, sembra ciò nonostante riuscire a reagire e a trovare, seppure faticosamente, una via d’uscita o, meglio di emancipazione che, purtroppo per certuni la via d'uscita non può più sussistere, e mi riferisco a chi ha subito gravi reazioni avverse. Per chi rimane però diviene necessaria l'emancipazione, l'aggiornamento delle proprie conoscenze e della propria precomprensione, per usare una espressione presa dal lessico dell'ermeneutica. Non importa quanto sia lenta questa emancipazione, l’importante è che dall’esperienza se ne esca arricchiti, per affrontare eventuali altre situazioni simili di epidemia o pandemia con maggiore consapevolezza e con strumenti pratici e concettuali aggiornati, con anticorpi verrebbe da dire, formati su di una vicenda che deve essere oggetto di studio continuo.
Siamo fuori dalla covid, quindi? Sì, anzi no, diciamo quasi. Chi dovesse sostenere che ne siamo fuori verrebbe oggi smentito da una certa informazione che ripropone la covid come problema gravoso e ricorrente. Perché l’informazione corrente, o forse ricorrente appunto, quella che aveva subìto la drastica riduzione delle opinioni esprimibili ed espresse a causa probabilmente di un codice riducente che rifletteva una ideologia preconcetta, sembra tornare all’attacco, però le esperienze non passano invano, lasciano qualcosa, forse proprio anticorpi.  
E per chi dice quindi che la covid sta tornando, il suggerimento è di non ricorrere all’informazione terrorizzante come in passato, non vale il discorso che si faceva all’inizio della ‘vicenda pandemica’ così utile a terrorizzare, cioè a dire non ci si può appellare al fatto che essa, la covid, sia giudicata incurabile perché oggi, studi scientifici, ricerche, ammissioni, esperienze, ci dicono chiaramente che la covid è curabile con farmaci antinfiammatori, niente panico quindi, ed eventualmente, correre a comprare i FANS.

venerdì 3 novembre 2023

Dell'uso di espressioni ambigue in ambito giuridico

Apprendiamo dell'uso dell’espressione no vax in documenti ufficiali di ambito giuridico e ci sorprendiamo perché non pensavamo che ci si potesse spingere fino a questo punto, cioè che quell'espressione potesse essere utilizzata in questo ambito, che ha peraltro un suo linguaggio tecnico specifico che persegue l'esattezza logica. Ci sorprendiamo, essendo l'espressione in questione abbastanza evanescente da non poter definire alcuna categoria con precisione assoluta mentre, di contro, è talmente ricolma di pregiudizi da rappresentare un elemento divisivo, per certi versi fuorviante e di compromissione di qualsiasi contatto dialettico tra posizioni contrapposte quando usato in un dibattito. Prudenza vorrebbe quindi che non si utilizzasse né in generale, né in certi ambiti specifici, come quello giuridico appunto, essendogli preferibili definizioni migliori e meno ambigue. Naturalmente comprendiamo bene come sia abbastanza velleitaria l'idea di arginare l'uso di questa famigerata espressione nel linguaggio corrente, quello dell'uomo della strada come si diceva un tempo, benché spereremmo che non risultasse altrettanto velleitaria quella di arginarne l'uso in ambito giuridico.


Cogliamo intanto l'occasione per far notare che tra i pericoli per la collettività c'è, fortissimo oggi, quello di subire l’iniziativa di chi immette deliberatamente o no, nell'informazione corrente, nei discorsi in generale, nei mezzi di informazione di massa, espressioni stranamente capaci di non permettere la comprensione dei fenomeni e degli eventi di cui si vorebbe trattare, rischiando in taluni casi anche di frantumare la coesione sociale, di fomentare e riattizzare l’odio e la divisione tra cittadini che legittimamente hanno posizioni personali diverse circa determinati eventi e che però non per questo devono esacerbare i propri animi al punto da far degenerare i rapporti sociali, e quando c'è una discussione di desiderarne purtroppo l'abbandono.

Non è fuggendo il confronto che si vincono le battaglie politiche, né è così che si crea un mondo più giusto e una società civile e democratica migliore. Così tutto ciò che concorre a turbare un confronto dovrebbe essere usato con estrema cautela.

Da un punto di vista psicologico e psicoterapeutico, precisamente della psicoterapia della Gestalt, un simile modo di procedere, quello cioè di impedire il contatto tra opinioni diverse, non importa in quale modo, genera conflitti nevrotici. I conflitti nevrotici non sono mai forieri di tranquillità sociale ed è sostanzialmente irresponsabile generarli. Subentra quindi il rammarico nel constatare che anche in ambiente giuridico, che è peraltro costituito da persone di una certa cultura generale oltre che specifica, non maturi una sensibilità tale da spingere e spingersi ad evitare che simili compromissioni sussistano, o che focolai d'odio si riattizzino, e continuiamo a rammaricarci del fatto che una simile auspicabile attenzione, quella di evitare di immettere tensioni nevrotiche veicolando espressioni evanescenti e dai confini incerti, ambigue e cariche di connotazioni dispregiative, nonché ricche di pregiudizi, sia in taluni sostanzialmente assente. 

Purtroppo il confine incerto di una espressione verbale come il confine incerto di una figura, rende tale anche il contatto tra interlocutori che la veicolano per connettersi, e un contatto incerto compromette il confronto, un potenziale risultato creativo positivo, nonché una esatta comprensione degli eventi trattati o comunque una migliore comprensione di essi. In pratica, se vuoi che un evento, un fenomeno, semplice o complesso che sia venga compreso, devi permettere che se ne discuta, e per permettere questo devi evitare l’uso di espressioni ambigue e fraintendibili con le quali etichettare una persona alla stregua di un prodotto, giacché questa persona che vorresti etichettare potrebbe rappresentare in un confronto dialettico aperto una risorsa importante verso un risultato creativo potenzialmente interessante.

Per il terapeuta della Gestalt, il confronto verbale, anche nel caso sia aspro a tal punto da sfociare quasi in un acceso conflitto, costituisce sempre una sorta di collaborazione, un qualcosa che supera quel che è inteso per dirigersi vero un risultato interessante. migliore. 

I risultati migliori si ottengono proprio quando le posizioni sono diverse, estremamente diverse, diciamo pure diametralmente opposte, distanti,  e gli interlocutori o collaboratori, se si preferisce quest'ultima definizione, si prefiggono seriamente di raggiungere un' intesa, senza comunque scadere nel conflitto vero e proprio se è possibile evitarlo, cioè sostanzialmente rispettandosi a vicenda e mantenendosi in contatto reciproco. E questo rispetto dell'interlocutore raramente è stato presente nei dibattiti televisivi o radiofonici inerenti per esempio alla vicenda covid dove al contrario le posizioni non allineate venivano disprezzate e le persone che se ne facevano portavoce stigmatizzate con vari epiteti ed isolate poi in sostanza dal dibattito. Invece finché le persone rimangono in contatto e si prefiggono la migliore conquista creativa possibile, quanto più acutamente differiscono nella propria opinione e discutono il problema apertamente, tanto più probabilmente produrranno collettivamente un’idea migliore di quella che ognuno di essi aveva individualmente all'inizio, che è esattamente ciò di cui avrebbe bisogno la nostra società per crescere, evolversi e maturare, se solo si favorissero i confronti anziché comprometterli con l’uso scellerato di espressioni, e in generale di un lessico che sembra nato per minare alla fonte ogni possibilità di vero incontro e favorire anzi la nevrosi. 

Ora, provate a immaginare se isolamento e radiazione possano considerarsi forme di mantenimento del contatto, possono? Se chi ha opinioni diverse non viene visto come una risorsa, quanto piuttosto come una minaccia, se non se ne chiede la collaborazione per giungere ad un risultato creativo migliore, potenzialmente interessante, e viene sostanzialmente espulso dal proprio ambito, quello in cui lavorativamente si svolge la sua personalità, in modo tale che nessun contatto possa sussistere in quell'ambiente, quale vantaggio avremmo? Quale comprensione, quale apprezzamento c'è, verrebbe da chiedersi, del potenziale creativo inerente ad un confronto che si basi su posizioni anche acutamente differenti? Nessuno mi pare e non è di queste esclusioni che abbiamo bisogno.

Non c'è alcun dubbio inoltre che tra l'impiego di espressioni evanescenti, ambigue e tuttavia cariche di pregiudizi, capaci come sono di compromettere il contatto e una sana discussione sin dagli esordi, e azioni drastiche come quelle di una radiazione, sussistano dei fattori comuni ben precisi, come per esempio quello di condividere una forma mentis tesa all'esclusione, all'isolare, cose che dovrebbero essere così fuori moda in una società che vuole pensarsi inclusiva e aperta, salvo poi comparire esclusiva e chiusa dove e quando il danno arrecabile da una simile vistosa inversione di rotta è maggiore. Che strana contraddizione. Radiare del personale che è giunto alla professione dopo interi anni di fatica, di studio, di esami, dopo esperienze professionali e umane importanti, sulla base del fatto che ha opinioni diverse da quelle cosiddette ufficiali, rappresenta un'azione francamente sbagliata, eccessiva, estrema, drastica, come estremo e drastico è il rifiuto del contatto potenzialmente creativo di chi opera o pensa diversamente. Sospingere poi ad isolare, a stigmatizzare chi non si allinea al pensiero unico, su posizioni che peraltro il tempo ha dimostrato sbagliate, dimostra che purtroppo da un lato si è molto inclini a fomentare relazioni nevrotiche con tutti gli effetti negativi che queste comportano e immettono nella società, e dall'altro molto lontani dal comprendere le potenzialità di chi, atrraverso un pensiero divergente, ha fornito una diversa soluzione ad uno stesso problema peraltro difficile o presentato come tale. Perché oggi, in Italia, può capitare anche che un medico che abbia ottenuto la guarigione di ogni paziente venga radiato, senza che nessun evento lesivo possa essergli ascritto come prova di una eventuale condotta non comforme ai protocolli.

C'è un potere che si manifesta con provvedimenti drastici, sproporzionati, per certi versi violenti e non ci stupiamo che quello stesso potere desideri immettere nel circuito mediatico, nozioni, parole, espressioni, locuzioni che servono per imbrigliare il discorso per dirigerlo verso l'interpretazione desiderata, dominarlo sin dall'inizio allo scopo di non permettere una esatta comprensione dei fenomeni politici e sociali, e per fomentare divisioni e incomprensioni sfavorendo il contatto creativo con un pensiero diverso, potenzialmente fruttuoso.

E tra queste espressioni certamente no vax rappresenta la più nota e gettonata, forse proprio perché è estremamente funzionale a etichettare le persone, a catalogarle dispregiativamente, ad accantonarle, a non permettere veri incontri, né veri scontri del resto, quanto piuttosto una parvenza di essi, sempre che esse espressioni non costituiscano già agli esordi il motivo di una repentina conclusione nevrotica di ogni discussione. 

Se l'uso di un lessico funzionale al potere nella misura in cui non permette se non di giungere a ciò che lo stesso potere vuole è sempre da scongiurare, vedi l'uso dell'espressione no vax appunto, quando questo lessico fa il suo ingresso in un ambito particolarmente delicato come quello giuridico viene fatto di pensare che ciò manifesti e rifletta una profonda degenerazione culturale, politica e sociale, cosa grave quindi e tuttavia non gravissima poiché ancora rimediabile se individuata tempestivamente e debitamente arginata, non tanto grave insomma quanto sarebbe il fatto che una simile degenerazione risultasse da un'azione consapevole, intenzionale, cosa che sarebbe di gran lunga peggiore. Che si tratti di cosa intenzionale oppure no, non sussiste alcun dubbio comunque che una qualche forma di degradazione, di degenerazione è in corso, il che conferma purtroppo, anche da questo punto di vista, il non perfetto stato di salute, attualmente, del mondo occidentale di cui in altre occasioni abbiamo avuto modo di parlare.

 

Con "Io ho votato NO" nel nome, c'è esclusivamente un riferimento al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari.


lunedì 30 ottobre 2023

Pressioni europee all'Italia per ratificare l'ESM

In questi ultimi giorni si assiste ad un certo numero di pressioni a livello europeo sull'Italia, per indurre il nostro Paese a ratificare le modifiche al trattato ESM, acronimo che sta per European Stability Mechanism, il cui corrispettivo italiano è MES, Meccanismo di stabilità Europeo. I suggerimenti che vorrebbero indurre alla ratifica non sembrano del tutto disinterresati. Come dire? Trattasi di consigli dati a beneficio del consigliere e non del consigliato. Se poi a questi si aggiungono delle minaccie come quella di non procedere ad un patto di stabilità generoso, ovvero a precedre verso uno gravoso, ecco che il velo del disinteresse cade del tutto e lascia intravedere anche una certa impazienza. Insomma, sembra che questo ESM o MES che dir si voglia, sia un qualcosa che faccia comodo come dicevamo ai suggeritori piuttosto che al destinatario dei suggerimenti, come nella migliore tradizione dei consigli senza coda, così chiamati in ossequio alla favola di Esopo, La volpe senza coda, che varrebbe la pena leggere. Nelle diatribe politiche o, per meglio dire, nel gioco dialettico tra maggioranza e opposizione, spuntano opinioni come quella inerente alla perdita di credibilità in caso di non ratifica. È un giudizio, permetteteci, abbastanza superficiale e come vedremo senza una vera e propria legittimazione fattuale. Non possiamo proprio non osservare infatti come la questione dell'essere o non essere credibili non possa prescindere dal contenuto del trattato stesso, piuttosto che da un impegno alla ratifica che del resto non c'è mai stato, se è vero, com'è vero, che nel Governo precedente il ministro dell'economia era stato vincolato dal Parlamento alla non ratifica. Quindi non c'è incoerenza neanche col recente passato e se la credibilità consiste nella coerenza agli impegni presi, non essendoci mai stato un impegno alla ratifica non si rischia di non essere credibili. Se poi ad impegnarsi informalmente sono state figure politiche che parlavano a nome e per conto proprio e senza mandato parlamentare, sono esse che devono rispondere della propria inziativa personale e magari spiegare anche come mai essa si muova in modo non conforme agli indirizzi parlamentari. Quanto a chi si occupa di ESM da un po' di tempo, da circa un decennio, ed ha avuto modo di formarsi sia leggendo personalmente il trattato, sia attraverso l'opinione detta e scritta di personalità come Lidia Undiemi, Claudio Messora, Claudio Borghi Aquilini, Alberto Bagnai, Giuseppe Liturri, Vladimiro Giacché, Fabio Dragoni e altri, scusandomi per l'assenza di titolatura, che si sono occupati della questione con competenza e pertinenza non sussiste alcun dubbio che rispetto ad una quetione di generica credibilità che peraltro non sussiste, come abbiamo cercato di spiegare, il contenuto del trattato acquisti una valenza di gran lunga maggiore. Chi conosce il contenuto sa bene quanti e quali ragioni sussistano per non ratificare questo trattato per cui sarebbe anzi tentato di pensare che l'unica credibilità che perderemmo nel caso di non ratifica sarebbe quella dell'autolesionista ed anche quella del credulone ingenuo che non legge i trattati e li ratifica sulla base del sentito dire o, peggio, di consigli non proprio disinteressati. Cioè a dire, non saremmo più credibili come creduloni, il che rappresenta una conquista e non una regressione.

sabato 30 settembre 2023

Rappresentanza, autorevolezza e autoritarismo in sistemi sui generis

Sembra ad un numero crescente di persone, dotate spesso di una preparazione e una cultura generale non proprio comune, che l’Occidente si trovi attualmente in una fase di declino, per varie ragioni.
Tra le ragioni del declino occidentale cosa potremmo annoverare?
Per esempio una scollatura piuttosto evidente e profonda tra popolo e rappresentanti dello stesso, tra elettori ed eletti, se preferite. In pratica cioè si tratta di un qualcosa che implica una riduzione dei livelli di rappresentanza degli stessi cittadini il che è alla scaturigine di varie problematiche come si può facilmente intuire. Ciò comporta per esempio che le decisioni politiche non vanno incontro alle esigenze degli stessi cittadini i quali subiscono anzi l’iniziativa dall’alto di singoli detentori di potere, ovvero di istituzioni politiche che, date le verticalizzazioni avvenute e in corso, calano sempre più dall’alto i propri diktat e rispondono ad esigenze che non corrispondono appunto a quelle del popolo. Ne nasce un problema non da poco che può essere risolto solo intervenendo sull’organizzazione stessa del sistema politico, cambiandolo. Ora, per esempio, quello dell’Ue è un sistema che, come riporta il sito ufficiale stesso, sempre che non sia stato modificato nel frattempo, è definito sui generis, cioè a dire non tipico, non usuale, che si pone fuori dai soliti generi, non trova cioè molti corrispettivi al mondo, e che necessiterebbe di essere approfondito, di essere studiato a fondo per individuarne i punti critici ed eventualmente intervenire su di essi con opportune migliorie.

Chi impone una decisione dall’alto non tiene spesso conto delle conseguenza che questa implica sul piano pratico ai singoli cittadini, i quali si trovano a subire questa decisione senza peraltro poter contare su degli interlocutori che possano farsi carico delle proteste giacché in molti casi dinanzi a queste, soprattutto se istintive o estemporanee, o anche quando sono riflessive e circostanziate, spesso ottengono poco come risultato, poiché la risposta che si dà, per fare un esempio, è che si tratta di una decisione che è stata prese in altre sedi, cioè non quella comunale o regionale o nazionale,  e sulle quali non è possibile quindi intervenire, se non nella stessa sede di origine. In pratica i cittadini non trovano l'interlocutore giusto, non nell'immediato. Protestare con un sindaco potrebbe ottenere come risposta semplicemente che non si stanno rivolgendo a chi di dovere, perché si tratta di una decisione inerente ad una normativa europea. Quindi il discorso rischia di concludersi lì, rimanendo in sospeso e si danno pochi appigli. Eppure se esistesse un effettivo sistema di rappresentanza politica quelle istanze e quelle proteste dei cittadini troverebbero espressione nelle giuste sedi, così da essere rappresentate degnamente, anche anticipate se vogliamo in un certo senso. Invece non sembra proprio che prima di tali decisioni di ambito europeo, dalle quali scaturiscono poi le normative, quelle istanze emergano, a imbasture una azione preventiva, tesa cioè a prevenire quelle proteste in anticipo, questo non sembra trovare espressione, forse perché gli stessi rappresentanti politici non hanno saputo o potuto cogliere i disagi che sarebbero scaturiti, forse anche per la presenza di poco dibattimento in sede di Parlamento europeo. Così le normative si trovano a non essere espressione del popolo e dinanzi alle proteste ci si limita sovente a spostare semplicemente la patata bollente, alzando le mani e dichiarando che no, non è colpa del sindaco o del presidente del Parlamento regionale, bensì della normativa europea che doveva essere recepita e applicata, rinunciando peraltro allo sforzo di comprenderne le ragioni, nonché a quello di immedesimarsi nei cittadini stessi che lamentano il disagio. Da ciò deriva che solo un ripensamento dei criteri di rappresentanza potrebbe forse correggere questo tipo di dinamiche. Naturalmente un ripensamento dei criteri di rappresentanza non è cosa di immediata risoluzione, giacché implicherebbe dei passaggi complessi, difficili, incerti, sempre ammesso poi che sussista la giusta condivisione in generale sull'idea di apportare modifiche in primis e poi sulle specifiche modifiche da apportare, scusate il gioco di parole.
Insomma siamo di fronte a dei sintomi che attestano come una contrazione dei livelli di rappresentanza, quindi dei livelli di Democrazia, alberghi in strutture politiche occidentali quali sono quelle dichiaratamente sui generis dell’Unione europea.
Comunque la si voglia pensare non è proprio possibile ignorare il problema innescato dalla contrazione di rappresentanza, e per fortuna dei segnali che esso stia emergendo come tale, cioè come problema, è confermato a vari livelli, anche dal fatto che un numero sempre crescente di cittadini di variegati settori e ambiti culturali, provenienti anche dal mondo giuridico sottolinea il problema.

Per esempio Vincenzo Baldini, costituzionalista, dice che ormai l’impatto della politica europea su quella nazionale e sulla portata dei diritti fondamentali nello Stato è talmente intenso che si pone con forza e in modo addirittura indifferibile la questione del deficit di legittimazione democratica degli organi del governo sovranazionale.

Questo deficit di legittimazione democratica risulta quindi evidente agli occhi degli esperti oltre che nella percezione istintiva dei cittadini in generale.

È quindi auspicabile che si raccolgano questi segnali e si ragioni intorno a tale questione, ad un ripensamento della natura giuridica e istituzionale dell'Unione europea, prima che lo scollamento a cui abbiamo accennato aumenti in misura tale da determinare uno stato politico e sociale che assuma delle sembianze autoritarie. E credo che dalla percezione del deficit democratico di rappresentanza non sia difficile passare a quella dell'autoritarismo. Nel corso della sua storia l'Ue ha mostrato in alcune circostanze di preferire l'autoritarismo all'autorevolezza. E la storia ci insegna che dove c’è autoritarismo spesso ciò avviene proprio perché non c’è vera autorevolezza, se non apparentemente. È proprio la questione dell' apparenza che potrebbe assumere un ruolo negativo, costituire un problema tale per cui le masse di persone incolpevolmente non preparate potrebbero non distinguere tra questi fattori, quello rappresentato dall’autoritarismo e quello rappresentato dall’autorevolezza, confondendoli, forse perché la confusione tra gli stessi è coltivata ‘scientificamente’ dai detentori di potere e portata avanti al riparo da processi di partecipazione e appunto rappresentanza. Potremmo dire che anzi, sono i processi dell'informazione e dei mezzi di informazione di massa che entrano in gioco deformando la percezione dei cittadini con sistemi propagandistici tesi a sovrapporre autoritarismo ad autorevolezza. Comparire dinanzi ad una telecamera con giacca e cravatta o un bel vestito firmato, sotto i giusti riflettori, dietro il giusto pulpito e sotto la giusta insegna,in un servizio televisivo ben confezionato, può far sembrare un gigante anche chi tale non è. Ne scaturisce una falsa attestazione di autorevolezza. Mentre da quel tipo di situazione propagandistica e da quel pulpito si annunciano magari decisioni dubbie, sproporzionate, ingiuste, in modo autoritario. Ciò che si cavalca insomma è una sorta di ipnosi delle masse che abituate a prendere per vero quello che dice la televisione e non essendo state dotate di una preparazione suscettibile di conferire strumenti concettuali utili, capaci di leggere i processi comunicativi e l'uso strumentale delle immagini, rimangono spesso persuase che ciò che da quei pulpiti si va propagandando non possa che essere la cosa giusta, e invece potrebbe non essere così. 

Se l'assenza di rappresentanza non permette di intervenire nella redazione delle normative, in questa alienazione trova una breccia l'autoritarismo che, attraverso le verticalizzazione degli impianti istituzioni che danno luogo a strutturazioni sui generis, e scambiato attraverso gli artifici mediatici a cui abbiamo accennato per autorevolezza, giunge a fenomeni di manipolazione delle masse tali che vistose contrazioni di diritti fondamentali vengono addirittura ritenute necessarie e pertanto accettate.

È ciò a cui abbiamo assistito con la cosiddetta "vicenda covid" sulla quale speriamo che si aprano studi e approfondimenti che una volta diffusi possano aiutare i cittadini a dotarsi di quegli strumenti concettuali e di quella consapevolezza di cui sono stati evidentemente sprovvisti all'alba della stessa. Non possiamo rinunciare a questo auspicio e sappiamo che qualcosa si sta muovendo in questa direzione.