Una commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione covid è un fatto
unico nel panorama internazionale come unica è stata la scelta di dire
no alla ratifica delle modifiche al trattato ESM o MES, se si guarda
all’acronimo italiano, cosa sulla quale non ci soffermeremo adesso,
torneremo però a parlarne in seguito. Sono fatti comunque che stanno ad
illustrare come in Italia un qualche intelletto in fermento c'è, una
qualche forma di opportuna critica rispetto a quanto succede intorno ai
cittadini c’è e si traduce in azione politica e in prese di posizione
significative proprio in quanto tese a comprendere lo stato delle cose
senza accontentarsi di quello che l’informazione corrente passa. La
percezione che ci sia qualcosa che non quadra o, forse meglio,
qualquadra che non cosa, è abbastanza forte nei cittadini italiani,
forse perché in Italia i livelli di ingabbiamento dell’informazione,
sempre a senso unico, da vera rappresentante del pensiero unico e
convergente, quello che di un problema offre una sola soluzione, senza
cercare alternative, è stato particolarmente intenso tanto da indurre
alla manifestazione di disarmonie che poi si sono mostrate
intollerabili, cose che il popolo percepisce istintivamente prima ancora
che razionalmente. A causa di questa intollerabilità c'è stata una reazione. In pratica il popolo ha percepito la presenza di un fattore che plasmava l'informazione a senso unico, cestinando un cospicuo numero di altre informazioni, come se i mezzi di informazione venissero gestiti in base ad un certo codice. Quando un codice riducente c’è non può non
manifestarsi e se in questo caso il codice riduce l’equibrobabilità alla
fonte di una serie di informazioni di manifestarsi, perché con ogni
evidenza si manifesta con una maggiore frequenza solo un certo tipo di
informazione e a discapito di altre che hanno la stessa dignità di
rappresentazione, la cosa non passa inosservata ai sensi dei cittadini.
Questa contrazione nella manifestazione di opinioni ridotte per numero
ad una sola serie, sempre la stessa, appare inevitabilmente come una
manifestazione di un codice che sta a monte, il quale codice non può che
derivare da una posizione ideologica preconcetta che si esprime
nell’impoverimento del dibattito da cui sono state escluse in effetti
tutta una serie di altre opinioni, aventi diritto di albergare nel
dibattito non meno delle altre. In pratica l’ideologia a monte del
codice riducente rifletteva un pensiero non democratico, non rispettoso
di alternative né di espressioni, di nozioni non allineate al pensiero
dominante e veniva veicolato politicamente attraverso veri propri
indirizzi ideologici, presumibilmente anche pressioni, nelle varie
trasmissioni televisive e radiofoniche, per cui questo farsi eco a
vicenda rafforzava l’impressione, in vero sbagliata, di non poter avere
opinioni diverse a proposito di uno stesso fenomeno quale è stato quello
inerente alla vicenda covid e nell’opinione pubblica si faceva strada inizialmente
la sensazione di non poter affrontare il problema se non coi modi
espressi da questa ‘informazione ridotta’. Tuttavia le cose col tempo sono cambiate e non l’opinione
pubblica nella sua interezza è stata persuasa che una sola soluzione al
problema covid potesse sussistere, qualche dubbio è cominciato a subentrare e anche in quelli a cui inizialmente
era stata inculcata l’idea della soluzione unica, del pensiero unico,
hanno cominciato a percepire che qualcosa non si armonizzava con altri
pensieri magari inconsci e questa disarmonia cominciava a manifestarsi
sotto forma di disagio, malessere, disarmonie comportamentali, forse
anche riprovazione di sé, negli individui più coscienziosi, per aver
abbracciato tesi imposte e non discusse adeguatamente.
Dicevamo che
se un codice c’è non può non manifestarsi, e infatti si è manifestato.
Questo manifestarsi è stato percepito inizialmente proprio come
disarmonia, più col sentimento che con la ragione, poi subito dopo questa percezione si è
tradotta in pensiero razionale, strutturato, in critica compiuta e in molti casi
anche in azione giudiziaria. Per queste ragioni l’Italia che ha subito
gravissimi danni dalla vicenda covid, sembra ciò nonostante riuscire a
reagire e a trovare, seppure faticosamente, una via d’uscita o, meglio
di emancipazione che, purtroppo per certuni la via d'uscita non può più sussistere, e mi riferisco a chi ha subito gravi reazioni avverse. Per chi rimane però diviene necessaria l'emancipazione, l'aggiornamento delle proprie conoscenze e della propria precomprensione, per usare una espressione presa dal lessico dell'ermeneutica. Non importa quanto sia lenta questa emancipazione,
l’importante è che dall’esperienza se ne esca arricchiti, per affrontare
eventuali altre situazioni simili di epidemia o pandemia con maggiore
consapevolezza e con strumenti pratici e concettuali aggiornati, con anticorpi
verrebbe da dire, formati su di una vicenda che deve essere oggetto di
studio continuo.
Siamo fuori dalla covid, quindi? Sì, anzi no, diciamo
quasi. Chi dovesse sostenere che ne siamo fuori verrebbe oggi smentito da una certa informazione che ripropone la covid come problema gravoso e ricorrente. Perché l’informazione corrente, o forse ricorrente appunto, quella che aveva subìto la
drastica riduzione delle opinioni esprimibili ed espresse a causa probabilmente di un codice riducente che rifletteva una ideologia preconcetta, sembra
tornare all’attacco, però le esperienze non passano invano, lasciano
qualcosa, forse proprio anticorpi.
E per chi dice quindi che la covid sta tornando, il
suggerimento è di non ricorrere all’informazione terrorizzante come in passato, non vale
il discorso che si faceva all’inizio della ‘vicenda pandemica’ così
utile a terrorizzare, cioè a dire non ci si può appellare al fatto che
essa, la covid, sia giudicata incurabile perché oggi, studi scientifici, ricerche,
ammissioni, esperienze, ci dicono chiaramente che la covid è curabile
con farmaci antinfiammatori, niente panico quindi, ed eventualmente,
correre a comprare i FANS.
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