Per le tecniche miste su carta o altre tecniche che compaiono in questo Diario Elettronico firmate a nome Alessio, tutti i diritti sono riservati.







venerdì 31 dicembre 2021

Buon Nuovo Anno!!!


Come dovremmo chiamarli?

Per chiamarli "vaccini" qualcuno ha dovuto cambiare la definizione di vaccino. Questo astuto espediente è stato alla scaturigine di una incomprensione che sussiste tutt'ora e che non permetterà facilmente di venire a capo della moltitudine di fraintendimenti che ha generato e che sta generando.  Sembra doveroso tornare alla precedente definizione, in base alla quale un vaccino immunizza contro un agente patogeno.

Invece leggiamo nei bugiardini approvati da AIFA che per esempio Spikevax, di Moderna, è indicato per l'immunizzazione attiva nella prevenzione di Covid 19, che è la malattia causata dal virus, mentre alle persone che subiscono l'obbligo "vaccinale", sproporzionato, tardivo e irragionevole, è richiesta, come da Decreto Legge 172, la prevenzione dell'infezione da sars cov due, che sono cose molto diverse. Non è una questione di lana caprina, è un questione essenziale, per il buon nome della scienza, che qui tutti vogliamo difendere.

In pratica, neanche volendo si potrebbe accondiscendere o addivenire a quanto richiesto dal citato Decreto Legge, perché i farmaci che ci propongono per raggiungere quell'obiettivo dichiarano esplicitamente, con il consenso di AIFA, di fare altro, cioè di non fare quanto il DL richiede.

Del resto proprio in questo consiste la differenza tra una cura e un vaccino, che la cura agisce sulla malattia attenuandone i sintomi, il vaccino invece immunizza rispetto al patogeno che porterebbe l'eventuale malattia. Ed è per questo che si avanza l'ipotesi di un astuto cambiamento di definizione per rendere quella che molti ritengono essere una cura preventiva, cosa perciò stesso deontologicamente inopportuna, per non dire scorretta, in qualcosa che abbia un nome innocuo, anzi rassicurante, che la gente possa interpretare come cosa buona e opportuna.

Come è possibile dunque obbligare ad una terapia se la ragione per cui ti obbligano non può essere dichiaratamente raggiunta?

Da un lato abbiamo infatti un obbligo ad immunizzarsi rispetto a un virus, dall'altra dei farmaci che dichiarano i non fare questo, perché curano preventivamente una malattia, ne attenuano i sintomi, tentano di evitare ospedalizzazioni.

Anche la Regione Toscana se n'è accorta evidentemente, tant'è che nel sito di prenotazione espone in bella vista una scritta che dice "Sistema di prenotazione online di Regione Toscana per l'effettuazione del vaccino anti COVID 19" dimostrando di essere consapevole di non poter immunizzare rispetto al virus. In pratica, in Regione leggono i bugiardini, bene, al Governo invece no, male. Invitiamo così il Governo a leggere i bugiardini di AIFA direttamente, poiché ci sembra di intuire che nelle riunioni col CTS certe informazioni non vengono scambiate, in modo tale da prendere contezza del fatto che essi bugiardini dichiarano di immunizzare rispetto alla malattia, come dice giustamente la Regione Toscana, e non rispetto al virus come pretenderebbe il DL 172 del Governo.

Un anno difficile si sta concludendo e così auspichiamo che tutti quelli che ci invitano ad essere responsabili, siano i primi a dare l'esempio, magari dimostrando di leggere i bugiardini in cui potrebbero ravvisare delle informazioni utili a comprendere il fatto che quanto stanno richiedendo i DL che essi scrivono ed emanano non può essere accondisceso, in nessun modo. Ce lo dice la SCIENZA.

Eviteremmo così una infinità di problemi.

Buon Nuovo Anno!!!


domenica 28 novembre 2021

Stato di emergenza e ripristino di una condizione normale

Siamo in stato di emergenza dal 31 gennaio 2020 e il 31 dicembre 2021 scade l'ultima cotestata proroga.
Prima di quella infatti un gruppo di avvocati aveva fatto notare che, Codice della protezione civile alla mano, non potendo le proroghe superare i dodici mesi agiuntivi, il 31 luglio sarebbe stato l'ultimo giorno possibile per lo stato di emergenza indetto appunto il 31 gennaio 2020 e proposto inizialmente per sei mesi. In pratica per i Mille avvocati per la Costituzione bisognava aggiungere dodici a sei, al massimo, interpretazione che sembra plausibilissima. Nonostante ciò, complice una informazione estremamente insufficiente al riguardo, è stato deciso di prorogare ulteriormente di sei mesi il tempo di questa durata, affidandosi ad una interpretazione, diciamo così, meno restrittiva e confidando nel fatto che lo stesso Codice della protezione civile che, ricordiamo, è un decreto legislativo, prevede un tempo massimo di 24 mesi, senza andare a sottilizzare sulla distinzione tra il primo periodo e quello delle proroghe.

Adesso che stiamo giungendo alla conclusione anche dell'ultima proroga si pone la questione di che cosa fare, se cioè prorogare ulteriormente oppure no, magari al 31 gennaio 2022 con cui i 24 mesi massimi consentiti sarebbero completati. Non c'è alcun dubbio che anche nell'interpretazione che abbiamo definito meno restrittiva, non si possa andare oltre il 31 gennaio 2022 e così c'è chi propone di mantenere gli strumenti in essere oltre questo mese indipendentemente dalla cessazione delle proroghe.

Cessazione dello stato di emergenza e ripristino di una condizione normale, senza cioè il perdurare degli strumenti eccezionali varati proprio per ottenere questo, sono imprescindibili. A dirlo è lo stesso decreto legislativo noto appunto come Codice della protezione civile che, al netto delle polemiche inerenti la durata delle proroghe è stato, ed è, lo strumento centrale di questa vicenda legata alla situazione epidemiologica inerente il nuovo coronavirus.


sabato 30 ottobre 2021

Peccato che nessun dibattito sulla PCR si stia sviluppando in Italia

Nonostante la mole di ore dedicate dai mezzi di informazione di massa al nuovo coronavirus, nessun serio dibattito sulla tecnica della PCR associata ai tamponi molecolari si è mai sviluppato in Italia, né pare si stia sviluppando. Peccato, perché questo dibattito sarebbe in grado di gettare una potente luce sulla vicenda in questione, quella relativa al nuovo coronavirus appunto, tale da fornire una chiave di lettura essenziale per comprenderne origini, sviluppo e probabilmente futuro epilogo.

PCR è un acronimo che significa Polymerase Chain Reaction, cioè Reazione a Catena della Polimerasi, di cui si è accennato in vari articoli che in questa sede sono stati scritti nei mesi precedenti.

È una tecnica che il suo stesso inventore, Kary Mullis, aveva altamente sconsigliato per diagnosticare la presenza di virus, consigliandola esclusivamente per scopo di ricerca.

Si presentava quindi già all'esordio come una tecnica incerta e gli interventi che elencheremo succintamente nelle prossime righe non faranno che confermare questa impressione. Eccone esposti alcuni in ordine cronologico.

Ad ottobre 2020 alcuni virologi, nanopatologi, scienziati e ricercatori italiani, tra cui il candidato premio NOBEL 2018 per la medicina Stefano Scoglio, denunciano che i tamponi PCR non diagnosticano la presenza del nuovo coronavirus.

Con una sentenza del giorno 11 novembre 2020 emessa dalla 3a sezione penale del Tribunale di Lisbona, si statuisce che sulla base delle prove scientifiche attualmente disponibili questa tecnica non è in grado di determinare se la positività corrisponda effettivamente a una infezione da nuovo coronavirus, ritenendola in definitiva non idonea a questo scopo.


È stata poi la volta di Robert Farle membro del partito tedesco AfD, Alternativa per la Germania, con un suo intervento del 19 novembre 2020 presso il Landtag, il Parlamento della Sassonia con cui ha condannato aspramente l’utilizzo dei tamponi PCR concludendo che in definitiva con questa tecnica la pandemia non finirà mai. Farle cita anche uno studio francese che giunge alla conclusione che in un risultato positivo di un tampone PCR con cicli di amplificazione di 36 o superiori, la probabilità che la persona risultata positiva sia effettivamente infetta scende al di sotto del 3 per cento, cioè a dire ci sono il 97 per cento di falsi positivi.

Anche l'OMS è intervenuta sulla questione il 24 dicembre 2020, con l'evidente intento di suggerire un abbassamento dei cicli di amplificazione della PCR giacché cicli troppo alti danno risultati dai quali non è possibile distinguere la presenza del virus dal cosiddetto rumore di fondo.

In seguito c’è stata la sentenza del tribunale amministrativo di Vienna, il 24 maro 2021 che ha appunto sentenziato la non idoneità della tecnica PCR per la diagnostica del nuovo coronavirus.

Ad agosto del 2021 è poi intervenuta dagli Stati Uniti d'America anche la FDA, che ha detto che i tamponi PCR in dotazione ai CDC non sono in grado di distinguere tra una normale influenza e il nuovo coronavirus.

Ora, la PCR ha costituito la principale fonte da cui ricavare dati che poi vengono diffusi e disseminati alla popolazione senza che questa abbia un' adeguata preparazione per poterli comprendere appieno, né quindi criticare.

Questi stessi dati sono stati alla scaturigine di decisioni drastiche, hanno cioè determinato confinamenti, coprifuochi, zone gialle, arancioni, rosse, contribuendo non poco ad alimentare una crisi finanziaria di notevoli proporzioni di cui si sentono ancora gli effetti negativi. Se la principale fonte dei dati che determinano tutto questo non è attendibile è evidente che c'è qualche grosso problema da risolvere.

Anche la Scuola si è trovata fortemente penalizzata e pure oggi la didattica risente degli effetti negativi derivanti dalle classi in quarantena, che scaturiscono dal fatto che qualche sfortunato studente possa essere risultato positivo ai tamponi molecolari con PCR, essendo magari soltanto un falso positivo, giacché questa tecnica per processare i tamponi produce molti falsi positivi e come abbiamo cercato di dimostrare ha perciò suscitato critiche da una moltitudine di persone ed enti, scienziati, studiosi, politici, tribunali, OMS e FDA stessa. 

Come è possibile ignorare tutto questo?

Riteniamo a questo punto che l'argomento non possa più essere eluso, che ci si debba dunque disporre ad un dibattito aperto ed esaustivo sull'argomento, per il bene di tutti.

Come insegnante mi rammarico di vedere la Scuola ridotta così, all'ombra di se stessa, con il diritto costituzionale all'educazione, all'apprendimento e il concomitante diritto e dovere di insegnamento estremamente penalizzati se non del tutto annichiliti e devo necessariamente sperare che qualche decisione sulla sospensione di questa tecnica fallimentare, quella della PCR appunto, venga presto presa, perché non è possibile mettere la Scuola e il diritto all'apprendimento di milioni di studenti alla mercè di una tecnica non idonea, così aspramente e giustamente criticata, anche se la maggioranza dei cittadini, complice una informazione da terzo mondo, purtroppo non se ne rende pienamente conto.

lunedì 27 settembre 2021

Stato di emergenza e dissonanza cognitiva

Lo stato di emergenza se eccessivamente prolungato diviene intollerabile, la compressione di diritti di rango costituzionale, può essere infatti tollerata solo entro limiti temporali ragionevoli e definiti. Del resto il Codice della protezione civile stesso dice proprio questo, che i mezzi e i poteri straordinari che lo stato di emergenza porta con sé debbono essere impiegati durante limitati e predefiniti periodi di tempo. Definire i limiti temporali di questo stato di emergenza in base a criteri di ragionevolezza avrebbe degli indiscussi vantaggi. Ciò consentirebbe per esempio uno sforzo consapevole in cui cioè le energie da spendere e le frustrazioni da sopportare, inerenti le quasi scontate restrizioni, vengano messe in conto e calcolate da ogni cittadino, sapendo che poi, dopo questo sforzo si può rivedere, per così dire, la luce. In questo lasso di tempo ragionevole e definito, in cui c’è una accettazione consapevole delle limitazioni, diviene poi doveroso cercare la migliore soluzione possibile al problema sanitario, con scelte responsabili ed efficaci, basate sui testi scientifici e sulla letteratura specifica. Non sempre questo è stato fatto e purtroppo ciò ha comportato dei rischi notevoli sotto moltissimi profili. Ogni errore rischia sempre di generare una catena di errori, di riverberarsi in ogni dove e di errori ne sono stati fatti. Del resto nessuno è perfetto, il virus era relativamente sconosciuto e inizialmente si è agito a tentoni.
L’errore più grande forse è stato ed è, pensare che la soluzione della crisi epidemiologica, sempre ammesso che sussista ancora, sia consistita e consista nel comprimere per un periodo di tempo diritti che appunto fanno capo alla fonte primaria del diritto nel nostro Paese, la Costituzione, come il diritto alla libera circolazione, ad incontrare altre persone senza un limite numerico definito, senza dispositivi di protezione individuale e via discorrendo. Mentre è probabilmente vero il contrario, cioè a dire che l’esercizio dei diritti costituzionali o il ripristino degli stessi, avrebbe aiutato e aiuterebbe a riportare una vittoria più netta e veloce sul famigerato nuovo coronavirus. Sembrerà strano probabilmente eppure è così. E per comprenderlo dobbiamo tornare con la mente alle fasi iniziali della pandemia, quando le nozioni scientifiche e la letteratura da cui esse derivano avevano ancora un ruolo centrale, prima cioè di essere spazzate via da interessi di altro genere e da una informazione terrorizzante e sbalorditivamente imprecisa, fatta di numeri sballati, di vocaboli nebulosi e dal perimetro semantico incerto, di espressioni fuorvianti, di categorie inesistenti, di etichette sempre in aggiornamento.
Chi mantiene un atteggiamento scientifico, beninteso, c’è anche ora, solo che difficilmente riesce ad accedere al sistema mediatico nazionale, particolarmente nelle fasce dei grandi numeri.
Loretta Bolgan per esempio presumo che condivida anche oggi l’opinione che condivideva prima col consulente scientifico del primo ministro inglese che a inizio pandemia, sosteneva che se avessimo voluto proteggerci dalla covid per l’anno successivo avremmo dovuto spingere per una immunità di gregge naturale, non quella da vaccino, perché questa ci avrebbe permesso di veder circolare il virus molto meno. Questa era una opinione che aveva avuto credito per un certo periodo di tempo anche in Israele, Paese che poi ha preferito fare da apripista per altri tipi di soluzioni che, a quanto pare, stanno mostrando più di qualche difetto e che quindi sarebbe legittimo non seguire.
Ora, l’immunità di gregge naturale la si può raggiungere meglio quando le persone circolano ed entrano in contatto le une con le altre. Ecco perché se i diritti costituzionali della libera circolazione dell’individuo non avessero subìto contrazioni così grandi, l’immunità di gregge naturale avrebbe potuto raggiungersi senza grossi problemi e, stante l'alto grado di contagiosità, in tempi relativamente bervi. Del resto se il virus nella stragrande maggioranza dei casi, particolarmente per le fasce più giovani, si diffonde nella forma senza sintomi, quindi non pericolosa e tuttavia in grado di sviluppare una risposta immunitaria naturale importante e durevole, sarebbe valsa la pena, una volta messe al riparo le fasce a rischio naturalmente, i cosiddetti fragili, mantenersi su questa strada, quella appunto di non limitare i contatti. Invece è intervenuto qualche fattore che ha sviato da quella che sembrava essere la strada maestra, in sintonia con la letteratura scientifica e si è giunti addirittura a limitare i contatti tra medico e paziente.

L'idea di evitare contatti ha portato al confinamento, al coprifuoco e a molteplici numerose restrizioni, con conseguenze incalcolabili sotto molti punti di vista. Evitare contatti non è sbagliato se si tratta di evitare la peste, solo che non ci trovavamo di fronte alla peste.
Emerge e si rafforza l’idea che ci sia stata una risposta sproporzionata, adesso che il famigerato virus è meglio conosciuto.
Quindi, anche ammettendo che la prudenza sia un atteggiamento tendenzialmente e generalmente positivo, possiamo affermare che le restrizioni non abbiano certo permesso il conseguimento dell’immunità di gregge naturale. Inoltre la privazione delle libertà troppo prolungata che scaturisce da un atteggiamento eccessivamente prudenziale, sproporzionato appunto, è essa stessa fonte di malattia poiché induce a degli stati patologici veri e propri e l'uomo cerca istintivamente la via di liberazione da questi stati indesiderati. Prova ne sia il fatto che per la libertà ci sono state persone che hanno dato la vita giacché evidentemente sentivano che vivere senza di essa era un po' come vivere in un eterno stato patologico. L'individuo è sospinto verso un proprio sviluppo armonico e senza la libertà, nel vivere in uno stato di assoggettamento, di privazione, di minorità, di morboso controllo esterno, anche di potenziale perpetuo ricatto, questo sviluppo non può sussistere né dare frutti. Lo stato di emergenza che dà luogo a numerose eccezioni, rischia di divenire la regola e se qualcuno si permette di dire che questa nuova regola contrasta con la Costituzione viene additato come un pericoloso sovversivo e proprio mentre cerca di evitare che venga sovvertito l’ordine delle priorità in base alle gerarchi delle fonti del diritto, mentre cerca cioè di far notare che c'è qualcosa che stride, che non si armonizza con le fonti del diritto sovraordinate. I provvedimenti aventi forza di legge o quelli amministrativi che stridono con le fonti sovraordinate, danno inevitabilmente luogo ad una sofferenza psichica e fisica nei cittadini che stridore riescono a ravvisare, molte sofferenza in vero e tra queste ce n’è una che è possibile catalogare come dissonanza cognitiva. Le mie funzioni cognitive educate al rispetto della Costituzione, si plasmano su determinate traiettorie di attesa, cioè si attendono il rispetto di certe gerarchie. Se ciò non avviene, si entra in dissonanza con ciò che è atteso. È un po’ come quando il bullo ti impone di dichiarare rosso il verde e verde il rosso. I tuoi sensi che dicono il vero si ribellano istintivamente, riconoscono infatti il rosso e il verde, per cui la risposta attesa, sana, è quella coerente con questo riconoscimento. le circostanze però ti spingono a dover dichiarare il contrario, ne scaturisce una sofferenza. Vale anche per le leggi. Ciò che è sovraordinato non è subordinato, cioè che è subordinato non è sovraordinato. Se qualcuno o qualcosa ti spinge a dichiarare il contrario ne deriva anche in questo caso una sofferenza. Vivere costantemente in uno stato di dissonanza cognitiva induce ad uno stato patologico in cui l'individuo non può cresce né svilupparsi in modo armonico. Chi è disposto a vivere in un perpetuo stato patologico per paura di un virus da cui in oltre il 90 per cento dei casi si guarisce spontaneamente? Probabilmente qualcuno c'è, qualcuno che risponderebbe sì, di essere disposto a tanto lo troveremmo, però siamo abbastanza certi di poter affermare che col passare del tempo, dopo aver sperimentato sulla propria pelle che cosa significa vedersi privare lungamente di quelli che sono diritti di rango costituzionale, sussisterebbe la ragionevole certezza di un probabile cambio di opinione. Perché ci sono tecniche, come quella detta della rana bollita, che sono lente a palesarsi, però prima o poi si palesano. Se per rinnovare il passaporto covid un giorno le persone dovessero essere costrette all'ennesima dose di una terapia genica che già adesso denuncia tutti i suoi limiti e notevoli problematiche, qualcuno mangerà la foglia e si schiererà auspicabilmente con quanti già adesso protestano, e non sono pochi.

"Una volta che in questione sia una minaccia alla salute gli uomini sembrano disposti ad accettare limitazioni della libertà che non si erano mai sognati di poter tollerare, né durante le due guerre mondiali né sotto le dittature totalitarie".
Giorgio Agamben

Qualcuno sembra averne approfittato però tutto ha un limite, poiché ci sono dei precisi confini che non possono essere varcati senza che ciò appaia ingiusto, che una moltitudine di persone se ne accorga, certi confini non possono essere valicati impunemente.

Ci sono dei precisi confini, sì, come ci insegna Orazio, varcati i quali non può sussistere il giusto e anche la persona meno accorta e meglio disposta a cedere diritti perfino di rango costituzionale in cambio dell'illusione di ripararsi da un virus ormai curabilissimo, dopo un po' si renderebbe conto di vivere ormai in un mondo estremamente peggiorato, ingiusto, che insomma qualche confine di troppo è stato valicato.

Est modus in rebus.



giovedì 12 agosto 2021

Cosa ne è stato dell'eziologia e della patogenesi nella vicenda covid?

Eziologia e patogenesi, cioè rispettivamente quel ramo della medicina che ha per oggetto l’indagine sulle cause delle malattie e quello che ha per oggetto il modo con cui insorgono, sono molto complesse. Stabilire la causa di una malattia non è cosa banale né semplice. Dobbiamo innanzitutto tenere in considerazione che esse ci insegnano che per l'insorgenza di una malattia difficilmente esiste una causa sola. Per avere idea della complessità teniamo presente che le categorie delle cause di malattia possono essere suddivise in determinanti e coadiuvanti, in necessarie e favorenti, in dirette e indirette, in sufficienti e insufficienti. Esse si mescolano in varie combinazioni. Portiamo ad esempio il mycobacterium tuberculosis,  il bacillo della tubercolosi, famoso anche come bacillo di Koch, esso è causa necessaria e tuttavia non sufficiente della tubercolosi. Per questo ed altri esempi si è diffuso così tra gli esperti di patologia il convincimento e quindi la nozione concomitante per cui uno stato di malattia si realizza quando vi è una costellazione di agenti causali. Questo per una singola malattia e teniamo presente che un decesso può dipendere da varie malattie.
Proviamo quindi a considerare una situazione in cui sono appunto presenti varie malattie. Potremmo parlare a ragion veduta di molteplici costellazioni di agenti causali. Quindi, se  una persona affetta da molteplici malattie, ciascuna con la propria costellazione di cause, giunge purtroppo alla morte, questa probabilmente dipende da molteplici costellazioni di agenti causali. Potremmo parlare forse di una "galassia" di genti causali.

Questo vale anche per la malattia per cui il nuovo coronavirus è necessario e tuttavia non sufficiente, giacché anche quando i sistemi diagnostici di rilevamento dichiarano positiva al nuovo coronavirus una persona, questa nella maggioranza dei casi non ha sintomi, quindi non ha neanche malattia. In questo caso il virus c'è, però non è sufficiente a sviluppare la malattia.

Nel giudicare la presenza di un agente patogeno, in questo caso virale, i sistemi diagnostici devono essere estremamente affidabili e non sempre è così. Possiamo anzi affermare che a causa di un sistema diagnostico giudicato inidoneo da vari tribunali e molto discusso, diviene maggiormente facile giungere ad un errore nell'attribuzione di una causa, spesso anche della sola presenza del virus.
Proviamo infatti a immaginare una situazione nella quale un sistema diagnostico inappropriato designi come positiva al nuovo coronavirus una persona che il virus non l’ha nemmeno sfiorato e che però ha magari varie malattie, un classico caso di falsa positività su una persona con malattie pregresse, come ce ne sono stati tanti, anzi tantissimi. Questa persona, se dovesse morire, verrebbe annoverata tra i decessi covid, e andrebbe a infoltire il numero di quelli che vengono categorizzati, in modo purtroppo così superficiale, come decesso covid, appunto. Ecco, le tabelle che ci vengono propinate ogni giorno purtroppo contengono questi errori e sarebbe necessario giungere ad ammettere questo il prima possibile e quantificare la percentuale di errore, così da correggerli. Errare è umano, correggersi divino.
È giusto o non è giusto chiedersi se eziologia e patogenesi, in questa circostanza, non siano state in un certo senso svilite?
Non dovremmo in nome della scienza che così spesso viene chiamata in causa in questa vicenda, e per difendere il suo buon nome, indignarci e protestare perché queste branche della medicina vengono così ridotte?
Se rileggessimo i dati alla luce di queste eventuali correzioni probabilmente assisteremmo a un vistoso ridimensionamento delle cifre.

La domanda che sorge spontanea in un crescente numero di cittadini è come sia possibile che con una mole enorme, incalcolabile, di ore dedicate al nuovo coronavirus, questi argomenti non vengano mai nemmeno sfiorati. Eppure sono essenziali. Se vogliamo uscire da questa situazione, magari anche con un arricchimento delle nostre conoscenze, dobbiamo chiedere all'informazione di affrontare certi argomenti. Avere una adeguata informazione è di fondamentale importanza.

A questo proposito, il direttore scientifico dell'Enciclopedia medica da cui ho tratto molte delle nozioni qui esposte, Pier Gildo Bianchi, era un convinto assertore del fatto che nel campo medico e scientifico una adeguata informazione si dovesse imporre come dovere civico.

Dove sono oggi i Pier Gildo Bianchi che convalidino questo convincimento? Penso che ce ne siano, anzi, so che ci sono, però purtroppo non giungono così sovente in televisione.

Quanto è stata considerata la nozione di falso positivo?

Si è mai giunti ad un dibattito sui sistemi diagnostici con PCR?


Se considerassimo il numero dei falsi positivi, se considerassimo altresì che scremato questo numero i restanti reali positivi per una buona percentuale non hanno magari sintomi e non possono quindi essere considerati malati, che gli altri ne hanno di lievi e alcuni purtroppo di gravi, ecco, se considerassimo tutto questo ed aggiungessimo a questo il fatto che anche il conteggio dei decessi dovrebbe presumibilmente subire un ridimensionamento in considerazione del discorso che facevamo prima, non sorgerebbe l’impressione che le cifre sciorinate quotidianamente, come bollettini di guerra, non corrispondano al vero?

Cosa direbbe Pier Gildo Bianchi del sistema comunicativo usato per il nuovo coronavirus e la malattia di cui è fattore necessario e tuttavia non sufficiente?

mercoledì 4 agosto 2021

Insegnare nella Scuola che non è mai stata luogo di contagio da nuovo coronavirus è possibile

Premetto che sono contrario all’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie, che tante sofferenze sta causando agli stessi, nell’indifferenza di chi queste sofferenze ha provocato e sono solidale con quanti stanno soffrendo per questa ragione.
Avrei voluto anche evitare di dare l'impressione di cadere ingenuamente in quella che potremmo definire la trappola della guerra tra poveri, per cui invece di dare l'idea di combattere una battaglia comune sembra che ci si metta gli uni contro gli altri a elencare le differenze che ci distinguono piuttosto che le cose che ci accomunano. Del resto queste situazioni, legate a questioni di salute pubblica e a processi decisionali che dai vertici si riverberano sulla popolazione, sono intrinsecamente molto difficili e tali per cui a chi le suscita, consapevolmente o no, sembra anche non sfuggire poi il fatto che esse possano sfociare in dinamiche di questo tipo, tali per cui, chi va ad operare dei distinguo sulla base di legittime osservazioni, rischia di essere frainteso innescando processi di erosione delle potenziali sinergie. Sono scenari che sembrano quasi previsti a tavolino. Per questo mi scuso con il personale sanitario se nel cercare di difendere la posizione degli insegnanti, la circostanza mi sospinge quasi inevitabilmente a fare dei paragoni che potrebbero dare la sensazione di prendere le distanze dai sanitari stessi. Non è così. Ben lungi dal ritenere che le argomentazioni addotte per suffragare l'idea dell'obbligo "vaccinale" per il personale delle professioni sanitarie siano sufficienti per imporlo e trovando anzi che siano lacunose nonché che sussistano tesi numerose e autorevoli per le quali appare maggiormente opportuno e ragionevole che obbligo non vi sia, nondimeno venendo impugnate quelle stesse tesi per ventilare un eventuale obbligo anche per il personale scolastico mi trovo costretto a commentarle per sottolinearne l'inconsistenza. Questi raffronti infatti hanno semplicemente lo scopo di dimostrare che quelle argomentazioni che sono state usate per sostenere l’idea dell’obbligo "vaccinale" per il personale sanitario, penso soprattutto al contatto coi pazienti, per gli insegnanti non sono minimamente applicabili e i luoghi dove si svolge il lavoro dei primi, come studi medici, pronto soccorso, ospedali, cliniche, non sono paragonabili in nessun caso alla Scuola. Queste argomentazioni non hanno proprio senso per quanto riguarda il contesto del personale scolastico.
Come dicevo nell'articolo precedente, per fortuna ho fatto l'ultimo anno scolastico quasi integralmente in presenza, e per le classi prime totalmente in presenza. Giova ricordare innanzitutto che insegnare in presenza non significa e non ha mai significato, neanche in periodi ordinari, avere contatti stretti.
Quando sento dire che i "vaccini" avrebbero lo scopo di evitare la didattica a distanza e di favorire la didattica in presenza la prima cosa a cui penso immediatamente è che io ho già insegnato in presenza in assenza di vaccini, in una situazione giudicata complessa a causa dell'epidemia e delle misure emergenziali, ed è andata benone, direi. A quanto pare sono sopravvissuto io e gli alunni.
Ho insegnato in presenza, esattamente senza "vaccini" e posso quindi affermare dalla mia esperienza che evidentemente è già stato possibile insegnare, durante una epidemia, durante uno Stato di emergenza, ancorché giudicato illegittimo quest'ultimo, per esempio dal tribunale penale di Pisa. A proposito di Stato di emergenza, oggi peraltro questa misura non solo non è legittima in quanto tale, non è legittima neanche in considerazione del fatto che il 31 di luglio è scaduto il tempo massimo di rinnovo delle proroghe, che non possono superare i dodici mesi, tale per cui questo rinnovo esclusivamente nominale a cui i mezzi di informazione non hanno dato il minimo risalto, produce una situazione di sospensione dello Stato di diritto e quindi una erosione dei livelli di Democrazia nel nostro Paese. Com'è possibile che ci si stupisca se poi qualcuno lancia allarmi per una emergenza democratica dal momento che disporre una proroga oltre i tempi consentiti per legge significa effettivamente  porsi al di fuori dello Stato di diritto?
 
Per continuare nel discorso precedente, a noi insegnanti non arrivano malati da curare, bensì alunni a cui insegnare; noi non dobbiamo visitare i discenti, dobbiamo inscenare lezioni in base alle specifiche discipline cui apparteniamo, i nostri strumenti da lavoro non sono termometri e stetoscopi, cateteri o bisturi, non dobbiamo somministrare medicine, stiamo a metri di distanza dagli alunni, dietro a una cattedra oppure in piedi alla lavagna, che sia quella tradizionale di ardesia o quella elettronica, la famosa LIM, elargendo spesso contenuti multimediali che debbono essere fruiti ad una certa distanza metrica appunto. Durante le lezioni gli alunni più vicini sono a un paio di metri; il nostro luogo di lavoro non è evidentemente come l’ospedale, dove spesso si pernotta e vi si può stare per giorni consecutivi, per settimane, in situazioni che non sono paragonabili a quelle di un alunno che sta qualche ora sui banchi. Abbiamo insegnato con Dispositivi di Protezione Individuale, in aule che vengono immediatamente pulite quando gli alunni le lasciano, costantemente sanificate, con finestre e porte aperte per consentire il ricircolo dell’aria che è quindi sempre ben ossigenata e anche allo scopo di evitare le concentrazioni di microparticelle della respirazione che potrebbero eventualmente contenere il virus. E questo a scopo prudenziale si potrebbe dire, giacché esistono degli studi che avrebbero dimostrato che anche in presenza di malati conclamati covid le stanze non si sarebbero saturate di paticelle virali. 

Se gli ospedali purtroppo sono stati spesso luoghi di infezione e di contagio del nuovo coronavirus la Scuole per fortuna no, ed è noto a tutti. È stato sottolineato spesso dall’allora Ministra Azzolina ed ha continuato ad essere così anche dopo, quando al ministero si è insediato Bianchi.
Crisanti stesso in tempi che potremmo definire non sospetti, quando ancora cioè non si poteva neppure ipotizzare di poter parlare di "vaccini", diceva che i bambini sono naturalmente resistenti a questo virus, che lo affrontano meglio di chiunque altro e non lo trasmettono o lo trasmettono in forma lieve. Ci sono state conferme di ciò, è noto che i giovani e i giovanissimi non sono fasce a rischio. I pazienti particolarmente oltre una certa età purtroppo sì.
Chi paragona la Scuola a luoghi come quelli degli ospedali non sa di cosa sta parlando. Le cose vanno vissute per essere capite oppure vanno intuite. Ho vissuto un anno insegnando in presenza e non è stato un anno vissuto, per così dire, pericolosamente, è stata sufficiente la prudenza, il rispetto delle regole che non si differenziano poi molto se non nel grado da quelle che vigono sempre, quanto a igiene personale e ambientale, per esempio

Consideriamo anche il mutato contesto, che varia col tempo, anche per ragioni legate al virus stesso con le sue mutazioni continue, cioè che i virus adottano la strategia dell'adattamento all'ospite, particolarmente quelli mutanti a RNA, come ci insegnano i virologi, e tra quelli a catena singola c'è appunto, com'è noto, il famoso nuovo coronavirus. Questo adattamento ha luogo perché nella loro microscopica intelligenza, passatemi l'espressione, i virus sanno che non devono uccidere l'ospite per non uccidere se stessi. Oggi il contesto è mutato anche perché è passato un tempo adeguato a fare in modo che questo adattamento abbia avuto luogo, così il contesto è appunto cambiato e la variante considerata dominante, la famigerata delta, non sembra paragonabile all'originale, se così si può dire. Si può quindi ipotizzare che, se l'anno scolastico precedente è stato vissuto non pericolosamente, a maggior ragione il prossimo. Non ci sono, a ben guardare, né numeri né argomentazioni tali da giustificare lo Stato di emergenza che per sua natura è tipico di situazioni iniziali, senza considerare quanto dicevamo prima, cioè che è stato giudicato illegittimo da tribunali e che, a norma di legge, è comunque scaduto. Se poi dobbiamo essere responsabili,  nessuno deve tirarsene fuori e dovremmo pur ammettere che non possiamo esserlo a corrente alternata. Essere responsabili non può significare soltanto "vaccinarsi" sarebbe un po' riduttivo. Se c'era quindi una cosa responsabile da fare, la prima in assoluto, sarebbe stata quella di munirsi di sistemi diagnostici appropriati, mentre da Lisbona a Vienna e, adesso, dai CDC e dalla FDA americani, arrivano conferme circa il fatto che i sistemi con PCR siano inidonei a causa dei molti falsi positivi e anche al fatto che non distinguano il famigerato virus dalle normali influenze.

L'obbligo è sempre la sconfitta delle argomentazioni, e i "vaccini" che sono stati permessi in via condizionale, sono di tipo sperimentale, e la condizione per la commercializzazione sarebbe quella di raccogliere diligentemente e con autentica deontologia professionale ogni presunta reazione avversa, in forma attiva e non passiva, cosa che purtroppo sembra non stia avvenendo nel migliore dei modi. Può definirsi responsabile questo?

Non essere riusciti a sviluppare un solo dibattito sulla PCR, nonostante la mole mastodontica di ore dedicate al fenomeno coronavirus, anche questo, non sembra certo un comportamento che possa definirsi responsabile.

Scegliere di vaccinare durante una pandemia, cosa sconsigliata già da Sabin ed oggi da Montagnier, Vanden Bossche, Bolgan, Doschi, Tarro, solo per citare alcuni esperti di virologia, può forse considerarsi responsabile, considerando che le obiezioni maggiori riguardano il fatto che, così facendo, si sviluppano varianti resistenti?

Se si deve essere responsabili dobbiamo esserlo sempre, non solo quando piace a noi.

Viene invocata la scienza come giudice o arbitro, però l'impressione è che quando l'arbitro fischia il rigore contro, no, non va più bene!!!

Insegnare nella Scuola è già possibile, è sufficiente il buon senso e applicare la prudenza, ventilare le aule, usare dispositivi di protezione, lavarsi, stare guardinghi, non fare sciocchezze. Posso affermarlo per esperienza personale. 


sabato 31 luglio 2021

La scuola non è mai stata luogo di contagio


Si punta molto sui "vaccini" come soluzione al problema coronavirus. Se li scrivo tra virgolette è perché quelli di consumo in Italia adesso, sono delle terapie geniche sperimentali, non sono dei vaccini tradizionali cioè con virus inattivo o attenuato. Alcune delle persone che ho sentito e che hanno fatto questa terapia dicevano che se è questa l'unica via d'uscita bisognava pure farla questa "vaccinazione". Capisco il punto di vista, nel senso che se ritieni veramente che questa sia l'unica via d'uscita probabilmente sei onestamente convinto anche di dare un contributo alla soluzione del problema. C'è una domanda che mi sorge spontanea però, perché uno dovrebbe ritenere la terapia genica sperimentale l'unica soluzione? Mai sentito parlare dell'avvocato Erich Grimaldi e delle terapie domiciliari covid precoci? E di ippocrate.org? Di mille medici per la Costituzione? Di mille avvocati per la Costituzione? Dell'associazione l'Eretico?

Idrossiclorochina, eparina, cortisone, ibuprofene, remdesivir, ivermectina, azitromicina, indometacina, plaquenil, attivatori del plasminogeno come l'urochinasi, niente di tutto ciò è pervenuto all'attenzione di chi si inocula perché non c'è, a suo giudizio, altra via?

Non c'è dubbio che l'informazione non abbia tenuto fede al proprio mandato di fare da contraltare al potere politico e che non si sia prodigata adeguatamente per informare il cittadino sull’esistenza di alternative al "vaccino" e che, insomma, le cure esistono e funzionano.

La narrazione in base alla quale le terapie geniche sperimentali sono l’unica panacea ad un male altrimenti incurabile, ancorché false, hanno preso piede purtroppo, grazie anche ad una informazione che davvero, non si è mostrata all’altezza del compito che è tenuta ad assolvere e per il quale si definisce tale. È così che sembra giustificarsi la legge 76 del 28 maggio 2021, sull’obbligo “vaccinale” per gli esercenti le professioni sanitarie, col fatto che il "vaccino" sia ritenuto l'unica soluzione.

Capita di sentir ventilare l’ipotesi di estendere l’obbligo ad altre categorie ed anche la geniale, si fa per dire, idea del passaporto vaccinale sembra essere un modo surrettizio per costringere in qualche modo alla “vaccinazione”.

Anche la Scuola era comparsa nel mirino e francamente non si capisce perché.

Intanto il contesto è completamente cambiato, gli ospedali e le terapie intensive si stanno svuotando, la famigerata variante delta, sempre che non sia mutata in ulteriori varianti, non sembra avere nella maggioranza dei casi di contagio conclamato effetti paragonabile all'originale, se così si può dire.

In Gran Bretagna sono state abolite le restrizioni, in Svezia in pratica non ci sono mai state e Singapore smette di contare i casi di covid poiché declassato quasi a una normale influenza.

In Italia si sono avute le riaperture da coprifuochi e confinamenti quando le terapie intensive erano al 30 per cento e adesso non siamo al 3, il caldo svolge il suo ruolo naturalmente, con i raggi solari che annientano il virus in pochi secondi aiutando a non diffonderlo. Insomma siamo animati da quieto ottimismo, le cose sembrano volgere al bello. Porre obblighi "vaccinali" in una situazione simile sembra semplicemente sproporzionato, fuori luogo, soprattutto per un ambiente che è frequentato da quelli che si sono mostrati essere la categoria con meno rischi in assoluto, capaci di non infettarsi e nei casi sfortunati in cui può essere successo sempre nella forma senza sintomi, il che significa che una eventuale trasmissione a terzi, avviene nella identica forma, cioè senza sintomi.

Odio la didattica a distanza, che si è mostrata fallimentare sotto molti punti di vista, per me la didattica è presenza ed è quindi giusto pensare ad un bell'inizio di anno scolastico a settembre in presenza. Io personalmente ho lavorato quasi tutto l'anno scolastico in presenza, per le prime totalmente in presenza e non temo minimamente i ragazzi non vaccinati, la paura che ho ad insegnare in presenza di alunni non vaccinati è sostanzialmente equivalente a zero.
Per quello che ho potuto vedere i pochi alunni che sono risultati positivi alla PCR cui sono stati sottoposti per contatto a rischio esterno alla scuola e che per questo sono stati costretti a casa vedendo compromesso e ridimensionato il proprio diritto allo studio e la propria preparazione, scoppiavano letteralmente di salute e sarebbero stati l’immagine perfetta da usare per una eventuale pubblicità sullo stato di salute ottimale. Da cui il sospetto legittimo che questo esame molecolare nascondesse dei seri difetti. Cosa che è stata puntualmente confermata prima dal tribunale di Lisbona, poi da quello di Vienna e adesso dalla FDA e dai CDC stessi. Purtroppo I nostri mezzi di informazione, come dicevamo, neanche quelli che prendono il canone, informano circa queste sentenze e decisioni, o danno una scarsissima informazione, impedendo così, al popolo dei contribuenti, che ha il diritto di essere adeguatamente informato, di acquisire quei dati che sono fondamentali per costruirsi una opinione. Se ci guardiamo in giro affidandoci ai nostri sensi la percezione del disastro epidemiologico non c'è.
La Scuola non ha mai costituito un pericolo per nessuno e non è mai stata un luogo di contagio.

Prima di proporre obblighi "vaccinali", facciamoci qualche domanda sui sistemi diagnostici e sull'informazione. Perché il problema che abbiamo vissuto e stiamo vivendo è naturalmente sì, un problema virale, però è anche un problema della diagnostica e poi un problema dell'informazione.


venerdì 16 luglio 2021

Se aggiungi al lessico parole ambigue

Che sia difficile comprendersi gli uni gli altri è noto, oggigiorno però si sono aggiunti degli ostacoli ulteriori. Mi riferisco all'uso di parole che servono a etichettare in una accezione negativa e senza troppi distinguo chi esercita il proprio diritto di critica nei confronti di determinate tematiche. Nel lessico attuale troviamo parole come negazionista e complottista. Negazionista ha sempre designato chi ha tentato di ridimensionare o di negare l'olocausto mentre oggi è stato completamente decontestualizzato e designa colui che negherebbe l'esistenza del nuovo coronavirus; complottista si confonde col significato primario, che è quello che designa chi ordisce complotti, mentre oggi è quasi esclusivamente inteso per indicare chi intravede o crede di intravedere complotti e pensa quindi di smascherarli additandoli con l'aggravante di vederli un po' ovunque. Non si ha l'impressione che l'uso di questi vocaboli avvenga in funzione di una migliore comprensione di un determinato fenomeno quanto per screditare l'avversario, colui col quale ci si pone in rapporto dialettico, senza tanti complimenti e senza operare, appunto, i debiti distinguo. Questo è incentivato dalle dinamiche tipiche delle piattaforme sociali con le relative notifiche di gradimento, i vari mi piace, che i propri seguaci amano apporre sotto ogni pubblicazione gradita e che, naturalmente creano spirito cameratesco, talché vengono espressi gradimenti quasi automaticamente per sottolineare l’appartenenza ad una determinata compagine con la quale sussiste un certo legame, insomma col proprio gruppo, con la propria squadra.
Purtroppo l’effetto che questi vocaboli, usati in modo così disinvolto, hanno sull'esito della discussione, unitamente alle dinamiche del mi piace, è decisamente negativo e non contribuiscono quasi mai ad affrontare un argomento con il giusto atteggiamento, se per giusto atteggiamento si intende quell’atteggiamento che tende a voler realmente approfondire un certo argomente per una migliore e proficua comprensione.

sabato 26 giugno 2021

Deoccidentalizzazione dell'Occidente

Cos'è la deoccidentalizzazione dell'Occidente?
È un fenomeno potenzialmente regressivo del mondo occidentale, forse già in atto in questo momento. Certo non è facile da definire. Possiamo cercare di farcene un'idea pensando che esso può scaturire dalla rinuncia, consapevole o no, a qualcosa di tipico e caratterizzante o a determinate conquiste che nell'ambito dell'Occidente sono state ottenute nel corso dei secoli e spesso non senza un enorme dispendio di risorse ed energie.

Cosa accadrebbe se l'Occidente rinunciasse alla Democrazia per esempio?

La Democrazia non è stata sempre presente in Occidente, anzi, se andassimo a guardare da vicino ci accorgeremmo che essa è del tutto assente per la maggioranza dello svolgimento della storia di questa porzione del mondo che chiamiamo occidentale, così che non sarebbe possibile definirla un elemento tipico in senso assoluto.

Se l'Occidente quindi, sospinto da chissà quali forze, dovesse rinunciare alla Democrazia dovremmo parlare di deoccidentalizzazione o di un ritorno ad un mondo occidentale del passato?

Comunque volessimo rispondere, sia che ci trovassimo dinanzi a quella che abbiamo chiamato una deoccidentalizzazione, sia che ci trovassimo dinanzi al ritorno ad un mondo occidentale del passato, in ogni caso ciò che emergerebbe distintamente sarebbe un fenomeno chiaramente regressivo, come abbiamo accennato, un fenomeno cioè per cui in luogo di un progresso avremmo un regresso, anche molto consistente in questo caso specifico. Se questo fenomeno è in corso, in ogni caso, e non dovesse essere considerato un fenomeno desiderabile talché sarebbe auspicabile contrastarlo, particolarmente per chi crede nella Democrazia ovviamente, la prima cosa da fare sarebbe quella di prenderne coscienza, di essere consapevoli che questo rischio  c'è e che forse è già in corso. È un po' lo scopo di questo articolo che non può avere la pretesa di presentare una trattazione esaustiva al riguardo, quanto piuttosto di limitarsi a segnalare che questo fenomeno potrebbe rappresentare uno scenario potenzialmente possibile o già in corso appunto, in modo da sospingere anche altri ad individuarlo, studiarlo e contribuire a contrastarlo.

Giacché parliamo di una macroarea, quale potrebbe essere appunto quella dell'Occidente, ciò richiama immediatamente per opposizione la nozione di Oriente e la corrispondente macroarea. Questa presunta deoccidentalizzazione che tipo di varizioni geopolitiche potrebbe essere in grado di innescare?

Anche qui è difficile rispondere però appare abbastanza evidente ed intuitivo che della deociddentalizzazione dell'Occidente potrebbe avvalersi l'Oriente.

Pensiamo a quel fenomeno che si è verificato in Italia nel corso degli ultimi anni, per cui una certa politica configurabile per alcune sue caratterstiche come di destra, venuta in adozione però ad una certa sinistra, abbia favorito le destre e non la sinistra. Ecco, si tratterebbe un po' della stessa cosa. Chiunque pensasse di favorire l'Occidente con questa deoccidentalizzazione, ben lungi dall'ottenere qualche risultato interessante o favorevole per questa macroarea politica e culturale, favorirebbe anzi il successo dell'Oriente che, avendo, diciamo così, una minor dimestichezza col concetto di Democrazia e con la sua applicazione, facendo le debite distinzioni, rischierebbe di ridurre considerevolmente i benefici che dall'esercizio di essa sono derivati al mondo occidentale.

Sostanzialmente ne potrebbe derivare uno sbilanciamento in favore dell'Oriente, con un rimodellamento geopolitico che potrebbe rompere gli attuali equilibri e in modo tale da non permettere di sapere molto chiaramente come essi si riequilibrerebbero.

L'opinione di chi scrive è che la Democrazia rappresenti una importante conquista del mondo occidentale, che essa debba essere difesa come un bene estremamente prezioso e che, anche se essa non rappresenta l'elemento tipico individuabile in ogni tempo e ovunque nello svolgimento della sua storia, essa sia oggi un elemento caratterizzante e irrinunciabile. A mio giudizio poi, deoccidentalizzazione e dedemocratizzazione viaggiano di pari passo. Ovunque dovessimo accorgerci quindi che essa è minata, dovremmo ricorrere con solerzia ai ripari o il rischio a cui andremmo incontro sarebbe quello di una nociva disidentificazione o appunto, quello di una deoccidentalizzazione dell'Occidente e del conseguente sbilanciamento geopolitico cui alludevamo, dal quale sarebbe difficile comprendere quale tipo di beneficio potremmo ottenere, come occidentali.


sabato 29 maggio 2021

Lessico e covid

Possiamo definire il lessico un repertorio di parole e di espressioni cioè l'insieme degli elementi che in un sistema linguistico danno forma a diversi significati quali nozioni, concetti e azioni, anche indipendentemente dal fatto di essere raccolto e ordinato.

Se dunque il lessico è l’insieme delle parole e delle locuzioni che vengono usate in una determinata lingua, il lessico del covid, nello specifico, è l’insieme delle parole e delle locuzioni che vengono usate oggi dai mezzi di informazione nell’ambito della comunicazione inerente questo virus, il famigerato nuovo coronavirus, e della malattia che potenzialmente ne potrebbe derivare.

Già la parola covid infatti si presenta in modo ambiguo ed occorre esordire con questa prima precisazione.
Essa, ci insegna il presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini, può essere declinata al maschile o al femminile e quando è declinata al maschile si riferisce al virus, quando è declinata al femminile si riferisce alla malattia che da questo virus potrebbe derivare.

Osservando l'espressione lessico del covid, notiamo la preposizione articolata del, e quindi una declinazione maschile, il che ci fa pensare quindi innanzitutto al virus e questo non per una scelta di genere interessata, essendo chi scrive un uomo, bensì perché nell'ordine logico delle cose prima viene il virus e poi l'eventuale malattia. Ciò detto, proseguiamo nel discorso.

Nel modo di veicolare l’informazione inerente al nuovo coronavirus non si ha l’impressione che il sistema sia raccolto e ordinato. È comunque lessico quindi, pur non essendo ordinato, però si può ben ipotizzare che un maggiore ordine possa costituire la premessa utile, per non dire  indispensabile, a parlarne meglio, cioè in modo che la comunicazione sia essa stessa migliore e maggiormente funzionale alla comprensione di un fenomeno che ha interessato e sta interessando ognuno di noi. E di fare ordine pare che ce ne sia un gran bisogno.

Anche il linguaggio deve essere scientifico quando deve parlare di scienza o quando dice di far parlare la scienza, altrimenti sarebbe opportuno, nonché onesto, precisare che non c'è l'intenzione di dare voce alla scienza. Se desidero fare poesia posso anche optare per un linguaggio evanescente e indeterminato, nebuloso ed allusivo, posto che desideri appigliarmi al principio dell’indeterminatezza come lo si apprende da Leopardi, per esempio.
Se invece l’intento è quello di fornire una informazione scientificamente esatta, anche il linguaggio deve essere appunto scientificamente esatto o rischia di fare la sua comparsa quell’indeterminatezza dei significati che, se può avere un ruolo nel linguaggio poetico, non dovrebbe averne quando si tratta di far comprendere a un popolo il fenomeno, sia esso pandemico o no, che sta vivendo in questo momento. Perché anche sul fatto che sia pandemico stanno emergendo dubbi.

Per tornare al lessico del covid, che cosa significa per esempio, nuovi casi? Dubito che ci si sia mai soffermati ad analizzare adeguatamente il significato di questa espressione, nuovi casi, invero così poco scientifica. Novi casi di cosa? Scusate il gioco di parole.

Semplice, risponderebbe il saccentone di turno, significa nuovi casi di covid!!!
Eppure, come abbiamo detto, anche il solo uso della parola covid non è scevro dal rischio di fraintendimenti, se è vero che essa può essere declinata al maschile, nel qual caso indica il nuovo coronavirus, oppure al femminile, nel qual caso indica la malattia che il nuovo coronavirus potenzialmente può far scaturire in colui che ne è entrato in contatto.

Diamo quindi per acquisito, da qui in poi, nella lettura dell'articolo, che abbiamo il covid e la covid e che non sono la stessa cosa. Banalizzare la differenza significa abdicare all’idea di avere un linguaggio scientifico inerente al fenomeno del coronavirus, cioè ad un fenomeno in cui la scienza è evidentemente coinvolta. E chi abdica all’idea di avere un linguaggio scientificamente accurato ed esatto per descrivere questo fenomeno, non aiuta ad interpretarlo, comprenderlo e neanche risolverlo, perché per strano che possa sembrare un linguaggio appropriato aiuterebbe in modo significativo a risolvere il problema e, dobbiamo purtroppo constatare, che di questo linguaggio ad oggi non c’è traccia.

Forse non è così semplice da comprendere, però, molto del problema virale in corso è stato ed è un problema della comunicazione.

Nuovi casi? Non è sufficiente rispondere che si tratti di nuovi casi di covid. La preposizione semplice di non è in grado da sola di declinare il sostantivo covid al femminile o al maschile, quindi io non so, in vero, se stai parlando del virus o della malattia che da esso può scaturire e non è un fraintendimento da poco.

Nuovi casi di cosa, quindi?

Nuovi casi di positività al nuovo coronavirus.

È questa la risposta giusta alla domanda, a mio giudizio o, se non altro, è la risposta che si presta meno ai fraintendimenti. Mentre non precisare questo, gioca sull’indeterminatezza appunto che, quando è leopardiana e afferisce all'ambito della poesia è anche la benvenuta, quando invece non ha niente a che vedere con questa arte ed anzi pretende di afferire all’ambito scientifico, serve a dire tutto e a non dire niente e quindi non è utile a farti comprendere il fenomeno che è intorno a te e che ti riguarda così da vicino.

Questa indeterminatezza è utile solo a creare confusione nella percezione generale che hanno le persone del fenomeno virale in corso, gente che, anche a causa di questa, non riesce a leggere l'epidemia nel giusto modo. Peraltro l'indeterminatezza del linguaggio si riverbera negativamente, quasi per trasmissione, anche ad altri vocaboli o espressioni di quello che abbiamo chiamato lessico del covid, così essa contribuisce anche a non fare chiarezza tra positivo con sintomi e quindi malato, e positivo senza sintomi e quindi non malato. Ricordiamo infatti che positivo non vuol dire malato.

Chi intendesse l'espressione nuovi casi semplicemente come nuovi casi di covid, senza ulteriori distinzioni inerenti la natura maschile o femminile con la quale si volesse declinare la parola covid, automaticamente induce il destinatario del messaggio, il telespettatore, a considerarli tutti malati, cosa che non è realistica.

Sono 16.346 i nuovi casi di covid appurati oggi in Italia.

Dicendo dei numeri a caso, assimilabili però a quelli di qualche settimana fa, ecco un esempio di informazione tipo, cioè fruibile da un qualsiasi telegiornale italiano. Anche qui, l'espressione nuovi casi è suscettibile di generare solo confusione, induce il telespettatore o il lettore a supporre che vi siano 16346 nuovi contagiati, e abbiamo cercato di dimostrare che non è così. 16346 sarebbero i nuovi positivi e, tuttavia, giacché positivo non vuol dire malato, non vuol dire neanche contagiato, giacché il contagio presuppone necessariamente la malattia. L’espressione nuovi casi, non si presta a fare chiarezza neanche su questo punto, quanto piuttosto a fare confusione, a confondere.

Vocaboli evanescenti come questo, casi, hanno fatto la propria comparsa anche nei DPCM, cioè negli atti amministrativi del Governo, quindi nel lessico inerente le comunicazioni governative ufficiali. Dal 15 marzo al 6 aprile al superamento di 250 casi ogni 100 mila abitanti in base ad un DPCM appunto, è scattata automaticamente la zona rossa cioè a dire severe restrizioni che comportano una contrazione dei diritti costituzionali di ogni individuo della zona considerata, con ripercussioni negative ad ogni livello, Scuola compresa. Questo per dei generici casi appurati, peraltro, con il sistema PCR che non è validato scientificamente.

Questa espressione, sembra rappresentare quindi un vizio di fondo che si riverbera a discesa in modo negativo su tutta la comunicazione. Se, parafrasando Leibniz, dai pochi pensieri scaturiscono in ordine altri infiniti pensieri, allo stesso modo in cui da pochi numeri si possono derivare in ordine tutti gli altri numeri, possiamo arguire come anche dai pochi, ancorché significativi errori, di concetto o di comunicazione, possono scaturire in ordine infiniti altri errori. È proprio la caratteristica di quello che si può definire vizio di fondo.

Confusione sussiste anche, accennavamo, sull'uso del vocabolo positivo. Considerando i numerosi casi di falsi positivi determinati da esami molecolari non scientificamente validati, come dicevamo, e peraltro con eccessivi cicli di amplificazione, dovremmo aggiungere che, non solo il vocabolo positivo non vuol dire malato, molto probabilmente vuol proprio dire falso positivo, cioè qualcuno che il virus, per fortuna, per il momento non l’ha proprio neanche sfiorato. A nessuno è sfiorata invece l’idea che un positivo senza sintomi possa semplicemente essere un falso positivo?

Del resto sul fatto che il sistema PCR non sia attendibile anche dei tribunali ce lo stanno a confermare. Soprattutto chi dice che non c’è spazio per superficialità e posizioni ideologiche dovrebbe innanzitutto capire che la primissima cosa da fare senza por tempo in mezzo, se vuoi veramente vincere una pandemia, è avere sistemi e criteri diagnostici efficaci e ben calibrati al di sopra di qualsiasi sospetto e di qualsiasi critica, e che occorre quindi intanto diminuire i cicli di amplificazione della PCR. Poi parliamo del resto. Anche nell'uso acritico della PCR si annida quindi un vizio di fondo.

Crescono i contagi o cresce il numero dei contagi.

Ecco altre espressioni molto coccolate dal sistema mediatico con le quali ognuno di noi si è dovuto confrontare. Peccato che non siano necessariamente dei contagi. Se infatti il contagio, ci viene insegnato, presuppone necessariamente la malattia e positivo non vuol dire malato, stante anche l’alta percentuale dei falsi positivi, dinanzi alla notizia che cresce il numero dei positivi al nuovo coronavirus, che si tratti di contagiati, cioè di malati conclamati, è tutto da dimostrare. Eppure se ne accenni sei subito definito antiscientifico.
Guai a mettere in dubbio l’attendibilità di queste notizie, vieni subito incasellato tra i negazionisti, espressione la cui fioritura e il cui abbondante uso non sembra casuale, tanto essa è funzionale a stroncare ogni dibattito.

È difficile che la comunicazione ufficiale corrente si sia discostata molto da questo tipo di comunicazione, da questo tipo di lessico e, spiace dirlo, però è rimasta sempre molto superficiale.

In sintesi, se caso vuol dire semplicemente e genericamente positivo, e positivo non vuol dire malato, caso non vuol dire necessariamente malato né quindi contagiato.

Per quel che riguarda la nozione di malato poi, non possiamo non accennare al fatto che essa non è così semplice e banale da capire, così come non è semplice stabilire la causa di una malattia quindi anche di quella declinata come la covid.

Le cause di malattia possono essere suddivise in determinanti e coadiuvanti, necessarie e favorenti, dirette e indirette, sufficienti e insufficienti. Per esempio il Mycobacterium tuberculosis è causa necessaria e tuttavia non sufficiente della tubercolosi.
Nel lessico usato dai mezzi di informazione di massa per quanto riguarda il famigerato nuovo coronavirus, che cosa di queste nozioni, di questa suddivisione e catalogazione è stato tenuto presente? Sembrerebbe niente.

Se il lessico che usi è estremamente indeterminato nonché ambiguo, talché si stabilisce quasi automaticamente una equazione, quella in base alla quale nuovo caso significherebbe nuovo malato, di tutto il ragionamento che la letteratura scientifica propone a proposito di cause di malattia non si è tenuto proprio conto, evidentemente.

L'informazione ufficiale corrente ha preferito abdicare ad una comunicazione scientifica, cestinando concetti che sono alla base stessa della medicina e favorendo la diffusione di messaggi ambigui suscettibili di creare nella popolazione allarme sociale. I bollettini, tutti dello stesso stampo, sono sempre sembrati bollettini di guerra, con poco o niente di scientifico e senza le opportune distinzioni.
Del resto anche il Dottor Pier Gildo Bianchi, a proposito di comunicazione medica anche quando è mediatica, ammoniva che

“un’adeguata informazione si impone come dovere civico”.


È giusto o non è giusto chiedersi a questo punto se l’informazione abbia adempiuto a questo dovere civico e se il lessico utilizzato abbia aiutato ad adempiere nel migliore dei modi a questo compito?

Anche chi dovesse non concordare con il contenuto di questo articolo, potrebbe nondimeno trovare che la ricerca di un linguaggio scientificamente corretto potrebbe essere utile in questi frangenti e quindi è invitato a proporre le sue critiche, i suoi suggerimenti di modifica dei vocaboli, del lessico insomma, di proporre scelte linguistiche che meglio possano contribuire ad una informazione corretta e scientificamente accurata, appropriata alla situazione, con significati univoci, non fraintendibili.

Solo con un lessico appropriato l'informazione potrà contribuire alla soluzione di un problema come quello che da oltre un anno ci sta affliggendo.
 

 


giovedì 29 aprile 2021

Virus e limitazione dei diritti costituzionali

In Italia vige lo stato di diritto. Ciò vuol dire che non viviamo come gli uomini primitivi, in un contesto nel quale predomina la legge del più forte. Viviamo in un contesto di leggi e di fonti gerarchicamente ordinato e al vertice di questo sistema c'è la Costituzione. Le leggi e i decreti legge non possono essere redatti in contrasto con Essa. I diritti costituzionali sono fondamentali, inviolabili, essi rappresentano una conquista che non  è stata semplice  né scontata.

Da oltre un anno però questi diritti sono limitati. Abbiamo vissuto sulla nostra pelle il significato di coprifuoco, confinamento, distanziamento, zona gialla, zona arancione e zona rossa. L'emergenza coronavirus l'ha fatta da padrone. Adesso però c'è chi comincia a non tollerare queste limitazione, anche perché alcune di esse vanno ad incidere troppo pesantemente ed in modo eccessivamente continuativo, sul lavoro, costringendo a chiusure di esercizi di cui spesso non sappiamo se rivedremo l'apertura. Sono situazioni drammatiche di cui non avremmo voluto avere notizia. Gli effetti delle restrizioni sono devastanti da un punto di vista fisico e psicologico, molti medici e psicologi lo sostengono da tempo e con prove alla mano. A chi giova tutto ciò?

Queste restrizioni sembrano giovare esclusivamente a chi vuole favorire l'implementazione del digitale, il nuovo idolo moderno.

In ogni caso c'è una cosa che deve essere compresa, ed è che ogni stato di emergenza, particolarmente quando limita diritti inviolabili come quelli sanciti dalla Costituzione, non può perdurare oltre un certo limite. Nella nostra cultura è depositato da tempo il concetto di giusto limite, varcato il quale non può esserci giustizia.


Est modus in rebus, sunt certi denique fines quos ultra citraque nequit consistere rectum, diceva Orazio, ed eravamo nell’antica Roma.


C’è un modo nelle cose, ci sono dei precisi confini prima e oltre i quali non può sussistere il giusto.

Può darsi che questi limiti siano stati varcati?

Per scoprirlo potrebbe esserci di aiuto l' addentrarci nell'ambito della scienza, giacché molte delle restrizioni sembrano dovute a dati scientifici e la cosa potrebbe risultare meno ostica di quanto non possa sembrare.

A determinare le restrizioni, i coprifuochi, i confinamenti, le zone gialle, arancioni, rosse, a costringere alla didattica a distanza o a quella digitale integrata, a far chiudere le saracinesche di una moltitudine di esercizi commerciali, ad interrompere filiere produttive virtuose, a lasciare a casa studenti sanissimi collettivamente  e singolarmente e purtroppo molte altre cose simili, è innanzitutto il sistema con il quale si è deciso acriticamente di appurare la presenza del virus nelle persone, è quello che va col nome di riconoscimento molecolare dei tamponi basato sulla tecnica della PCR, Polymerase Chain Reaction o, in italiano, RCP, Reazione a Catena della Polimerasi. Questo metodo sembra che non sia particolarmente affidabile. Si sapeva da tempo che i cicli di amplificazione della PCR si attestassero dai 36 ai 41 e forse anche oltre. Questo, in base all'opinione dell'OMS, significava non consentire di distinguere tra rumore di fondo e reale presenza del virus. Peccato che questo sommesso invito dell'OMS a diminuire i cicli di amplificazione della PCR si stato sostanzialmente ignorato. Molte autorevoli opinioni, in sintonia perfetta con quella dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, attestano che già a 25 cicli vi è un numero di falsi positivi del 30 %, una percentuale sufficientemente alta a nostro giudizio per chi vuole adottare, per così dire, un atteggiamento prudenziale. Però evidentemente per qualcuno non basta. Oltre questa soglia la percentuale dei falsi positivi aumenta a dismisura. A confermare poi che i cicli con cui viene praticata la PCR nel riconoscimento molecolare dei tamponi ci si attesti dai 36 ai 41 sembra che sia nientemeno che l'Avvocatura dello Stato stessa. Se dunque vi è un così alto numero di falsi positivi, anche del 96 %, con cicli così alti, qualche dubbio che il sistema adottato non sia proprio dei migliori, non sia affidabile, non dovrebbe emergere?

A sancire che questo sistema di Reazione a Catena della Polimerasi per il riconoscimento molecolare dei tamponi non sia idoneo a diagnosticare la presenza del nuovo coronavirus, è stato di recente anche il Tribunale amministrativo di Vienna, che non ha potere giuridico in Italia, ovviamente, è che però qualche domanda dovrebbe pure far sollevare nella popolazione, nei medici, nei virologi e infettivologi, nei giornalisti, oltre che nelle coscienze di chi ci rende schiavi di un simile metodo. Aggiungiamo che questa sentenza giunge vari mesi dopo una simile sentenza, quella del Tribunale di Lisbona, in Portogallo.

Anche arrivando ad ammettere che possano sussistere dei casi limite, nei quali una certa restrizione dei diritti, purché ragionevole, temporalmente limitata e circostanziata, possa esserci, qui siamo di fronte ad un protrarsi così smisurato, così eccessivo di questo stato di limitazione, che molti cominciano a  pensare di essere di fronte a qualcosa che non è più umanamente tollerabile. Deve sempre essere fatto il massimo sforzo, in qualsiasi situazione, per evitare le limitazioni dei diritti fondamentali così faticosamente conquistati. E qui, non solo non sembra che questo sforzo sia stato fatto, sembra che per determinare le limitazioni ci si sia affidati ad un sistema semplicemente non idoneo. Se fai ogni sforzo per evitare le limitazioni dei diritti fondamentali non puoi affidarti ad un sistema dubbio, o rischi che si cominci a sospettare che ti affidi al fatto che la gente non sospetta che è inidoneo. Quindi forse non stai facendo proprio tutti gli sforzi per evitare di limitare i diritti costituzionali.

Se quindi il protrarsi nel tempo di queste limitazioni è dovuto al fatto che si usano sistemi non idonei per diagnosticare la presenza del virus e che, in aggiunta, questi vengono usati in modo spregiudicato con eccessivi cicli di amplificazione, ecco, questo non è solo grave, questo diviene semplicemente scandaloso, inaccettabile, improponibile. E dobbiamo prenderne coscienza.

Uno stato di diritto può essere limitato da un sistema tecnico che non è idoneo a diagnosticare la presenza del famigerato nuovo coronavirus, di un metodo cioè che non  è scientificamente valido per questo tipo di diagnosi?

sabato 27 marzo 2021

La scuola e la fatica necessaria

Dovevo essere in Croazia, credo, certamente d’estate, dopo cena, quando trattenutomi al tavolo che ci aveva visti consumare il pasto serale, nel chiacchierare con i mie compagni di viaggio, per intervenire in un discorso la cui natura specifica adesso mi sfugge, espressi l’idea e il convincimento che l’uomo tende naturalmente alla pigrizia e che, se può non fare, non fa, ragion per cui non è bene metterlo di fronte alla possibile scelta di non fare, di essere cioè tentato dalla pigrizia e dal non agire, a prescindere dal suo stato sociale giacché anche questo può influire, benché non sempre, sull'attitudine alla pigrizia. Nel ripensare a questo episodio, naturalmente faccio presente a me stesso e nel mentre agli altri, che fare non significa necessariamente muoversi fisicamente, agire nello spazio, muscolarmente, anche pensare in un certo senso è fare. Quindi nessun assolutismo o interpretazione eccessivamente rigorosa, diciamo che è indispensabile comprendere il senso generale, estensivo della cosa. Ancora oggi condivido quell’idea, con qualche rimaneggiamento, e c’è una ragione se essa si ripresenta dinanzi a me oggi, per attualizzarsi nel contesto sociale odierno. Mi rendo infatti conto che essa sta assumendo un significato particolare proprio in questi giorni o, per meglio dire, in questi ultimi mesi che vedono per esempio gli insegnanti costantemente tentati dall’idea dei casalinghi collegamenti in rete dal proprio dispositivo telematico personale, rinunciando purtroppo spesso e volentieri anche agli Organi Collegiali in presenza, e rinunciando contestualmente anche ad altre cose, come ad esempio a scindere luogo e tempo di lavoro da quello di riposo, da quello di casa, cosa che pure ha un suo senso, una funzione psicologica di un certo rilievo e interesse. Ciò avviene a volte per seguire i DPCM che regolamentano le zone in cui l’Italia è suddivisa a seguito dell’emergenza sanitaria, il che conferirebbe una copertura, diciamo così, amministrativa, in altri casi invece mi pare del tutto indipendentemente da questi. Mi è successo quindi di ripensare a quelle idee espresse in passato, in una sera d'estate in Croazia, e di unirle con altre depositatesi in vari momenti della vita nel mio bagaglio concettuale, nozionistico ed esperienziale in generale, nonché di meditarle alla luce delle devastanti conseguenze derivanti dell’emergenza sanitaria stessa, particolarmente per la scuola che rischia di esserne snaturata dalle fondamenta. L'impressione generale che ne ricavo personalmente è che oggi nel mondo della scuola qualcosa si muova verso lo stimolo all'impigrimento delle figure che vi esercitano la propria professione, tra le quali ovviamente quella degli insegnanti. Se così è, dobbiamo necessariamente prenderne coscienza, capirne le dinamiche, intuirne gli esiti, se possibile anticiparli . Per queste ed altre ragioni derivanti da allarmanti constatazioni, ogniqualvolta dovessi accorgermi che qualcosa o qualcuno sta tentando di sospingermi all’impigrimento, o comunque sta producendo consapevolmente o no l’effetto di deprimere la mia forza di volontà e sospingermi al non fare, al non agire, io sempre dovrò esigere da me stesso uno sforzo, cioè di ricordare in ogni modo una antica sentenza, quella che grazie all’intenso lavoro di ricerca e ai viaggi di un noto personaggio di nome Gurdjieff è stato possibile trarre da un antico tempio orientale per poi divulgare anche al pubblico occidentale particolarmente attraverso un libro dal titolo Incontri con uomini straordinari; la risoluzione presa con me stesso consisterebbe quindi nello sforzo di ricordare quella frase e di pronunciarla o sottovoce o mentalmente un certo numero di volte affinché si depositi nella mia coscienza il senso profondo che essa richiama, insieme all’ingegnoso enigma ad essa associato, quello dell’uomo, del lupo, della capra e del cavolo, che devono portarsi dalla sponda del fiume nella quale inizialmente si trovano, all'altra, su una piccola barca, enigma cui ebbi peraltro la ventura di essere sottoposto quando ero ancora un bambino e che mi è sempre rimasto impresso. A proposito di impressioni, corroborato dalla visione delle immagini dei sandolini di Caillebotte recentemente discusse ed elargite ai miei alunni di terza a lezione di storia dell’arte, evidentemente giunta all’Impressionismo, i ricordi dell’antica sentenza e dell’enigma ad essa associato, cui peraltro i sandoli richiamano, tendono insieme ad acquisire una fisionomia ed una energia estremamente positiva, un po’ come quella che il positivismo scientifico trasmise, ritengo, ai pittori Impressionisti che da esso guidati produssero immagini che ne riverberavano il sentimento.  

Meriterà il nome di uomo e potrà contare su ciò che è stato preparato per lui, solo colui che avrà saputo acquisire i dati necessari per conservare indenni sia il lupo sia l’agnello che gli sono stati affidati

Questa è la sentenza e, come possiamo notare, si presenta già di per sé abbastanza enigmatica. Cosa potrà significare? Nell’offrirci questa frase di non immediata comprensione tuttavia, l’autore di Incontri con uomini straordinari, ci fornisce anche una chiave di lettura consistente nell’indirizzarci a pensare che la parola lupo simboleggerebbe l’insieme del funzionamento fondamentale e riflesso dell’organismo umano, e la parola agnello l’insieme del funzionamento del sentimento. Nonostante i suggerimenti, ben lungi dal ritenere di essere stato ed essere un adeguato esegeta di questa sentenza, così come dal fatto di ritenere di averla ben compresa nel suo complesso, nondimeno mi ancoro a quel poco che credo di avere capito di essa anche in forza di quell’esperienza cui poc'anzi alludevo, quella che feci da bambino quando fui sottoposto all’enigma ad essa associato e in ragione, aggiungerei, anche della lettura stessa di Incontri con uomini straordinari in cui quello che popolarmente viene definito il nocciolo della questione è opportunamente sottolineato.  

Un uomo deve portare da una sponda all’altra di un fiume oltre a se stesso, un lupo, una capra e un cavolo, tenendo presente che può portare con sé sulla piccola barca che ha in dotazione solo uno di questi per volta

 In base a queste prime nozioni l’uomo non dovrebbe che prendere o lupo o capra o cavolo con sé nella prima traversata, tornare indietro da solo, prenderne un altro, tornare da capo alla sponda iniziale e prendere l’ultimo e con questo avrebbe concluso le sue fatiche. In tutto si potrebbero contare quindi cinque traversate del fiume. Le regole dell’enigma però non sono concluse. A quanto già dichiarato, dobbiamo aggiungere che lupo e capra non possono essere lasciati da soli, poiché in quel caso il lupo mangerebbe l’agnello e che neanche capra e cavolo dovrebbero trovarsi mai da soli, altrimenti la capra mangerebbe il cavolo. Solo la sorveglianza attiva dell’uomo può scongiurare che questi pasti si consumino, cioè a dire se egli è presente il lupo non mangia la capra e la capra non mangia il cavolo. Uomo, lupo, capra e cavolo dovranno ritrovarsi indenni sulla sponda opposta. Come si deve comportare l’uomo per raggiungere questo risultato? Ora, senza stare a rivelare troppo palesemente la soluzione dell’ingegnoso e metaforico enigma, anche per lasciare il gusto di sperimentarla personalmente all’eventuale lettore, mi limiterò a dire quanto già scritto nel libro sopracitato. Nel trovare la soluzione a questo enigma ci si accorgerà che l’uomo deve compiere un viaggio in più rispetto a una situazione normale, cioè rispetto a una situazione nella quale nessuno degli animali dell’enigma abbia, per così dire, appetito. In pratica si scoprirà così che quanto si esige da lui, è che egli NON SIA PIGRO per l'appunto, che non risparmi cioè le sue forze, bensì che le spenda. Dunque penso che sia mio dovere sottolineare adeguatamente come anche nella Scuola vivano lupi, capre e cavoli e che il compito dell’insegnante consisterebbe nel mantenere indenni ognuno di essi. E nella scuola cosa dovrebbero simboleggiare i due animali e il vegetale? No, chi pensa agli insegnanti è malizioso e dà della mia idea una lettura sintomale, cioè cerca di farmi dire cose che non sto dicendo e che di fatto non dico, nessuno quindi si senta offeso ed evitiamo di travisare. Se talvolta capra viene usato per dare a qualcuno dell’ignorante, cosa abbastanza nota oggigiorno anche per l’uso enfatico che in alcune circostanze un noto personaggio politico italiano ne fa, in questo caso non c’entra niente. In ogni caso, anche indipendentemente dall’assegnare ad essi un significato metaforico ben preciso, ciò su cui si dovrebbe concentrare l’attenzione è la nozione di risparmio, di cui sappiamo, in cattedra l'ingegnoso enigma, che NON deve esserci. Per meglio dire, è la pigrizia che non deve esserci. L’insegnante come l’uomo dell’enigma, non si deve risparmiare, deve spendere coscientemente le proprie energie, non deve farsi impigrire. E a scanso di equivoci vorrei sottolineare che ciò non significa che deve sfinirsi gratuitamente di fatica, è ovvio anzi che tutto deve avvenire entro limiti ragionevoli e ben ponderati che non vadano a danneggiare la salute, però, pur entro questi limiti di ragionevolezza, non deve appunto risparmiarsi, altrimenti il lupo mangerà la capra, magari dopo che questa avrà divorato il cavolo, nel qual caso sarebbe il solo lupo a rimanere indenne e noi non meriteremmo il nome di uomini, nel senso di esseri umani, quindi presumibilmente neanche quello di insegnanti. E questo, vorrei aggiungere per fare un parallelismo che potrebbe esserci utile in un eventuale altro articolo, un po’ come lo Stato, che da un punto di vista economico non deve risparmiare, deve spendere benché alcune assurde ed arbitrarie regole europee finiscano per impedirgli di agire in questo modo. Tornando però alla Scuola e al ruolo dei professori, se dunque a questo è chiamato un insegnante, cioè a mantenere indenni lupo, capra e cavolo, attraverso l'uso della ragione cosciente, alla presenza e all'adoperarsi con fatica, come nell’ingegnoso enigma, egli non dovrà risparmiarsi appunto, non dovrà cercare di fare un viaggio in meno, magari per cedere alle lusinghe di un Collegio dei docenti a distanza, quanto piuttosto, dopo aver osservato le complesse dinamiche che da sempre la scuola vive e quelle nuove che vi si sono immesse un po' forzosamente in conseguenza dell'emergenza coronavirus, di farne uno in più e solo così la Scuola potrà mantenere la sua forza integrale. Del resto la scuola è presenza e fino ad oggi gli Organi collegiali si sono sempre svolti in presenza, dove c'è un livello di condivisione e di partecipazione ben superiore a quello esprimibile a distanza. Inoltre i suoi ambienti sono utili se sono vissuti, abitati, anche dai sentimenti degli insegnanti, degli studenti e del resto del personale, anche nelle palestre dove il buon esercizio fisico contribuisce a donare alla mente un corpo sano per connettere entrambi al miglior sentimento possibile. Solo così, col lavoro cosciente, con la presenza, con la fatica, la Scuola potrà mantenersi adeguata a promuovere il successo formativo dei discenti e a svolgere l’importantissimo compito di incentivare e promuovere un individuo propriamente detto, dotato cioè di una ragione normale, libero e capace di esprimere un pensiero cosciente e costruttivo, allo scopo di concorrere al generale processo di perfezionamento umano, il solo che possa permetterci di vincere le importanti sfide del futuro, per il bene collettivo e del pianeta che ci ospita.

sabato 27 febbraio 2021

Scuola e processo generale di perfezionamento umano

Alla scuola è stato affidato da sempre un compito importantiissimo, quello dello sviluppo intellettivo dei giovani e in generale della persona, il che coincide per certi versi anche con lo sviluppo fisico e motorio, giacché ci sembra ragionevole accettare il nesso psicosomatico che nella nostra tradizione viene sottolineato degnamente dalla locuzione latina, mens sana in corpore sano. Potremmo poi aggiungere il compito dello sviluppo emozionale che, per quanto distinto naturalmente, è legato a primi. Quindi il ruolo della scuola, al più alto grado, è quello di sviluppare la persona, per renderla un individuo propriamente detto. Giova ricordare a questo punto che individuo ha una accezione etimlogica molto significativa, cioè significa non diviso, indivisibile. E questo ci fa subito pensare a quell'espressione sovente usata di uomo tutto d'un pezzo. Ora, nel naturale processo di cambiamento inerente la società in generale, viene ovviamente coinvolta anche la Scuola. Solo che spesso si guarda ad essa come a un ricettacolo passivo dei cambiamenti, con la sola funzione di adattarvisi per insegnare, si dice, cose in sintonia con il cambiamento dei tempi. Al cambiamento insomma, qualcuno pensa, ci si debba adeguare e basta. Invece non è così perché la scuola non solo non è un semplice ricettacolo di influenze esterne, essa, se è vitale, se è in salute, è al contrario capacissima di imprimere cambiamenti alla società in cui alberga, di formulare critiche, proposte, alternative. Una scuola pensata semplicemente come ricettacolo passivo di influenze esterne, cioè una scuola che rinunci al mandato di imprimere cambiamenti migliorativi alla società in cui alberga, semplicemente non sarebbe più una scuola e tenderebbe a somigliare progressivamente sempre più e quasi esclusivamente ad una caserma di addestramento piuttosto cha ad un luogo di apprendimento. Asserire che essa debba semplicemente adattarsi ai cambiamenti passivamente, è quindi un modo ben riduttivo di guardare a questo fondamentale ente dello Stato. E l’impressione istintiva che se ne ricava è quella che, chi guarda in modo così riduttivo alla scuola, è perché possiede un vizio di fondo a cui si vincola, cioè ha proprio in mente la riduzione, nel senso che pensa già come impostazione base personale, di ridurla, di ridimensionarla per qualche scopo che non ci è dato sapere, insomma ha in mente di depotenziarla, il che significa inficiarne il ruolo di principale ente pubblico cui è demandato l’irrinunciabile e importantissimo ruolo di innescare processi virtuosi del perfezionamento dei giovani in particolare e umano in generale. Verrebbe così a cadere il principale strumento di questo cambiamento migliorativo complessivo con grave danno per tutti. Responsabilità educativa oggi, significa prendere coscienza di tali questioni e anche mettere in discussione i cambiamenti in atto e, se è il caso, proporre alternative, migliorìe, correttivi, imprimere cambiamenti migliorativi alle dinamiche in atto. Chi scrive pensa che sia il caso, naturalmente. Se vogliamo che la Scuola con la esse maiuscola mantenga un ruolo primario nel processo generale di perfezionamento umano, dobbiamo necessariamente affrancarla dal rischio di perseguire altri fini, diversi da quelli menzionati. E il pericolo c’è, è molto presente purtroppo, in una società che sembra acriticamente adiacente al neoliberismo imperante, cioè a dinamiche che tendono a concentrare la ricchezza nelle mani di pochi. E non si intravede quella redistribuzione di cui si diceva dovesse essere il punto di riequilibrio, quello che avrebbe dovuto servire cioè a stemperare gli eventuali squilibri generati dal sistema neoliberista che evidentemente già si intuivano. Immettere nella scuola dinamiche estranee al processo di crescita e sviluppo psicofisico e intellettivo del giovane in particolare e della persona in generale, dinamiche come quelle economiche del profitto, con il ricorso a società private scelte, nell'ambito del digitale, nientemeno che tra i GAFAM,i grandi gestori dei dati, non è certo una scelta priva di rischi. Con il recente ricorso massiccio al digitale quindi c’è stata nella scuola italiana quasi una acritica e completa adesione all’uso di piattaforme proprietarie. In seguito a questa acritica adesione, c’è anche il rischio, tra gli altri, di una maggiore manipolazione per fini politici dei dati ricavabili da un eccessivo ed eccessivamente spensierato impiego del digitale. Lasciare libero spazio ed anzi vincolarsi a dinamiche di perseguimento del profitto pecuniario in ambito scolastico, non sembra essere stata la scelta migliore. Né si deve pensare che quelle appena citate, cioè la piattaforme proprietarie, siano le uniche soluzioni possibili, le eccezioni in Italia sono poche, però per fortuna ci sono e poi ci sono anche esempi di possibili soluzioni alternative alle piattaforme proprietarie forniti da altre nazioni che, a differenza di noi, le hanno adoperate più estesamente, dimostrando in questo una maggiore attenzione nei confronti dei propri studenti e cittadini, affrancandoli dal rischio di immettere dinamiche di profitto nelle scuole e dal rischio di furto di dati personali, nazioni che da questo punto di vista si stanno dimostrando civicamente più sviluppate di noi e doverosamente più aderenti al mandato della propria specifica Costituzione di quanto non abbiamo aderito noi alla nostra, nel complesso. L’idea di una piattaforma digitale pubblica per la Scuola deve quindi necessariamente essere presa in considerazione, le competenze per fare questo ci sono, è sufficiente cercarle e tirare fuori le giuste sinergie. Ed è sempre meglio stare affrancati dal rischio di subire condizionamenti che possano ledere lo scopo principale che una scuola pubblica deve perseguire, quello di creare un individuo propriamente detto, cioè libero e capace di sviluppare un pensiero autonomo e indipendente, costruttivamente critico, non condizionato, giacché solo persone di questo tipo, cioè dotate di un pensiero simile, ossia autonomo e non condizionato, possono liberamente attingere alla propria coscienza, ragionare senza altri fini che non siano quelli di apportare un accrescimento personale ed auspicabilmente collettivo nel generale processo di perfezionamento del genere umano di cui abbiamo accennato e di cui tanto abbiamo bisogno per affrontare le sfide del fututo. Se i potenziali condizionamenti, diventano dipendenze, ci si dovrà pur chiedere che senso abbiano avuto le riforme che andavano verso l’autonomia scolastica in un quadro generale che corre repentinamente verso la dipendenza. Come scrissi in un saggio redatto per un corso che ho seguito allo scopo di incrementare le mie competenze di potenziale futuro insegnante di Arte e immagine e Disegno e storia dell’arte, l’autonomia in un contesto di dipendenza è inutile, non serve, ed anzi viaggia ovviamente nella direzione diametralmente opposta. La didattica a distanza si è manifestata fallimentare sotto moltissimi punti di vista Numerosi sono stati gli appelli di medici di varie discipline, i quali hanno riscontrato conseguenze molto gravi sulla salute dei ragazzi di età scolare, determinate in questi giovani dal generale stato di confinamento e nello specifico dall’uso della didattica a distanza appunto a cui la serrata, il confinamento per emergenza da nuovo coronavirus ha costretto la scuola. Dunque la Did a Dista si è mostrata fallimentare e, peraltro, presta il fianco ad un ulteriore tipo di potenziale degenerazione, offrendo a buon mercato dati di insegnanti e alunni che potrebbero essere usati, un giorno, contro gli insegnanti e gli alunni stessi. Dobbiamo acquisire già da adesso, infatti, la consapevolezza di quello che è ritenuto essere, per taluni detentori di potere, un principio cardine nell’approvvigionamento e nella gestione dei dati, quello in base al quale i dati si prendono tutti e poi si stabilisce con calma quali sono quelli che serviranno a raggiungere un determinato scopo in base alle proprie decisioni arbitrarie. In pratica questa didattica fallimentare pone le premesse per un peggioramento qualitativo della vita di chiunque ne usufruisca, insieme ovviamente a tante altre dinamiche di cui non è possibile discutere in questo momento. C’è quindi un problema generale legato al digitale ed alla didattica digitalizzata, non semplice da risolvere. Certo è che per non incorrere in clamorosi errori di valutazione, la gestione delle moderne tecnologie applicate alla scuola dovrebbe essere improntata alla prudenza ed al principio di precauzione, e dovrebbe essere fatta in modo tale da scongiurare al massimo grado possibile l’esfiltrazione dei dati di chi volente o nolente ne fa uso. Come aveva già indicato Antonello Soro, prima dello scadere del suo mandato di Garante dei dati personali, nel corso dell’audizione tentua l'8 luglio sulla didattica a distanza davanti alla Commissione bicamerale per l’Infanzia e l’adolescenza, nella didattica a distanza appunto, sarebbe auspicabile utilizzare più il registro elettronico, già non privo di aspetti critici, che non le piattaforme proprietarie. Sono stati seguiti i suoi suggerimenti? NO. Perché una voce così autorevole e responsabile è stata ignorata? Adesso alla tutela dei dati personali vi è Pasquale Stanzione che ha affermato nella prima intervista rilasciata come il GDPR è da ritenersi garanzia democratica, lasciando intendere che la sua gestione può ritenersi in sintonia con quella del predecessore. A suffragare la tesi di un mandato in sintonia col predecessore, in un convegno di poco successivo il cui nocciolo della questione verteva sull’Habeas mentem, lo stesso Stanzione ha dichiarato esplicitamente di inserirsi nel solco della tradizione del ruolo del Garante dei dati personali, citando quindi le figure di Stefano Rodotà, Francesco Pizzetti, Antonello Soro quali suoi autorevoli predecessori. GDPR è un acronimo che può essere italianizzato con RGPD, cioè Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati. Giova soffermarsi su questo regolamento poiché, a prescindere da quelle che sono opinioni critiche personali sull’uso delle piattaforme proprietarie, nel luglio del 2020 c’è stata una storica sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha cambiato il panorama complessivo, avendo inficiato il protocollo di intesa sul trasferimento dei dati tra Stati Uniti e Europa. Quindi la questione del trattamento dei dati attraverso le piattaforme proprietarie adesso supera le opinioni personali per approdare a questioni precipuamente legali. In pratica la sentenza stabilisce che i dati che passano dagli USA non possono essere salvaguardati alla stessa stregua di quelli che rimangono nell’Unione europea, di quelli cioè salvaguardati da quel Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati di cui abbiamo parlato e che Pasquale Stanzione ha citato come avente il pregio di garantire la Democrazia. A chi sta a cuore la Democrazia, deve stare a cuore anche la protezione dei dati, la riservatezza. Esse sono più correlate di quanto non appaia in un primo momento. In generale sviluppare una cultura della riservatezza significa riconoscere alla riservatezza stessa un ruolo importante nel contribuire a mantenere alta la Democrazia e autonomo un pensiero che può essere potenzialmente capace di apportare un beneficio collettivo, nel generale processo di perfezionamento del genere umano. Altrimenti il rischio è che attraverso il condizionamento derivante da un uso arbitrario dei dati lasciati in rete, il pensiero venga manipolato e intrappolato, gestito dall’esterno con dinamiche psicologiche anche di tipo violento, avendo queste ultime dal punto di vista di chi le vorrebbe esercitare, il pregio, si fa per dire, di non essere facilmente rintracciabili, identificabili ed additabili come dinamiche violente e perciò stesso non solo sono oggettivamente deprecabili da un punto di vista umano, sono direi del tutto illegittime e configurabili come reati da codice di procedura penale, cioè gravi reati. L’Italia potrà conquistarsi un ruolo primario nel generale processo di perfezionamento umano solo se saprà mantenere indenne la scuola dai rischi di un feroce condizionamento, derivante sia dal perseguimento del profitto, che dall’intento di condizionare ora e poi i cittadini nel maggior numero di ambiti possibile, in base ai principi poco edificanti e alle dinamiche perverse del condizionamento di massa e di quello individuale, per il quale i dati lasciati in rete e carpiti spesso surrettiziamente, per non dire in modo espressamente fraudolento, e quasi mai sufficientemente salvaguardati, rappresentano una ghiotta occasione. Dalla didattica ordinaria a quella della Did a Dista abbiamo appurato un peggioramento qualitativo evidente, sotto gli occhi di tutti, è inutile nasconderselo. In ogni caso il salto è eccessivo. Rifacendosi nuovamente alle locuzioni latine si può affermare che natura abhorret saltum o, se preferite, natura non facit saltus. Lo stato di emergenza ha invece determinato un salto, un brusco cambiamento, eccessivo da sopportare e tale da non aver consentito di valutare pienamente le possibili conseguenze di determinate scelte come quelle che hanno fatto protendere per le piattaforme proprietarie anziché verso piattaforme pubbliche o libere. Questo ha determinato il porsi fuori dalle condizioni del GDPR o RGPD, se preferite. Ciò è particolarmente vero dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea dell'ultima estate. Aver ricorso alle piattaforme proprietarie, qualcuno ci fa notare giustamente, è un po’ come aver costruito i tetti con l’eternit quando ciò era legalmente consentito, e adesso, dopo la sentenza, l’eternit è proibito. Cosa fare? Era certamente meglio aver dedicato un maggiore spazio alle critiche costruttive che taluni insegnanti e associazioni, nonché lo stesso garante per il trattamento dei dati personali, avevano mosso a suo tempo. Dal canto suo, la Scuola italiana, per mantenersi utile in quel processo generale di perfezionamento umano che abbiamo spesso citato, alla luce dei cambiamenti indotti dall’emergenza coronvirus, deve innanzitutto cercare di arginare con ogni sforzo possibile la deriva digitale, l’associata esfiltrazione dei dati personali, perseguendo innanzitutto un doveroso rientro nell’ambito della legalità, e cercando di implementare piattaforme digitali pubbliche aderenti al GDPR. Se i problemi nella gestione dei dati personali in ambito digitale probabilmente sussisteranno sempre, nondimeno dovremmo perseguire già da adesso e con autentica dedizione civica, la migliore gestione possibile nella difesa del diritto alla riservatezza e alla salvaguardia dei dati personali, come bene collettivo e condizione indispensabile, conditio sine qua non, per il mantenimento di alti livelli democratici e non di meno per lo sviluppo del mondo futuro nella direzione del generale perfezionamento. Sarebbe quindi estremamente auspicabile che si cominciasse da subito a pensare di rientrare sotto l’egida della salavaguardia del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati che, come dice appunto Pasquale Stanzione, È GARANZIA DEMOCRATICA!!!