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lunedì 22 febbraio 2016

No ai Superministeri!!!

No ad una Europa di Super Strutture e di Super Ministeri lontanissimi dai cittadini.
Quella secondo la quale serve un Super Ministro delle finanze in Europa, è soltanto una opinione, che può essere contraddetta da opinioni di tenore diverso! Non è certo la verità assoluta!
Se si è veramente convinti che serva questo Super Ministero, una volta tanto si ponga la questione di fronte al popolo europeo con un REFERENDUM!
E' da questo che si misurerà la bontà e l' autopersuasione di una simile opinione. Altrimenti vuol dire che siamo all'arbitrio!
Quello che veramente serve all'Europa, è che le sue istituzioni ascoltino di più e meglio i propri cittadini!
Quello che veramente serve in Europa è che si fermi la deriva antidemocratica che vi sta albergando da tempo!

sabato 20 febbraio 2016

Attraverso un codice dato...Un saluto a Umberto Eco

Umberto Eco è stato capace di suggestionarci in vari modi: con i suoi scritti teorici, con i suoi romanzi (e quindi con i suoi personaggi straordinariamente caratterizzati), con i suoi articoli, le sue interviste, ecc.
Riporto qui di sotto alcune riflessioni che mi sono state suggerite dai trattati di semiotica generle. E' questo il mio modo di salutarlo...Non sono riflessioni di un ipotetico studente; presumo che avrei avuto delle difficoltà a mostrargliele qualora fossi stato un suo studente, no, sono riflessioni spontanee, libere, di chi scrive senza tanti freni, di chi segue un'ondata di pensieri, uno stimolo, senza il timore di subire un giudizio, e quindi non sono edulcorate e probabilmente sono piene di errori, di inesattezze, certamente di difetti, risultando in definitiva anche pretenziose. Ma effettivamente sono quelle che mi sono venute del tutto spontaneamente. Quando a Firenze ero insegnante di disengo e pittura ad Art.e, nel tragitto che facevo dal parcheggio vicino alla Facoltà di Architettura verso via delle Conce, spesso ero preso da svariati pensieri, alcuni dei quali derivavano anche da suggestioni fornite dai suoi scritti, da lui, Umberto Eco, e qualche volta, durante quelle riflessioni  mi è persino sembrato di vederlo sfecciare in motoretta da quelle parti. Forse il frutto delle suggestioni... Certo a pensarci bene, lui ha insegnato alla Facoltà di Architettura di Firenze, vuoi vedere che magari...

Riflessioni

"Attraverso un codice dato un significante denota sempre un significato" (Umberto Eco)

Ma a ben guardare risulta vera anche la frase: "anche in assenza di un codice dato un significante denota sempre un significato".
Naturalmente nel secondo caso il significato che il significante denota è il significato di se stesso, un significato, per così dire, tautologico, dove non interviene nessuna convenzione.
Così sembra di poter osservare che la tautologia nei sistemi di 'significazione' assuma un ruolo preminente, di base. Se esiste una gerarchia del 'significato', quindi, la tautologia rappresenta il vertice di questa gerarchia.
In oltre è chiaro che i due significati sono diversi tra loro. Cioè, tra il significato conferito al significante attraverso un codice dato, e il significato di base, tautologico, vi è una differenza, uno scostamento.
Tra l'assenza e la presenza di un codice, si stabilisce una dissonanza, uno scostamento di significato rispetto ad un medesimo significante.
Il codice è una convenzione che si stabilisce tra due o più persone, o anche in seno ad una intera società.
La storia della cultura è anche la storia della produzioni di codici, ma anche quella della messa in questione di questi codici e della fabbricazione spontanea o meno spontanea di codici diversi da quelli dati in partenza.
- La storia della cultura è anche la storia dell'allontanamento del significante dal significato tautologico, derivante dall'intervento di un significato attribuito attraverso un codice convenzionale, che diviene il codice dato.
Ma chi li dà i codici?
Una delle riflessioni che sorgono spontaneamente nell' osservare questi due enunciati deriva  dalla constatazione del fatto che il primo possa essere smentito dal secondo. E questo potrebbe indurre a credere che se è vero il primo non è vero il secondo.
Si parte da due enunciazioni contraddittorie ma a ben guardare la seconda frase non smentisce la prima, nel senso che la veridicità della prima può sussistere indipendentemente dalla veridicità della seconda e viceversa.
Ne deriva che, nel primo caso, nel caso che si adotti un codice convenzionale, cioè a dire nel caso di un significante denotato da un significato derivante da un codice dato ( e quindi convenzionale), di fronte al segno che è il significante, ci troviamo sempre di fronte ad un significato doppio se i due significati non coincidono esattamente, ed è improbabile che i due significati coincidano.
Così si ha che: in base ad un codice dato un significante denota sempre un significato sì, ma a cui si aggiunge automaticamente il significato tautologico che vive indipendentemente da una attribuzione convenzionale.
Così quando attribuisco convenzionalmente un significato ad un significante, determino non uno, bensì due significati per uno stesso significante, e determino conseguentemente anche una tesnione tra i due significati, che possono essere più o meno stridenti, ma anche più o meno rispondenti e quindi più o meno armonici.
Ora, uno degli assunti fondamentali della linguistica di Saussure era l'arbitrarietà, la convenzionalità che sussiste tra significato e significante, per esempio anche tra segno e fonema.
Ma, se risulta vera anche la seconda affermazione, cioè che "anche in assenza di un codice dato un significante denota sempre un significato", ciò potrebbe significare che la tautologia, che afferma in sostanza che una cosa, prima di essere qualcos'altro da sé (attraverso un codice dato) è sempre innanzitutto se stessa, è forse in grado di scardinare questo assunto e di proiettare la linguistica verso altre direzioni o, per lo meno, verso altre investigazioni. Sempre ammesso che queste investigazioni non facciano anch'esse parte della storia.
E' qui che entra in gioco la mia ignoranza...semplicemente non lo so se fanno parte della storia e sono state discusse in passato, forse...

lunedì 15 febbraio 2016

Quale espressione usare?

Che espressione usare? Bail-in o salvataggio interno?
Qualsiasi sia la propensione personale di ognuno nel rispondere a questa domanda su una questione è importante che non ci siano fraintendimenti di sorta: ognuno è libero di usare le espressioni che ritiene opportune, quelle che ritiene di dovere o voler usare. E’ la libertà di espressione! Che diamine!
Se qualcuno vuole usare una espressione cinese deve poterla usare; se invece questo qualcuno vuole usare una espressione inglese deve pure poterla usare; se vuole usare una espressione russa deve poterlo fare; nel caso voglia usare una espressione italiana deve poterla usare ugualmente. La libertà di espressione prima di tutto! Il rispetto della libertà di espressione si colloca a monte.
Ciò premesso che cosa dovrebbe indurre qualcuno a preferire una espressione invece di un’altra?
Molte cose probabilmente e tra queste potremmo annoverarvi, presumo, il livello di comunicabilità del concetto che si vorrebbe esprimere.
E il livello di comunicabilità come dovrebbe essere calcolato? Forse in molti modi e attraverso vari parametri ma penso di non sbagliare di molto se dico che uno di questi parametri probabilmente potrebbe consistere nella comprensibilità del concetto che si desidera esprimere, per raggiungere il maggior numero possibile di persone. Molte cose oggi si basano su questo parametro, anche la politica, fino alle politiche governative: quello che si vuol far comprendere (che sia giusto o sbagliato, che sia vero o falso) implica la scelta di un veicolo, e il veicolo che si usa per farlo comprendere, e il messaggio che si vuol lanciare nella sua stessa strutturazione, si cerca di destinarlo al maggior numero di persone possibile!
Su questo si basa la c.d. anima del commercio, la pubblicità! Voglio vendere qualcosa? Lo faccio sapere al maggior numero di persone possibile! Che poi la politica con questo si avvicini al commercio è un aspetto su cui sarebbe interessante ragionare ma che ci porterebbe troppo lontano dalla questione che vorremmo affrontare qui.
E quindi, un’opera di informazione e di emancipazione funziona meglio quando raggiunge un maggiore o un minor numero di persone? E’ presumibile sospettare, ovviamente, che funzioni meglio quando raggiunge il maggior numero di persone.
Naturalmente può anche darsi che tra intenditori sia più comoda un’espressione più veloce come bail-in, ma sono sinceramente persuaso che l’espressione salvataggio interno (o dall’interno) sia più capace di raggiungere un maggior numero di persone, cioè che un maggior numero di persone sia in grado di comprendere (dico, anche semplicemente comprendere) ciò di cui si sta parlando, perché certi argomenti sono difficili, ostici e, se è vero che un’opera di emancipazione si basa anche sui numeri, sulla quantità (sul numero di cittadini che raggiunge), oltre che sulla qualità forse l'espressione salvataggio interno potrebbe rivelarsi più adatta di bail-in al raggiungimento dello scopo che ci si è prefissati, o forse no, dipende, ci si dovrebbe ragionare. Chi dunque desideri comunicare col popolo italiano avrebbe la possibilità di meditare sulle maggiori opportunità di comprensione date al proprio auditorio dall’adozione di espressioni in lingua italiana. 
Del resto il liberismo selvaggio che, a detta di molti, sembra essere alla scaturigine dei tanti malesseri che stiamo vivendo, salvataggio bancario interno compreso, sembra avere una matrice culturale del tutto simile o comune affine a quella da cui giunge la lingua con la quale si tende in genere a designare ogni espressione legata ai tecnicismi, economici e non. E la cosa potrebbe non essere casuale. Occorrerebbe una indagine scientifica ed accurata per scoprirlo…
Ma se una questione di lessico arriva a manifestarsi nella società probabilmente delle ragioni, forse delle ragioni profonde, qualunque esse siano, vi sono e la cosa perlomeno è significativa da un punto di vista sociologico se non prettamente linguistico.
Inoltre queste ragioni potrebbero essere strettamente in sintonia con quelle che si additano come cause o concause della situazione di disinformazione rispetto alle questioni economiche ed economico-finanziarie legate ai processi di trasformazione attualmente in corso dei quali si dice che siano inintelligibili ai più (Roberto Scarpinato. L’inintelligibilità è dunque funzionale alle dinamiche in atto e l’incomprensibilità dei più alle espressioni tecniche è funzionale all’inintelligibilità. Si avvertono quindi dei legami tra le due cose.
In ogni caso la questione del lessico non può non tenere conto della libertà di espressione, che esiste per entrambi gli schieramenti, sia per chi predilige espressioni italiane sia per chi predilige espressioni non italiane.
Personalmente ribadisco un concetto: sono veramente e sinceramente persuaso che le espressioni non in lingua italiana (prevalgono come sappiamo quelle in lingua inglese) destinate al popolo italiano, deprimano in maniera più che consistente il livello di comprensione delle cose che vorrebbero o dovrebbero spiegare!
E questo, secondo il mio modestissimo parere, non fa bene all’emancipazione del popolo e non fa bene neanche alla nostra cultura!
Per un politico esprimersi al meglio, farsi comprendere, dovrebbe costituire un dovere istituzionale, ma per un divulgatore sia esso scientifico, economico o di qualsiasi altra branca dello scibile, non sussiste questo dovere istituzionale, benché potremmo augurarci che possa stargli a cuore la comunicabilità dei concetti che esprime, anche al costo di abbandonare per qualche istante, temporaneamente magari, un lessico più familiare.
Quanto alla risposta relativa alla domanda iniziale (quale espressione scegliere?), beh, ognuno usi l’espressione che vuole e siccome tra questi vi sono anch’io, che non negherò certo a me stesso il diritto che la Costituzione concede e a me e agli altri e che quindi naturalmente rispetto negli altri, cioè la libertà di espressione, dichiaro di preferire di gran lunga le espressioni salvataggio interno, salvataggio bancario interno o salvataggio bancario dall’interno.
Ora, il concetto di confisca è più offuscato dall’espressione salvataggio interno o dall’espressione bail-in?
Forse sono entrambe espressioni suscettibili di offuscarlo allo stesso modo, quindi, potremmo rispondere: da entrambe!
E qualora scegliessi di usare l’espressione salvataggio interno, e dovessi specificare, che la sto usando per riflessioni e commenti relativi alla sfera economico-finanziaria, contestualmente specificherò anche che essa è una espressione tendenzialmente e leggermente (o massimamente) impropria, che addirittura tende, come ci viene suggerito, ad offuscare una certa realtà, e che essa è presumibilmente usata in luogo di confisca.
Non dovrebbe essere del tutto impossibile né controproducente spendere del tempo per questo.
In conclusione quindi, vorrei semplicemente suggerire di considerare il fatto che può benissimo darsi che spendere tempo per spiegare il significato delle parole, per tradurle, per renderle comprensibili, anche quando sembra che rappresenti una perdita di tempo, in realtà potrebbe rivelarsi non tanto una perdita quanto un guadagno di tempo e probabilmente anche un guadagno di pubblico.
Dunque, che espressione usare?
Quella che uno vuole, dipende dai gusti…e dipende dai fini!