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sabato 29 maggio 2021

Lessico e covid

Possiamo definire il lessico un repertorio di parole e di espressioni cioè l'insieme degli elementi che in un sistema linguistico danno forma a diversi significati quali nozioni, concetti e azioni, anche indipendentemente dal fatto di essere raccolto e ordinato.

Se dunque il lessico è l’insieme delle parole e delle locuzioni che vengono usate in una determinata lingua, il lessico del covid, nello specifico, è l’insieme delle parole e delle locuzioni che vengono usate oggi dai mezzi di informazione nell’ambito della comunicazione inerente questo virus, il famigerato nuovo coronavirus, e della malattia che potenzialmente ne potrebbe derivare.

Già la parola covid infatti si presenta in modo ambiguo ed occorre esordire con questa prima precisazione.
Essa, ci insegna il presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini, può essere declinata al maschile o al femminile e quando è declinata al maschile si riferisce al virus, quando è declinata al femminile si riferisce alla malattia che da questo virus potrebbe derivare.

Osservando l'espressione lessico del covid, notiamo la preposizione articolata del, e quindi una declinazione maschile, il che ci fa pensare quindi innanzitutto al virus e questo non per una scelta di genere interessata, essendo chi scrive un uomo, bensì perché nell'ordine logico delle cose prima viene il virus e poi l'eventuale malattia. Ciò detto, proseguiamo nel discorso.

Nel modo di veicolare l’informazione inerente al nuovo coronavirus non si ha l’impressione che il sistema sia raccolto e ordinato. È comunque lessico quindi, pur non essendo ordinato, però si può ben ipotizzare che un maggiore ordine possa costituire la premessa utile, per non dire  indispensabile, a parlarne meglio, cioè in modo che la comunicazione sia essa stessa migliore e maggiormente funzionale alla comprensione di un fenomeno che ha interessato e sta interessando ognuno di noi. E di fare ordine pare che ce ne sia un gran bisogno.

Anche il linguaggio deve essere scientifico quando deve parlare di scienza o quando dice di far parlare la scienza, altrimenti sarebbe opportuno, nonché onesto, precisare che non c'è l'intenzione di dare voce alla scienza. Se desidero fare poesia posso anche optare per un linguaggio evanescente e indeterminato, nebuloso ed allusivo, posto che desideri appigliarmi al principio dell’indeterminatezza come lo si apprende da Leopardi, per esempio.
Se invece l’intento è quello di fornire una informazione scientificamente esatta, anche il linguaggio deve essere appunto scientificamente esatto o rischia di fare la sua comparsa quell’indeterminatezza dei significati che, se può avere un ruolo nel linguaggio poetico, non dovrebbe averne quando si tratta di far comprendere a un popolo il fenomeno, sia esso pandemico o no, che sta vivendo in questo momento. Perché anche sul fatto che sia pandemico stanno emergendo dubbi.

Per tornare al lessico del covid, che cosa significa per esempio, nuovi casi? Dubito che ci si sia mai soffermati ad analizzare adeguatamente il significato di questa espressione, nuovi casi, invero così poco scientifica. Novi casi di cosa? Scusate il gioco di parole.

Semplice, risponderebbe il saccentone di turno, significa nuovi casi di covid!!!
Eppure, come abbiamo detto, anche il solo uso della parola covid non è scevro dal rischio di fraintendimenti, se è vero che essa può essere declinata al maschile, nel qual caso indica il nuovo coronavirus, oppure al femminile, nel qual caso indica la malattia che il nuovo coronavirus potenzialmente può far scaturire in colui che ne è entrato in contatto.

Diamo quindi per acquisito, da qui in poi, nella lettura dell'articolo, che abbiamo il covid e la covid e che non sono la stessa cosa. Banalizzare la differenza significa abdicare all’idea di avere un linguaggio scientifico inerente al fenomeno del coronavirus, cioè ad un fenomeno in cui la scienza è evidentemente coinvolta. E chi abdica all’idea di avere un linguaggio scientificamente accurato ed esatto per descrivere questo fenomeno, non aiuta ad interpretarlo, comprenderlo e neanche risolverlo, perché per strano che possa sembrare un linguaggio appropriato aiuterebbe in modo significativo a risolvere il problema e, dobbiamo purtroppo constatare, che di questo linguaggio ad oggi non c’è traccia.

Forse non è così semplice da comprendere, però, molto del problema virale in corso è stato ed è un problema della comunicazione.

Nuovi casi? Non è sufficiente rispondere che si tratti di nuovi casi di covid. La preposizione semplice di non è in grado da sola di declinare il sostantivo covid al femminile o al maschile, quindi io non so, in vero, se stai parlando del virus o della malattia che da esso può scaturire e non è un fraintendimento da poco.

Nuovi casi di cosa, quindi?

Nuovi casi di positività al nuovo coronavirus.

È questa la risposta giusta alla domanda, a mio giudizio o, se non altro, è la risposta che si presta meno ai fraintendimenti. Mentre non precisare questo, gioca sull’indeterminatezza appunto che, quando è leopardiana e afferisce all'ambito della poesia è anche la benvenuta, quando invece non ha niente a che vedere con questa arte ed anzi pretende di afferire all’ambito scientifico, serve a dire tutto e a non dire niente e quindi non è utile a farti comprendere il fenomeno che è intorno a te e che ti riguarda così da vicino.

Questa indeterminatezza è utile solo a creare confusione nella percezione generale che hanno le persone del fenomeno virale in corso, gente che, anche a causa di questa, non riesce a leggere l'epidemia nel giusto modo. Peraltro l'indeterminatezza del linguaggio si riverbera negativamente, quasi per trasmissione, anche ad altri vocaboli o espressioni di quello che abbiamo chiamato lessico del covid, così essa contribuisce anche a non fare chiarezza tra positivo con sintomi e quindi malato, e positivo senza sintomi e quindi non malato. Ricordiamo infatti che positivo non vuol dire malato.

Chi intendesse l'espressione nuovi casi semplicemente come nuovi casi di covid, senza ulteriori distinzioni inerenti la natura maschile o femminile con la quale si volesse declinare la parola covid, automaticamente induce il destinatario del messaggio, il telespettatore, a considerarli tutti malati, cosa che non è realistica.

Sono 16.346 i nuovi casi di covid appurati oggi in Italia.

Dicendo dei numeri a caso, assimilabili però a quelli di qualche settimana fa, ecco un esempio di informazione tipo, cioè fruibile da un qualsiasi telegiornale italiano. Anche qui, l'espressione nuovi casi è suscettibile di generare solo confusione, induce il telespettatore o il lettore a supporre che vi siano 16346 nuovi contagiati, e abbiamo cercato di dimostrare che non è così. 16346 sarebbero i nuovi positivi e, tuttavia, giacché positivo non vuol dire malato, non vuol dire neanche contagiato, giacché il contagio presuppone necessariamente la malattia. L’espressione nuovi casi, non si presta a fare chiarezza neanche su questo punto, quanto piuttosto a fare confusione, a confondere.

Vocaboli evanescenti come questo, casi, hanno fatto la propria comparsa anche nei DPCM, cioè negli atti amministrativi del Governo, quindi nel lessico inerente le comunicazioni governative ufficiali. Dal 15 marzo al 6 aprile al superamento di 250 casi ogni 100 mila abitanti in base ad un DPCM appunto, è scattata automaticamente la zona rossa cioè a dire severe restrizioni che comportano una contrazione dei diritti costituzionali di ogni individuo della zona considerata, con ripercussioni negative ad ogni livello, Scuola compresa. Questo per dei generici casi appurati, peraltro, con il sistema PCR che non è validato scientificamente.

Questa espressione, sembra rappresentare quindi un vizio di fondo che si riverbera a discesa in modo negativo su tutta la comunicazione. Se, parafrasando Leibniz, dai pochi pensieri scaturiscono in ordine altri infiniti pensieri, allo stesso modo in cui da pochi numeri si possono derivare in ordine tutti gli altri numeri, possiamo arguire come anche dai pochi, ancorché significativi errori, di concetto o di comunicazione, possono scaturire in ordine infiniti altri errori. È proprio la caratteristica di quello che si può definire vizio di fondo.

Confusione sussiste anche, accennavamo, sull'uso del vocabolo positivo. Considerando i numerosi casi di falsi positivi determinati da esami molecolari non scientificamente validati, come dicevamo, e peraltro con eccessivi cicli di amplificazione, dovremmo aggiungere che, non solo il vocabolo positivo non vuol dire malato, molto probabilmente vuol proprio dire falso positivo, cioè qualcuno che il virus, per fortuna, per il momento non l’ha proprio neanche sfiorato. A nessuno è sfiorata invece l’idea che un positivo senza sintomi possa semplicemente essere un falso positivo?

Del resto sul fatto che il sistema PCR non sia attendibile anche dei tribunali ce lo stanno a confermare. Soprattutto chi dice che non c’è spazio per superficialità e posizioni ideologiche dovrebbe innanzitutto capire che la primissima cosa da fare senza por tempo in mezzo, se vuoi veramente vincere una pandemia, è avere sistemi e criteri diagnostici efficaci e ben calibrati al di sopra di qualsiasi sospetto e di qualsiasi critica, e che occorre quindi intanto diminuire i cicli di amplificazione della PCR. Poi parliamo del resto. Anche nell'uso acritico della PCR si annida quindi un vizio di fondo.

Crescono i contagi o cresce il numero dei contagi.

Ecco altre espressioni molto coccolate dal sistema mediatico con le quali ognuno di noi si è dovuto confrontare. Peccato che non siano necessariamente dei contagi. Se infatti il contagio, ci viene insegnato, presuppone necessariamente la malattia e positivo non vuol dire malato, stante anche l’alta percentuale dei falsi positivi, dinanzi alla notizia che cresce il numero dei positivi al nuovo coronavirus, che si tratti di contagiati, cioè di malati conclamati, è tutto da dimostrare. Eppure se ne accenni sei subito definito antiscientifico.
Guai a mettere in dubbio l’attendibilità di queste notizie, vieni subito incasellato tra i negazionisti, espressione la cui fioritura e il cui abbondante uso non sembra casuale, tanto essa è funzionale a stroncare ogni dibattito.

È difficile che la comunicazione ufficiale corrente si sia discostata molto da questo tipo di comunicazione, da questo tipo di lessico e, spiace dirlo, però è rimasta sempre molto superficiale.

In sintesi, se caso vuol dire semplicemente e genericamente positivo, e positivo non vuol dire malato, caso non vuol dire necessariamente malato né quindi contagiato.

Per quel che riguarda la nozione di malato poi, non possiamo non accennare al fatto che essa non è così semplice e banale da capire, così come non è semplice stabilire la causa di una malattia quindi anche di quella declinata come la covid.

Le cause di malattia possono essere suddivise in determinanti e coadiuvanti, necessarie e favorenti, dirette e indirette, sufficienti e insufficienti. Per esempio il Mycobacterium tuberculosis è causa necessaria e tuttavia non sufficiente della tubercolosi.
Nel lessico usato dai mezzi di informazione di massa per quanto riguarda il famigerato nuovo coronavirus, che cosa di queste nozioni, di questa suddivisione e catalogazione è stato tenuto presente? Sembrerebbe niente.

Se il lessico che usi è estremamente indeterminato nonché ambiguo, talché si stabilisce quasi automaticamente una equazione, quella in base alla quale nuovo caso significherebbe nuovo malato, di tutto il ragionamento che la letteratura scientifica propone a proposito di cause di malattia non si è tenuto proprio conto, evidentemente.

L'informazione ufficiale corrente ha preferito abdicare ad una comunicazione scientifica, cestinando concetti che sono alla base stessa della medicina e favorendo la diffusione di messaggi ambigui suscettibili di creare nella popolazione allarme sociale. I bollettini, tutti dello stesso stampo, sono sempre sembrati bollettini di guerra, con poco o niente di scientifico e senza le opportune distinzioni.
Del resto anche il Dottor Pier Gildo Bianchi, a proposito di comunicazione medica anche quando è mediatica, ammoniva che

“un’adeguata informazione si impone come dovere civico”.


È giusto o non è giusto chiedersi a questo punto se l’informazione abbia adempiuto a questo dovere civico e se il lessico utilizzato abbia aiutato ad adempiere nel migliore dei modi a questo compito?

Anche chi dovesse non concordare con il contenuto di questo articolo, potrebbe nondimeno trovare che la ricerca di un linguaggio scientificamente corretto potrebbe essere utile in questi frangenti e quindi è invitato a proporre le sue critiche, i suoi suggerimenti di modifica dei vocaboli, del lessico insomma, di proporre scelte linguistiche che meglio possano contribuire ad una informazione corretta e scientificamente accurata, appropriata alla situazione, con significati univoci, non fraintendibili.

Solo con un lessico appropriato l'informazione potrà contribuire alla soluzione di un problema come quello che da oltre un anno ci sta affliggendo.