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martedì 14 gennaio 2014

Banche, territorio, mercato

Le banche sono istituti il cui ruolo tradizionale è sempre stato quello di finanziare progetti ex novo, aziende,ditte varie, ecc. legati evidentemente all'economia reale e primariamente al territorio.
Nessuno mette in dubbio naturalmente che questo ruolo rivesta una grande e strategica importanza e che le banche siano per questo importantissime e per certi versi insostituibili.
Se dunque l'importanza delle banche è storicamente collegata allo sviluppo del territorio di appartenenza e del suo tessuto sociale, e questo ha funzionato per secoli, perdere questo legame potrebbe costituire un gravissimo errore ed aprire molte incognite. Inseguire lauti guadagni rischiando operazioni finanziarie dal dubbio esito si è dimostrato invece spesso un errore, quello sì, con conseguenze economiche disastrose. Ricordiamoci che sul banco degli imputati dell'attuale crisi economico-finanziaria vi è, a detta di molti economisti, la finanza speculativa e non quella che finanzia progetti reali.
Quando si snatura l'essenza di una banca andando contro la sua stessa storia, la sua stessa tradizione, i rischi divengono potenzialmente notevoli.
Ma se ricapitalizzazione di una banca significa strappare la sovranità e il legame col territorio, garanti del benessere dei cittadini del territorio stesso, dovremmo chiederci se sia veramente opportuno ricapitalizzare. Non credo sussistano obblighi di sorta!
Anche qui dabbiamo renderci conto che spesso ricapitalizzare coincide con svendere le proprie prerogative, la propria identità, la propria storia e la sovranità, cose che creano forti legami col territorio, e finire nelle mani di chi potrebbe non amare altrettanto il territorio in cui magari una banca è nata, è cresciuta e ha vissuto per secoli. Se la ricapitalizzazione avviene in modo da garantire il mantenimento di una certa tradizione e non strappa la sovranità al territorio può essere una cosa ragionevole. Viceversa se significa smembrare, smantellare, prendere e portare a casa a chi giova tutto questo? Il territorio se ne avvantaggia? Attenzione alle operazioni autolesionistiche e ai 'consigli senza coda', quelli dati a beneficio del consigliere e non del consigliato! Oltretutto ci sono questioni circa certe ricapitalizzazioni che andrebbero inquadrate nell'insieme. Se per esempio non fossero stati gettati via ( o forse è meglio dire regalati?) miliardi di euro in operazioni senza capo ne coda l'esigenza di ricapitalizzare certi istituti non sussisterebbe!

In generale poi si avverte l'esigenza di approfondire certe tematiche legate non solo alle banche ma anche al mercato. Qualcuno, esperto del settore, dovrebbe probabilmente cominciare a sollevare certe questioni e a studiare approfonditamente se per caso le regole del cosiddetto 'libero mercato' non siano da rivedere e correggere nell'interesse di tutti. Sembrano talvolta piuttosto anti-democratiche che democratiche. E' un argomento molto serio che non è possibile risolvere in poche battute naturalmente.
Ma sembra davvero necessario porre questa questione e arrivare ad una conclusione scientificamente incontrovertibile sulla stessa.
Mi permetto solo alcune osservazioni per venire incontro a quanti richiedono partecipazione, concorso di idee e stimoli del pensiero.
Si dice spesso libero mercato, marcando spesso l'accento su questa parola: libero.
E questo farebbe immediatamente pensare che questo mercato viva di una assoluta libertà e che sia una garanzia assoluta di libertà, garantendo cioè una delle più grandi conquiste del genere umano. Ma è davvero così?
Questa domanda è pertinente poiché se per libertà si intende la libertà di tutti, cioè una libertà democraticamente estesa a tutti i cittadini, nessuno escluso, allora dovremmo cominciare a chiederci se il mercato questo  è davvero in grado di garantirlo oppure no. O, per meglio dire, se questo assetto attuale con le regole attualmente vigenti, sia in grado di garantirlo oppure no.
Sembra infatti che il mercato sia piuttosto incline a garantire la libertà dei più forti e dei più ricchi, ma assai meno incline a garantire la libertà dei più deboli e dei meno abbienti e questo a lungo andare determina degli squilibri che alla fine danneggiano tutti anche i più forti e i più ricchi.
Ciascuno la pensi come vuole ma seri interrogativi dovrebbero porsi su questo assetto mercato-centrico, dove non è tanto il mercato in sé e per sé, per la verità, ad essere sotto accusa ma le regole ad esso soggiacenti  e, semmai, una certa strumentalizzazione politica che se ne fa.
La domanda se questo assetto risponda a esigenze di garanzia democratica si sta diffondendo in strati assai ampi della società dai più ai meno colti, e questo non dovrebbe essere né ignorato né preso alla leggera, anche perché bisognerà riconoscere con onestà intellettuale, che queste osservazioni si basano sull'esperienza diretta, sulla vita vissuta e sull'osservazione del fatto che dopo tanto libero mercato l'Italia si sta oggi sempre più deindustrializzando e impoverendo e difficoltà sociali stanno emergendo in strati via via più ampi della popolazione e la politica non sembra avere gli strumenti per fronteggiare tutto questo.
Le banche svolgono una funzione sociale molto importante vorremmo soltanto che fossero più resistenti a certi condizionamenti che vengono dall'esterno e che invitano a speculare e più sensibili a certe richieste dell'imprenditoria e della società civile in generale soprattutto quando appartiene al territorio. E in Italia ci sono territori magnifici da tutelare.
Esse non dovrebbero fare politica, non dovrebbero speculare sui titoli di stato ma aiutare l'impresa e il territorio a crescere e svilupparsi in aderenza con l'invito costituzionale dell'art. 41.