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giovedì 14 settembre 2017

Mimesis nella choréia e nel mondo preistrico, conclusioni

Riassumendo e concludendo

Cerchiamo di richiamare e riassumere ciò che abbiamo scritto fino ad ora:

a) il concetto di mimesis si applicava inizialmente alla choréia testimone di un’eredità culturale fondata sul piano acustico che affondava nel lontano passato;
b) il gruppo delle arti costruttive rimane distinto dalla choréia e distante dal concetto di mimesis;
c) qualcosa cambia e il concetto di mimesis comincia ad applicarsi al gruppo delle arti costruttive.

Con questo cambiamento la parola mimesis andò a significare la rappresentazione della realtà attraverso l’arte, in particolare attraverso la scultura, la pittura e il dramma. Quest’ultimo eredita anche la funzione della khatarsis.
Quindi l’antico snodo culturale c’è e, se mi si passa l’espressione, ‘si vede’!
E’ il passaggio del concetto di mimesis - riassumiamo e puntualizziamo - che, applicato inizialmente alla choréia, finisce poi per andare ad applicarsi alla scultura, alla pittura e al dramma.
Con esso l’accento passa dal piano acustico a quello visivo, per quanto il dramma conservasse forme espressive acustiche. Pur cambiando l’accento niente si interrompe definitivamente. Del resto il piano sensoriale costituito dai cinque sensi permane intatto ed è equivalente quanto a funzioni nella preistoria e nella storia, in qualsiasi epoca. Ciò nondimeno il cambio di accento è significativo poiché indica che cambia una preminenza di un senso sull’altro. Questo può influire considerevolmente sulla capacità di lettura dell’uomo della realtà che nell’epoca dell’accento sul piano visivo è più soggetto alle apparenze esteriori di un fenomeno e quindi anche più soggetto ad ingannarsi e ad essere ingannato. Una certa sensibilità si era forse attenuata con questo passaggio di accento, con i relativi rischi annessi e connessi.
Era esistita un tempo una sensibilità diversa che guardava più all’essenza delle cose e meno all’apparenza esteriore.
Il modo di sentire dell’uomo primitivo per esempio aveva un legame con la verità molto forte e il suo mondo organizzato (per quanto minimamente organizzato) aveva un livello di manipolazione diretta della realtà ugualmente forte, potremmo dire un livello di analogia (proporzione) tra azione e reazione primario. Egli aveva, per strano che possa sembrare, perfino una sorta di metodologia implicitamente positivista, per quel che concerne lo strutturalismo ante litteram implicito di cui abbiamo accennato. Questa era fondata su concezioni cosmogoniche ancora nebulose forse, poiché in via di formazione e definizione ma che influenzavano tutto e al contempo erano influenzate da queste stesse metodologie. In ogni caso questo 'sentire' e queste abilità, queste capacità di concentrazione e di lettura della realtà, essendo appartenuto all'uomo, quantunque in un lontano passato, è tuttavia possibile riviverle almeno potenzialmente e a certe condizioni anche oggi.
Si tratta sostanzialmente di capacità messe in cantina o, come si suole dire, nel dimenticatoio ma che l'uomo, per sua natura e per sua struttura, può forse ancora riscoprire e rivivere essendogli queste così strettamente connaturate e a livelli profondissimi peraltro. Ma come fare?
A scanso d’equivoci non stiamo qui chiedendo di armarsi di lancia e propulsore e di mettersi a correre seminudi in un bosco accompagnando il tutto dall’emissione di suoni striduli o gutturali tanto misteriosi quanto incomprensibili, a caccia magari di un qualche animale interessato dal ridimensionamento della caccia di selezione. Non fatelo, potrebbe essere pericoloso!
Stiamo semplicemente dicendo che l’uomo pur nel modernissimo contesto in cui vive, può probabilmente riscoprire sensazioni e facoltà, ad esse legate, che sono appartenute ad un lontano passato ma che, nonostante questo, non sono né inutili, né inappropriate, né, tantomeno, frutto di una cultura inferiore, quanto piuttosto di una cultura diversa.
Il contesto sociale attuale, è inutile dirlo, è molto diverso da quello paleolitico, mesolitico o neolitico, molto più sviluppato in senso materiale. Le foreste di oggi sono di cemento, di vetro e metallo, benché fortunatamente se ne conservino di natura vegetale. E’ un contesto nel quale la tecnologia (anche e soprattutto quella digitale) diminuisce sempre più il livello di analogia tra azione e reazione, tra causa ed effetto, aumentando considerevolmente il numero delle mediazioni che intercorrono dall’avvio di un processo alla sua finalizzazione. Oggi premiamo un bottone, il bottone fa chiudere un circuito, questa chiusura fa passare corrente che una centrale produce e conserva, corrente che può così giungere ad una lampadina, un filamento diviene incandescente ed abbiamo la luce (sì sì, lo so, esistono anche le lampadine che non sono a incandescenza!); ne premiamo un altro ed abbiamo il fuoco in cucina, sempre più spesso peraltro sostituito da onde elettromagnetiche come nelle cucine ad induzione.
Prima invece, avere il fuoco era un lusso. Per gran parte della preistoria l’uomo neanche sapeva come fare ad accenderlo e finché non seppe crearlo da solo egli dovette rubarlo alla natura, strapparlo a chi lo possedeva già con sotterfugi o ingaggiando guerre coi gruppi rivali per impossessarsene e mantenerne il possesso. Una volta ottenuto, il fuoco doveva essere gelosamente custodito come una cosa sacra, protetto da pioggia e da vento e dai nemici. Guadare un fiume, una caduta accidentale, una pioggia improvvisa, l’attacco di un gruppo nemico, potevano estinguere la fiamma vitale. Sarebbe stato un danno da gettare nella disperazione, un ritorno al freddo e all’oscurità. Era una lotta incessante per non perdere calore, luce, cibi cotti e difese contro gli animali. Il senso sacro che la custodia del fuoco sviluppava nella cultura primitiva è anch’esso sopravvissuto a lungo e si è protratto oltre, nello stesso ambito greco, in cui si può notare un sintomatico parallelismo con la custodia esercitata primordialmente. Nei processi di colonizzazione per esempio, a seguito della scoperta di lidi promettenti, a seguito di pre-colonizzazione, si procedeva ad una vera e propria spedizione guidata da un ecista che era anche il custode del fuoco sacro che dalla madrepatria doveva giungere alla colonia intatto, con tutte le simbologie annesse e connesse che possiamo scorgervi.
Prima quindi l’uomo lo conobbe e lo temette, il fuoco, poi cominciò ad usarlo, infine imparò a crearlo. Una conquista considerevole.
Ruotare velocemente sul proprio asse un bacchetto nell’incavo di un altro legno asciutto, soffiare sull’erba secca alla comparsa del fumo, nutrire la piccola fiamma con ramoscelli, infine con rami sempre più grandi, ed ecco il fuoco.
Chi di noi lo saprebbe fare oggi? No, non ce n’è bisogno, è vero. Ma quello era il livello di analogia con la natura, quello era il livello di saggezza pratica di cui c’era bisogno per riscaldarsi, per illuminare la notte, per nutrirsi di cibi più digeribili e sani e proteggersi da nemici e bestie feroci. L’uomo preistorico doveva conoscere bene ogni passaggio legato alla produzione del fuoco e a tutto il resto e quindi in un certo senso era ciò che sapeva. Sapere ed essere viaggiavano in lui di pari passo. Oggi non è più così. Oggi basta un pulsante. Quel che succede tra quel gesto e l’effetto che ne scaturisce possiamo fare a meno di conoscerlo e il processo avviene ugualmente, la cosa non inficerebbe il risultato. Nel paleolitico lo avrebbe inficiato. Nessuno di noi tornerebbe indietro chiaramente. Ma la linea parallela di sviluppo tra essere e sapere si è persa. Inoltre le sensazioni e le emozioni connesse con quelle operazioni erano forti, autentiche, vorrei dire, in certo qual modo, appaganti. Oggi per avere emozioni paragonabili molti ricorrono purtroppo a sostanze stupefacenti sintetiche pericolosissime per la salute. Anche nel lontano passato vi si è fatto ricorso, ma erano naturali. Molti riti magico-religiosi ne richiedevano l’uso. Gli sciamani stessi le usavano, ma a scopo rituale, non per evasione come oggi fa chi sente di essere a corto di emozioni. E la perdita di corrispondenza tra essere e sapere porta anche a questo. Oggi molte cose sono semplificate e le emozioni corrispondenti alle operazioni necessarie ad espletarle, sono scomparse contestualmente alla sopraggiunta semplificazione.
Stiamo quindi altresì dicendo che le condizioni dell’attuale società potrebbero dimostrarsi ostiche a far rinascere l’antica sensibilità. Che tipo di lavoro potrebbe essere necessario per riesumarle? Difficile a dirsi! Forse di un certo tipo di lavoro, in un certo ambiente o forse potrebbe essere necessario ricorrere a qualche trucco, a qualche espediente particolare e artificioso. Chissà se la realtà virtuale potrebbe aiutare a questo scopo?! Forse potrebbe bastare un certo esercizio fisico e mentale, da unire con quello emozionale, con un addestramento specifico o semplicemente, nei casi più fortunati potrebbero essere facoltà ottenute per grazia ricevuta.
Molte cose sono però necessarie per avviare un percorso di ripristino:

1) rendersi conto che qualcosa si è perso;
2) rendersi conte che quel che si è perso è qualcosa di importante;
3) decidere di ripristinare quelle facoltà perdute.
 
L'essere umano di oggi a ben riflettere non è poi così diverso da quello di una o due, ma anche di svariate decine di migliaia di anni fa, e questo sotto vari profili: nel suo aspetto esteriore, nella sua struttura corporea generale, nella sua natura essenziale, anche in quella interiore e nelle sue esigenze primarie e secondarie che sono sostanzialmente le stesse di un tempo.
Quel che egli ha perso potrebbe incidere in modo determinante sulla sua capacità di comprensione di ciò che sta avvenendo attualmente a vari livelli, anche a livello sociale e politico. Potrebbe valerne la pena di riesumare qualcuna di quelle facoltà. Forse è possibile farlo semplicemente leggendo, forse leggendo e scrivendo insieme, forse con altri sistemi ed esercizi, chissà?!
Forse niente di tutto ciò è necessario ed è sufficiente informarsi sulle questioni specifiche (ed informare), emanciparsi (ed emancipare), stare semplicemente attenti, invitare se stessi e gli altri a stare desti con l’attenzione. In effetti, e in ogni caso un conto è lavorare ad un livello individuale un altro invece è favorire una emancipazione collettiva che possa costituire la base per una rivoluzione culturale che riesca a dare gli strumenti utili a sfuggire dalle facili semplificazioni e schematizzazioni, dal pensiero unico dominante, da quello precostituito o preconfezionato per le masse, per sfuggire ai moderni dogmi e alle moderne superstizioni.
Il come fare, è difficile naturalmente a dirsi. Qui stiamo tentando dei generici suggerimenti. Ma una cosa è certa: molte sono le forze che concorrono a mantenere l’uomo nell’ignoranza, disinformato, distratto, confuso, incapace di reagire. La notizia che certe trasmissioni vengano bloccate nonostante il relativo successo, dimostra che le forze contrarie all’emancipazione ci sono e si fanno sentire. Per queste forze, ancora nel terzo millennio d.C. è ancora alto il timore delle opinioni altrui. Il mimetismo, il camaleontismo, le anfibologie della politica, concorrono volenti o nolenti, consapevolmente o no, a mantenere l’uomo in uno stato di addormentamento. Consapevolmente o no, dicevamo ma, per chi subisce le conseguenze della disinformazione, i portatori consapevoli di disinformazione o di distrazione di massa sono tanto pericolosi quanto i portatori sani di disinformazione e distrazione di massa (e non ci stiamo riferendo alle trasmissioni di intrattenimento che devono poter sussistere benché insieme alle altre) esattamente così come solo qualche decennio fa (nota bene, decennio, non millennio in questo caso!), per gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali ed altre categorie ancora di persone, di esseri umani, i portatori consapevoli di campi di sterminio furono deleteri tanto quanto i portatori sani di campi di sterminio.
Per questo diciamo che, facoltà primitive o non facoltà primitive, capacità primigenie o non primigenie, robusti sensi o non robusti sensi, è necessario aumentare di molto i livelli di attenzione alle dinamiche politiche di oggi ed è cosa da fare subito; è necessario cominciare o ricominciare a leggere e rileggere non tanto il passato, cosa che non guasta mai naturlmente, ma il presente. Forse è necessario ricominciare ad ascoltarlo questo presente, con o senza l’orecchio di un tempo.


Bibliografia essenziale

La Sacra Bibbia: Genesi (1,1), Isaia (55,11), Vangelo secondo Giovanni (1,1);
Marius Schneider, “Gli animali simbolici”, “Il significato della musica”, Rusconi;
Wladislaw Tatarkyewicz, “Storia dell’estetica, l’estetica antica”, Einaudi;
René Guénon, “Simboli della scienza sacra”, Adelphi;
P.D. Ouspensky, “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”, Astrolabio;
Giovanni Reale, “Introduzione, traduzione e commentario della Metafisica di Aristotele”, Il pensiero occidentale, Bompiani;
Umberto Eco, “La struttura assente”, Bompiani;
Appunti e reminiscenze dal corso di ” Storia della musica” tenuto dal prof. Beni, all’Accademia di Belle Arti di Firenze;
Appunti e reminiscenze dal corso di “Teoria e metodo dei mezzi di informazione di massa” tenuto dal prof. Adriano Sofri, all’Accademia di Belle Arti di Firenze;
J.J. Annaud, dal film “La guerra del fuoco”.