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lunedì 11 settembre 2017

Mimesis nella choréia e nel mondo preistorico 2



Mimesis nel mondo preistorico




Preistorico significa prima della storia e la storia comincia con la comparsa della scrittura la quale forniva documentazione di nomi, eventi, contratti, racconti, che rappresentano una testimonianza appunto storica e culturale. L’umanità compie un balzo col linguaggio parlato e un altro con quello scritto. Ecco, è da questo momento, dal linguaggio scritto che si può parlare di storia.
Avendo chiarito nella pubblicazione precedente il concetto di mimesis nella sua forma originaria e più antica, possiamo cercare di capire se esso si possa applicare ad alcuni aspetti culturali delle forme di aggregazione umana preistoriche, cioè antecedenti alla comparsa della parola scritta.
Chiediamoci innanzitutto cosa occorra per una corretta imitazione e dove essa possa trovare un suo spazio e un suo senso nel mondo dell’uomo preistorico.
In generale, per una corretta imitazione, per ottenere una corretta mimesis, è innanzitutto necessario conoscere bene ciò che si imita, è necessario conoscere i sentimenti, averli vissuti, conoscere i segreti di una data cosa; e quando si tratta di imitare un fenomeno, una cosa, un animale, una persona diviene importante conoscere quello che può essere definito il suo ritmo interiore, una sorta di interiore segreto di quella determinata cosa o animale o persona.
Sono questi i periodi nei quali il concetto di ritmo interiore ancorché non esplicitato da concetti e teorie (troppo lontane dalle possibilità dell’uomo preistorico), rivestiva una importanza decisiva. Esso infatti era strettamente connesso alla caccia, ed il successo di questa alla stessa vita in quanto fonte di cibo e sopravvivenza. Era connesso alla caccia perché serviva al cacciatore per svolgere il suo compito, cacciare. Ed ecco quindi che attraverso il filo conduttore dalla mimesis dell’imitazione e del ritmo interiore (oggetto dell’imitazione) siamo stati attratti verso questi lontani lidi.
Nel paleolitico la raccolta, la pesca e la caccia erano fondamentali per la sopravvivenza, non potendo contare ancora sulla coltivazione e la pastorizia. Dire quindi che l’imitazione trovava il suo posto nella caccia significa dire che rivestiva un’importanza assoluta.
Ma com’è, più nello specifico, che il concetto di ritmo interiore si connette alla caccia?
Per comprendere questo dobbiamo innanzitutto smettere di pensare agli antichi cacciatori del paleolitico come a degli esseri incapaci di sviluppare un qualsiasi pensiero o una cultura relativamente elaborata. Certo non erano maestri di bon ton e non avevano sviluppato un galateo degno di questo nome cui attenersi, non si cambiavano spesso d’abito e non usavano deodoranti, ma erano capaci di sentimenti, di amare, di condividere, di pensare alla vita e alla morte, in pratica di un pensiero magico-religioso che si esprimeva anche con segni propiziatori e quindi di una cultura relativamente elaborata. Vi era insomma una certa cultura, rudimentale ma robusta, ed anche articolata, in cui il legame con l’ambiente era totale e in cui il cacciatore che in quell’ambiente doveva muoversi aveva un ruolo sociale importante.
Il grande cacciatore infatti era colui che, capace di dominare la preda quasi magicamente, di incantarla se vogliamo, in virtù di capacità imitative finissime, forniva il nutrimento per la sussistenza. E per imitare la propria preda è sempre necessario, come dicevamo, conoscerla, conoscerne il ritmo interiore, il ritmo caratteristico, distintivo e univoco che essa possiede, quel ritmo che è presente nella sua più intima essenza, il ritmo sonoro.
A questo punto il lettore si chiederà cosa c’entri il suono con la caccia e gli animali se non, per esempio, come mero riconoscimento della preda e del suo verso caratteristico. Si chiederà che cosa sia il ritmo sonoro di un animale.
E certamente questo non sarà facile da spiegare. Ciò nondimeno ci proveremo poiché rappresenta un punto decisivo ai fini di una effettiva e completa comprensione del nostro discorso generale.
Per farlo dobbiamo rivolgerci a studiosi come Marius Schneider, musicologo ed etnomusicologo alsaziano scomparso nel 1982, studiosi che ben sanno evidenziare come la musica sia la più antica allegoria possibile della creazione. E’ importante sapere, per esempio, che antichissime cosmogonie (concezioni relative alla nascita del cosmo) descrivono la realtà precedente alla creazione stessa come un luogo oscuro, dove tutto è vibrazione sonora e nulla è ancora materiale; che secondo queste concezioni la materializzazione comincia con la creazione e che tutto è progressivamente più materiale via via che la creazione procede e ci si allontana sempre più dal centro sonoro di origine, che potremmo definire anche centro di creazione. Viene così a stabilirsi qualcosa di importante, viene a stabilirsi per esempio un rapporto inversamente proporzionale tra suono e materia che ritroveremo in ambiti culturali assai diversi e successivi.
Molti punti di contatto di questa teoria sono riscontrabili nella simbologia tradizionale e in varie scuole di pensiero ma non è possibile qui approfondire questi legami poiché ciò richiederebbe un spazio eccessivo.
Ricorderò semplicemente alcune cose, come per esempio il fatto che lo stesso René Guénon definisce il luogo simbolico denominato ‘centro’ secondo un duplice aspetto, cioè come chiaro, in quanto centro di ‘irradiazione’ assimilabile a quella della luce, ma come scuro in se stesso e interiormente proprio in quanto non manifestato e finché non manifestato. Il chiaro simboleggia il ‘manifestato’, lo scuro il ‘non manifestato’.
Sono simbologie riscontrabili in molte antiche civiltà, da quella egizia e quella etiope, a quella caldea, fino all’indiana e alla cinese, per non citarne che alcuni esempi.
Anche il fiat lux, ereditato dalla tradizione giudaico-cristiana e poi latinizzato, richiama a sua volta questa idea di oscurità, rotta dalla creazione, in cui luce e creazione si associano. Notiamo però che cielo e terra, nella Genesi nascono nell’oscurità e solo dopo saranno irradiate dalla luce attraverso il fiat lux.
A ciò aggiungiamo qualche altra osservazione. Cominciamo con un piccolo frammento delle cose che venivano per esempio dette da G.I. Gurdjieff, come riportato da P.D. Ouspensky in “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”, ai gruppi di Mosca o di Pietroburgo, intorno al 1915, idee che facevano parte integrante del suo sistema:
“La velocità delle vibrazioni è in ragione inversa alla densità della materia.
E’ nell’Assoluto che le vibrazioni sono le più rapide e la materia la meno densa. Nel mondo immediatamente consecutivo, le vibrazioni sono più lente e la materia più densa; più oltre, la materia è ancora più densa e le vibrazioni di una lentezza corrispondente.”
E’ facile qui intuire come queste idee corrispondano esattamente alle antiche cosmogonie di cui accenna Schneider. Queste cosmogonie, in qualche misura, sono sopravvissute lungamente e ricompaiono sotto una certa forma anche in sistemi moderni, nonché espressamente modernizzati per l’uomo contemporaneo, com’era nelle intenzioni dello stesso G.I. Gurdjieff. Eppure mantengono intatto tutto il proprio fascino ancestrale, se mi si passa l’espressione.
Per tornare alla Bibbia possiamo citare ancora il Nuovo Testamento, Il Vangelo di San Giovanni, che comincia con queste parole: “In principio era il Verbo”. Questo richiama l’incipit del libro della Genesi in cui si dice: “In principio Dio creò il cielo e la terra”.
“In principio” dicono sia la Genesi sia il Vangelo secondo Giovanni.
Ora nell’interpretazione riconosciuta dal cattolicesimo Verbo e Cristo coincidono, così Cristo, in quanto Verbo ha un’origine anteriore rispetto a quella della sua nascita terrena. San Giovanni così ci dice in sostanza con quelle parole: “In principio era il Cristo”.
Com’è tipico dei testi religiosi esistono vari livelli di interpretazione ciascuno dei quali non nega l’altro ma lo completa e lo estende ponendo l’accento su un diverso spetto. Così forse San Giovanni col suo incipit vuole dirci anche dell’altro. Può darsi che oltre a significare Cristo, la parola Verbo possa indicare anche altri significati? E se sì, quali?
Consideriamo intanto che la Parola di Dio è Parola creatrice. Leggiamo in Isaia 55,11: “così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata".
Dio possiede quindi una Parola creatrice. E se la Sua Parola è creatrice è nondimeno anche generatrice.
Cristo come figlio di Dio e proprio in quanto tale è generato (non creato) dal Padre. Ce lo insegna il Credo; “Generato non creato della stessa sostanza del Padre”.
Ma torniamo un attimo a San Giovanni. Egli usa il termine “Verbo”. Ora, in latino verbalis è un aggettivo che vuol dire di parola, da cui si ah verbificatio, discorso. E’ noto l’adagio latino: verba volant, scripta manente. Ciò che è scritto rimane, ciò che è emesso col suono della parola si disperde. A meno che la Parola non sia Parola di Dio, Parola creatrice! In questo caso anche la Parola rimane, anzi crea.
Dio col suono della sua Parola creatrice, crea il mondo, il cosmo.
E’ lecito a questo punto chiedersi se per caso San Giovanni non ci stia anche dicendo che “In principio era la Parola”?
E’ lecito a questo punto chiedersi se per caso l’evangelista non ci stia dicendo che “In principio era il suono”?
Questo non nega l’identificazione di Verbo e Cristo in quanto la parola suono deve essere assimilata al concetto di sostanza spirituale (nota bene, più vi è suono più vi è spirito, più vi è materia meno vi è suono, meno vi è spirito) e quindi alluderebbe semplicemente alla vita spirituale di Cristo anteriore alla vita terrena, Cristo per mezzo del quale, prosegue il Credo: “tutte le cose sono state create” e che, prosegue ancora: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”.
Dopo la creazione si incarna per la nostra salvezza.
“In principio era il Verbo” può quindi assumere vari significati. E vi è chi dice che il Verbo ha un duplice aspetto, similmente a quanto avviene per il “centro” simbolico, e che, all’interno è Pensiero e all’esterno è Parola. Vorrei aggiungere che in entrambi i casi, cioè sia nel caso di Parola sia nel caso di Pensiero, la natura di suono si adatta benissimo benché all’interno si tratti di puro suono e all’esterno, come Parola creatrice, di un suono che si affievolisce col graduale discostamento dall’origine, e procede verso la materializzazione, in rapporto alle antiche concezioni cosmogoniche che stiamo considerando.
Ora, “Se il Verbo è Pensiero all’interno e Parola all'esterno, e se il mondo è l’effetto della Parola divina proferita all’origine dei tempi, la natura stessa può essere presa come simbolo della realtà soprannaturale.”  (René Guenon, Simboli della Scienza sacra)
C’è qualcosa di sacro nel suono.
Per aiutarci a farci una idea del potere del suono, della musica, possiamo infine ricorrere all’esperienza personale.
A molti di noi è stato possibile appurare per esperienza diretta come l’ascolto della musica tragga beneficio dal fatto di praticarla in un luogo oscuro se non del tutto buio, come la propria camera oscurata dalle veneziane, dagli scorrevoli, dai frangisole o quant’altro serva a rimanere al buio di una stanza.
Il motivo è evidente: togliere spazio ad altri sensi (come per esempio la vista) acuisce la funzione dei restanti, permette un maggiore ascolto anche interiore e favorisce anche l’immaginazione.
E’ quindi da queste cose, strettamente legate alle concezioni cosmogoniche a cui ci richiama Marius Schneider che dobbiamo partire, se vogliamo comprendere il legame del ritmo sonoro con gli animali che venivano fatti oggetto di caccia, tra ritmo sonoro e caccia. Potrebbe risultare utile riflettere su tutto ciò.
Una volta familiarizzato con i concetti principali delle antiche concezioni cosmogoniche, che vari legami trattengono, come abbiamo cercato di sottolineare, con concezioni cosmogoniche successive e più evolute, è opportuno comprendere come si possano trasferire a tutto l’ordine cosmico, alla manifestazione, e ci sforzeremo di trasferirle, più nello specifico, anche al contesto culturale dell’uomo primitivo.
Ogni essere vivente è legato al principio e ne trae sussistenza e vivificazione, compresi gli animali di cui il cacciatore primitivo si nutriva. Accettato questo principio ne consegue che gli animali avevano (ed hanno) un legame col centro di creazione, col luogo ‘oscuro e sonoro’ da cui traggono la propria lontana origine. Questo legame è anche un legame sonoro quindi, un legame che potremmo anche definire spirituale. Per questo è sempre presente in loro un ritmo sonoro, segno e testimonianza della creazione, nonché legame con l’Assoluto. Ma oltre a possedere un legame sonoro comune gli animali sono dotati di ritmi sonori specifici a seconda della propria specie e quindi delle proprie caratteristiche.
Tornando all’antico grande cacciatore egli sentiva di doversi impadronire del ritmo specifico della preda ma più probabilmente era sospinto ad impadronirsene dalla cultura del gruppo cui apparteneva o da chi già possedeva una tale conoscenza ed era disposto a trasmetterla, tramandarla.
Per farlo tuttavia la prima e più indispensabile dote richiesta era la capacità di osservazione e di ascolto. E' da qui che si sviluppa la conoscenza opportuna.
Osservazione, ascolto, percezione, anche fusione dei sensi, individuazione ed attribuzione a fenomeni diversi di ritmi comuni (chiamiamolo per es. fattore O il ritmo comune), e ad uno stesso fenomeno, animale, oggetto, di ritmi diversi (chiamiamo fattori a,b,c,d, ecc. i ritmi diversi) a seconda dei casi e dei contesti. Nella ricerca del ritmo specifico si dovevano isolare i ritmi comuni e scartarli. In questo intento il ritmo specifico richiamava per opposizione il concetto di ritmo comune e viceversa.
L’individuazione all’interno di due diversi fenomeni di cui era possibile distinguere ritmi specifici e comuni, per esempio la codificazione di due animali, conseguentemente definibili come abcO, il primo e qrsO, il secondo, del fattore comune O, permetteva di agire in due direzioni: 1) andare verso il ritmo comune, scartando i ritmi specifici; 2) andare verso i ritmi specifici, scartando il ritmo comune. Queste capacità implicite nell’agire quotidiano dell’uomo preistorico ancorché non esplicitate da teorie chiaramente espresse, fanno dell'antico cacciatore un individuo dotato di una rilevante cultura, assai più profonda di quanto si possa immaginare, una cultura che è insieme pratica e religiosa e dotata di un certo misticismo. Egli adottava istintivamente una metodologia strutturalista. Ma anche quando il linguaggio parlato non permetteva una esaustiva esplicitazione di una così rilevante cultura, ciò nondimeno chi la possedeva e ne vedeva indubbiamente un vantaggio e un bene da trasferire ai discendenti, ai posteri, per fare ciò, per trasmetterla, sentiva di dover ricorrere a qualcosa e quando ha saputo farlo ha fatto ricorso ai simboli ed ai miti. Queste conoscenze derivavano da concezioni cosmogoniche e le alimentavano a sua volta. Talché le stesse, entro certi limiti, erano suscettibili di variazioni. Ma queste stesse concezioni tendevano ad uniformare ed unificare il tutto secondo leggi generali. Per questo il simbolo si adattava bene all’espressione di queste conoscenze. Symbolon è un termine greco che deriva dal verbo symballo, metto insieme, così che in definitiva al termine symbolon (sym-bàllo) possiamo attribuire il significato di unire insieme. Il che risulta molto appropriato.
E’ abbastanza sorprendente, ritengo, notare come una sorta di Strutturalismo ante litteram permei il pensiero magico-religioso e mistico dell'uomo primitivo. Questo accostamento è tanto più sorprendente quanto più si pensi al fatto che Strutturalismo e Post Strutturalismo sono fenomeni culturali del XX secolo.
E questa cultura si riversa nella caccia attraverso la mimesis: individuato il ritmo specifico, chi lo sa imitare, trae in inganno la preda, domina l'animale che lo possiede. A sua volta chi sa dominare l’animale lo può uccidere e potrà così cibarsene personalmente e farne cibare il gruppo di appartenenza conquistandosi peraltro un ruolo sociale non indifferente.
In questo senso il concetto di mimesis trova una sua applicazione, essa stessa ante litteram, piuttosto sorprendente nell'ambito della preistoria, molto prima che nella choréia.
Si evidenzia così, grazie a questi tratti comuni che si mantengono anche nelle civiltà posteriori alla preistorica, una certa continuità delle culture egee con quelle arcaiche neolitiche, mesolitiche e paleolitiche.
Per tornare al nostro cacciatore, il successo della caccia, come è facile arguire, era appunto una garanzia di vita, di prosperità e di fecondità per se stessi e per il gruppo di appartenenza.
Numerose sono le sculture paleolitiche dette veneri steatopigie che sono state ritrovate in Europa.
Molto famosa quella di Savignano o quella di Willendorf, ed altre ancora. Queste sono state giustamente interpretate come simboli di fecondità e quindi di propagazione della specie, di continuità della vita.
Ma dobbiamo anche pensare che, in quanto steatopigie, non solo il pancione era interessato all’ingrossamento. In effetti steatopigie significa propriamente dalle grasse natiche e non è con la gravidanza che le natiche si ingrassano, almeno non solo, è anche e soprattutto col cibo, quindi con l’abbondanza di cibo. Spesso mi è capitato di pensare a queste veneri come ad oggetti in un certo senso pubblicitari, da mettere in relazione con la caccia e il cacciatore.
Siamo a livello di semplici ipotesi naturalmente ma un oggetto di questo genere, una statuetta di venere, nelle mani di un cacciatore poteva in altri termini voler dire: ecco, vedi quale tipo di abbondanza posso prometterti?! Cioè a dire: sono un così bravo cacciatore che posso garantirti abbondanza di cibo, prosperità e fecondità tale che il tuo corpo potrebbe finire per somigliare a quello di questa statuina!
Fatti salvi i gusti personali, la cosa potrebbe non essere particolarmente allettante per il gentil sesso contemporaneo magari, ma i parametri estetici di quei tempi lontani erano chiaramente diversi dai nostri, anche in materia di bellezza femminile, e sono cambiati più volte nel corso del tempo e col diversificarsi delle varie società e culture. Inoltre implicitamente valeva certamente l’adagio primum existere, mentre solo in un secondo momento entrava in gioco, per così dire, la questione della bellezza. In altri termini era del tutto possibile lasciarsi allettare da una promessa di sussistenza alimentare e il cacciatore avrebbe potuto in teoria esibire una tale statuina per manifestare tale promessa anche indipendentemente dai gusti personali che erano secondari rispetto alla primaria sussistenza. Una donna a sua volta poteva essere allettata dal divenire ‘steatopigia’ poiché anche per lei ciò significava esistere.
Sintetizzando in un senso per così dire 'pubblicitario' il messaggio che tali statuine potevano trasmettere si potrebbe arrivare a questo: sono un ottimo cacciatore, quindi sono un buon partito, accettami come compagno, procreiamo insieme!
In generale il grande cacciatore era effettivamente un buon partito nella preistoria ed il successo della sua caccia era garanzia di abbondanza e prosperità. A sua volta il successo nella caccia era garantito dalla sua capacità e abilità di adattarsi anche alle nuove tecnologie applicate alla caccia naturalmente (come all’uso di propulsori o di nuove e più sofisticate punte e materiali), ma anche di altre abilità, tra le quali spiccava sulle altre e forse ancor più delle doti fisiche ed atletiche, proprio quella che potremmo definire della mimesis, della capacità di imitazione del ritmo sonoro interiore della preda, della capacità di impossessarsi del suo specifico segreto, posseduto il quale si poteva arrivare ad incantare la stessa preda, a renderla inoffensiva e quindi a catturarla. La zagaglia, la lancia, la freccia scagliata che colpisce l’animale trafiggendolo non facevano altro che sancire una vittoria in pratica già ottenuta (vedi Marius Schneider, Gli animali simbolici).

Proseguiremo il percorso iniziato con la prossima pubblicazione, col paragrafo intitolato Tornando alla Grecia arcaica.