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sabato 9 settembre 2017

Mimesis nella choréia e nel mondo preistorico

Estrapolazione e riadattamento dal testo “Verso una controriforma scolastica”, redatto come saggio conclusivo del corso di I livello Mnemosine sugli insegnamenti artistici



"Non c’è niente di nascosto che non debba 
essere rivelato e nulla di segreto che non debba essere         
conosciuto"                                                            
(Matteo 10,26)


"L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento"
(dall’art.33 della Costituzione)


"Libero è l’insegnamento, libero è l’apprendimento"
(l’autore)


Premessa


Come anticipato nel precedente articolo e ricordato nel presente sottotitolo il saggio seguente è una rielaborazione e un adattamento di una porzione di un saggio precedente scritto come prova finale di un corso sui metodi di insegnamento artistico, intitolato “Verso una controriforma scolastica”. In quella porzione di saggio e per i fini che esso si proponeva, andavo alla ricerca di un antico snodo culturale che giustificasse da un lato un progresso in senso materiale e dall’altro una inflessione in senso spirituale.
Era da questo guadagno e da questa perdita insieme che si poteva spiegare l’affievolimento di una certa sensibilità in favore di un'altra e determinare una sorta di preminenza del senso della vista di cui la società dell’immagine non rappresenterebbe in definitiva se non una delle più recenti ed emblematiche eredità.
Nel rileggere quel saggio di recente, mi sembrava che sussistesse una certa quantità di materiale utile a redigerne uno specifico del tutto indipendente che potesse essere presentato autonomamente. Avevo pensato di svincolarlo così dal legame con la scuola e la politica, per concentrarmi esclusivamente sullo snodo culturale che mi interessava particolarmente e che comunque rimane il centro di tutto il discorso anche del saggio attuale. Ma poi ho notato che questo legame con la politica e la scuola continuava ad avere un senso. Me ne sono reso conto quando ho dovuto necessariamente accorgermi che la politica invita, ora più che mai, ad abbassare la guardia, a ridurre il livello di spirito critico. E sì che si tratta della stessa politica che si occupa della scuola! Ma la scuola non dovrebbe insegnare al discente a svincolarsi da schemi di pensiero precostituiti? Non dovrebbe insegnargli lo spirito critico? Non dovrebbe aiutarlo a sviluppare idee personali e renderlo sicuro nell’esposizione delle stesse?
Ecco, nel mondo della politica, spiace dirlo, si chiede il contrario!
Così ho fatto retromarcia ed ho riscritto il testo tenendo ben fermo il legame con la politica e le critiche alla stessa. Questa era in fin dei conti l’eredità del testo originale integrale il cui materiale estrapolato rappresenta ad occhio e croce un decimo del tutto.
Inutile dire che il testo, rispetto all’originale, ha subìto delle variazioni, delle riscritture, non delle mere integrazioni ma delle vere e proprie aggiunte. Moltissime cose che sono presenti nel testo aggiornato di adesso non erano presenti nell’altro.
Non vi era citata la Genesi né il Vangelo di San Giovanni, non il mito di Orfeo, non Aristotele né svariate altre cose. E’ stata dapprima estesa, poi molto estesa quindi, per divenire qualcos’altro da ciò che era in origine. Ne mantiene però la struttura e i concetti di base. Visto che il suo volume, pur essendo quello tipico del saggio breve di carattere scolastico, è cresciuto, nel presentarlo su un Diario Elettronico verrà proposto in più pubblicazioni, in più parti, almeno in tre o quattro. Questa presente è la prima.
Un’ultima osservazione: se molti difetti erano presenti nella redazione originale, molti ne sono riamasti. Nella prima redazione del resto i tempi di consegna erano ristretti, quelli erano e quelli dovevano essere rispettati. Anche qui mi ero impegnato con me stesso a pubblicare il saggio a breve. Tuttavia, nonostante i difetti ne è scaturito qualcosa di migliorato, ritengo, rispetto a prima e questo per il momento mi basta. Del resto la perfezione si sa, non è di questo mondo…

Introduzione

Poco meno di un anno è trascorso da quando l’Italia ha affrontato un grande pericolo: lo stravolgimento della Costituzione. Il NO al referendum costituzionale ha sventato per fortuna questo pericolo. Ma come si è giunti a correre un simile rischio?
Con la propaganda un po’ becera e un po’ superficiale, con i falsi miti di progresso, con argomenti di facilissima presa sul popolo (come il risparmio per esempio, dicesi populismo?) e poi ancora con l’uso di distrattori di massa, con ampie lacune informative, quindi in un certo senso col mimetismo, le anfibologie e quant’altro il repertorio datato della politica mette a disposizione di una classe che si sente fuori dal gregge (e-gregia) e aspira a rimanerlo, che aspira altresì ad essere sempre e comunque élite, a vivere di privilegi ad essere inarrivabile, a chiudersi nel palazzo e a non essere troppo disturbata dal popolo ed anzi a distanziarsi sempre più da esso, anche attraverso le verticalizzazioni dei ruoli, delle cariche e delle istituzioni cui l’attuale struttura dell’Unione europea contribuisce in modo determinante. Peccato però che il popolo è il solo, vero, unico e legittimo sovrano. Lo dice la Costituzione! Avete presente?
Vale per l’Italia naturalmente ma questa Ue ci aveva detto che era rispettosa delle tradizioni costituzionali dei Paesi che ne fanno parte. Siamo sicuri che è così? Abbiamo una impressione diversa!
E il popolo, in ogni caso ha detto NO alla sopracitata riforma che avrebbe reso l’Italia lo zerbino della Troika di una struttura cioè che agisce al di fuori del diritto europeo e che tende sempre più ad annichilire il diritto nazionale e le ragioni dei popoli.
Il pericolo corso dall’Italia con quella riforma costituzionale è dipeso in una parola dal principale difetto che possiede: il suo essere eterodiretta!
Come sfuggire agli imbonitori, agli edulcoratori di realtà, ai falsi miti di progresso, ai dogmi e alle superstizioni moderne, ai doppi fini, agli schemi facili (troppo facili) e spesso interessati della politica che tenta di sopravvivere a se stessa?  Come sfuggire a chi fa il gioco di chi vuole eterodirigere la nostra Nazione?
Forse basterebbe il buonsenso se esercitato in modo opportuno. Tuttavia, purtroppo, ci sembra di registrare che nei fatti questo buonsenso non sia opportunamente esercitato. Forse con una corretta informazione sì, ma l’informazione è spesso specchio del potere e quella indipendente bisogna cercarla con attenzione avendo una visibilità inferiore. Si potrebbe ricorrere quindi a tecniche particolari, derivanti magari dalla metodologia strutturalista che potrebbe risultare utile, ma anche queste ci sembrano confinate nel passato del secolo scorso senza peraltro darci l’impressione di avere lasciato l’ambito accademico per diffondersi a livello popolare. Qualcosa di strutturalista sembra forse presente in alcune applicazioni legate ai sistemi informatici ma non basta. Si potrebbe fare ricorso allora a all’intuizione. O forse alla capacità di ascolto, come suggerito ne “La voce della Luna” di Federico Fellini e quindi magari alla riesumazione di sensibilità ormai sopite, legate alla capacità di ascolto e che purtuttavia l’uomo potrebbe riscoprire e tornare ad esercitare. Oppure si deve optare per un misto di tutte queste cose? Insomma, a quale strumento deve far ricorso l’uomo contemporaneo per tentare di comprendere il suo momento storico, per incidere sul suo tempo? Come sfuggire alla manipolazione di massa? Che cosa si è addormentato nell’uomo di oggi?
Sono tutte domande cui è urgente rispondere perché purtroppo dietro tutto questo si cela lo smantellamento della nostra Nazione, che l’art. 52 della Costituzione ci chiede invece di difendere. Avete presente?
Dietro alla disinformazione, ai distrattori di massa, alla manipolazione delle masse, con qualsiasi veicolo, si cela la deindustrializzazione del nostro Paese, l’incremento del precariato e della povertà.
Dobbiamo porre un freno a tutto ciò ma le leve su cui fare affidamento non sono moltissime e se la stragrande maggioranza dei cittadini non si rende conto del disastroso stato delle cose il rischio è che non senta nemmeno il bisogno di fare qualcosa per ovviare tutto ciò.
E’ possibile risvegliare sensi maggiormente “robusti”, come direbbe Vico, da usare come strumento di comprensione, come arma per sfuggire al pensiero unico dominante che appiattisce tutta la realtà? Il saggio seguente si propone di determinare l’esistenza di una sensibilità antica (e antichissima) che se riesumata e riscoperta potrebbe forse fornire la giusta risposta alla passività con la quale oggi egli, l’uomo, accetta supinamente teorie di ogni genere, senza presentare un minimo livello di critica e di pensiero indipendente. Persa in uno degli snodi cruciali della cultura occidentale, essa nondimeno riappare di quando in quando, come per esempio nello Strutturalismo metodologico e forse anche in quello ontologico ancorché criticato, quest’ultimo, e ridimensionato da personaggi del calibro di Umberto Eco per esempio ne “La struttura assente”.
In questo sintomatico snodo qualcosa viene guadagnato e qualcos’altro viene perso. Qual è il bilanciamento tra questi due pesi sul piatto della bilancia? E’ maggiore il guadagno o la perdita?!
Difficile a dirsi, certo è che, molto di quello che si è perso, se riesumato potrebbe risvegliare l’uomo dal torpore in cui una moltitudine di forze, certamente non democratiche, vorrebbero confinarlo e trattenerlo. Nel cercare quello snodo ci rivolgeremo innanzitutto al mondo dell’antica Grecia che rappresenta un territorio di indagine privilegiato per la quantità di testimonianze dirette e indirette di cui si può usufruire.

Mimesis nella choréia
 
Anticamente i greci dividevano l'arte in due grandi gruppi, per altro piuttosto distinti e generalmente non in relazione tra loro. La coesistenza in una medesima società ne determinava ovviamente un certo grado di rapporto ma per quanto questo potesse sussistere entro una certa misura non si rendeva evidente. Prevaleva così il senso di distinzione tra i due gruppi. C’era un gruppo che potremmo definire espressivo, e ce n’era un altro che potremmo definire costruttivo. Al primo faceva capo la choréia, al secondo facevano capo: l’architettura, la scultura e la pittura.
L'eminente filologo Tadeusz Zielinski (1859-1944) aveva definita la choréia "una e trina", dandole una connotazione dal sapore “teologico”. Del resto essa era legata ai riti religiosi e misterici, particolarmente dionisiaci. Certamente essa costituiva un sol gruppo molto unitario e solidale, cui facevano capo tre elementi: la danza, la musica e la poesia. Quest'arte esprimeva i sentimenti e gli impulsi umani mediante parole e atteggiamenti, melodia e ritmo.
Particolarmente all’inizio la danza aveva nella choréia un carattere dominante. In effetti il nome choréia deriva da choros, cioè coro, che designava originariamente la danza di gruppo non il coro delle voci. Ma non dobbiamo pensare che questo relegasse in secondo ordine la musica e la poesia.
Friedrich Nietzsche con grande acume aveva individuato nella cultura greca una sorta di dualismo che egli riconosceva in due aspetti della stessa cui attribuiva due differenti caratteri attraverso la definizione di dionisiaco e apollineo.
Ma a ben guardare esisteva almeno un secondo rilevante dualismo che era rappresentato da altri due caratteri, quello espressivo e quello costruttivo e dai due gruppi ad essi associati di cui abbiamo accennato sopra.
Il rapporto e l’intreccio di questo doppio dualismo nella cultura greca, apollineo-dionisiaco ed espressivo-costruttivo, si presenta assai interessante ma non costituisce lo scopo dell’indagine di questo saggio e pertanto pur sottolineandone l’interesse, pur sottolineando altresì l’opportunità di indagarlo, non possiamo addentrarvici adesso, demandando questa indagine alla volontà di chi sente di potersene fare carico o in altra occasione.
Riprenderemo invece, più nello specifico, la disamina del gruppo facente capo alla choréia che ci sembra particolarmente significativo per i nostri fini introducendo adesso il concetto di mimesis.
La mimesis che Aristide Quintiliano, uno scrittore e teorico musicale greco, vissuto a Smirne intorno al II°secolo d.C. (ma la datazione è incerta essendovi dubbi anche sul III e IV sec d.C.), tradusse per primo con 'imitazione', e così è rimasto fino ad oggi, contrariamente a quanto si possa pensare, inizialmente non era un concetto che si applicasse alla scultura e alla pittura, cioè a due delle tre arti del gruppo costruttivo; questo concetto si applicava invece alla danza, che faceva parte della choréia una e trina, si applicava cioè ad una delle tre arti del gruppo espressivo, ma estensivamente, anche per questa unità delle tre arti, alla choréia tutta.
Prima di continuare il discorso, vorrei innanzi tutto aprire una piccola parentesi per precisare che nell'espressione 'una e trina' non c'è alcuna volontà di turbare la sensibilità di quanti, credenti, pensassero immediatamente e non del tutto a sproposito ad un accostamento al dogma della Santissima Trinità. Non c’è nessun intento di svilire il dogma cristiano. Non c'è neanche un intento offensivo o denigratorio né è minimamente presente la volontà di scatenare una competizione, una reazione stizzita o chissà cos’altro. Insomma in definitiva non c’è provocazione. L'uso di questa espressione 'una e trina' che indubbiamente fa subito pensare al dogma in questione, è qui usato per sottolineare il fatto che questa arte era composta da tre distinti elementi ma che essi erano così legati gli uni agli altri da rappresentare un tutt'uno inscindibile analogamente a quanto avviene per il dogma della Santissima Trinità per il cristiano. Del resto Zielinski è stato anche storico delle religioni ed abbiamo già accennato al fatto che la choréia era legata ad aspetti religiosi. Ci sono quindi dei parallelismi che, pur col dovuto rispetto e nelle debite proporzioni, dobbiamo segnalare. L’intenzione però è essenzialmente quella di evidenziare come la choréia fosse vissuta intensamente dagli antichi greci, in un modo se non paragonabile quantomeno avvicinabile a quello con cui i cattolici vivono il mistero della Trinità.
In ogni caso non abuseremo di questa espressione, ritenendo di aver peraltro già segnalato sufficientemente l’aspetto dell’unità nella diversità dei tre componenti della choréia.
Dunque riprendiamo.
Agli albori della cultura greca, il concetto di mimesis era in relazione con l'espressione dei sentimenti e con la manifestazione delle esperienze attraverso la gestualità, il movimento, ma anche il suono e le parole della choréia.
Ma badate bene, non una pura e semplice imitazione esteriore. La vera e propria imitazione ben lungi dall’essere semplicemente una mera esibizione esteriore, avviene, ed avveniva, principalmente a livello interiore.
Per questo il concetto di mimesis nella sua traduzione aristidea cioè nel senso proprio di 'imitazione' può benissimo trovare una sua applicazione e una perfetta aderenza anche a questo contesto espressivo. L’aspetto di esteriorizzazione era una componente importante naturalmente ma solo in rapporto a quanto avveniva a livello interiore e doveva corrispondergli.
Si esprimevano sentimenti che erano imitati innanzitutto interiormente e quindi in un certo senso rivissuti dall'imitatore/danzatore che finiva per identificarvisi a tal punto da poter essere assimilato ad una specie di sciamano. Forse gioverà fin da adesso ricordare come lo sciamanesimo abbia rappresentato una delle più antiche manifestazioni dell’aspetto religioso di una società relativamente evoluta in senso culturale.
Tornando alla mimesis, per esprimere un sentimento e per farlo bene, è quindi necessario innanzitutto imitarlo interiormente; per esprimere una esperienza è necessario riviverla ed immedesimarvisi, si deve sostanzialmente imitarla nel senso più profondo del termine, finendo quasi per divenire la cosa imitata.
La khatarsis, intesa nel senso di un benefico affievolimento dei sentimenti che la choréia era in grado di suscitare, era strettamente connessa non solo alla capacità del riguardante di lasciarsi coinvolgere e di immedesimarsi in ciò che vedeva e ascoltava (cosa che sarebbe accaduta con maggiore consapevolezza quando si applicò il concetto di katharsis al teatro), ma anche alla capacità imitativa del danzatore stesso cioè di colui che in prima persona partecipava attivamente per dare vita alla choréia.
Naturalmente i sentimenti che si potevano esprimere erano di diverso genere e intensità. Un aspetto psicologico si affianca alle arti espressive, un aspetto che può essere riassunto forse dal seguente concetto: l'imitazione volontaria di un sentimento toglie spazio alla sua manifestazione involontaria. Da cui la catarsi, l'affievolimento; il sentimento è vissuto, è compreso, è vinto; si è manifestato e con questo si è manifestata la passione, il pathos, è avvenuta una sorta di liberazione e tutto questo tarderà il suo prossimo manifestarsi involontario. Nell’involontarietà c’era la sensazione di un soggiacere alle forze esterne, di esserne dominati; nella volontarietà, di contro, si aveva la sensazione di esprimere un potenziale controllo sugli eventi e sui sentimenti, di raggiungerne il dominio.
E’ evidente a questo punto come alla choréia, si affiancassero, per non dire unissero, anche i concetti di mimesis, e katharsis ed è chiaro anche come il tutto si fondesse e si intrecciasse insieme dando vita ad un fenomeno culturale estremamente rilevante e decisamente complesso.
Riassumendo:

a) inizialmente nella cultura greca il concetto di mimesis si applicava alla choréia, non alla scultura, non alla pittura;
b) pittura e scultura, nonché architettura, rimangono per un certo tempo assai distinte sia dalla choréia sia dal concetto di mimesis;
c) solo successivamente il concetto di mimesis si applicherà alla pittura e alla scultura. Qualcosa era cambiato.

Ancora più tardi, durante il periodo ellenistico, alla scultura in particolare si affiancherà nuovamente il carattere espressivo che fu proprio, un tempo, della choréia, ma trasposto sul piano visivo.
Possiamo così asserire che inizialmente prevaleva nella cultura greca un accento “musicale”, vorrei dire acustico, sonoro. Successivamente questo accento si perde per lasciare il passo ad un diverso accento, un accento, per così dire, visivo.
Dal dominio del piano acustico al dominio del piano visivo.
L’accento acustico affondava le sue radici nella notte dei tempi.
In questo senso la choréia e il concetto di mimesis originariamente inteso si connetteva direttamente a tutta una tradizione arcaica antecedente a quella greca, antecedente anche a quella più genericamente egea, per affondare in una cultura direi quasi ancestrale, primitiva; una cultura che affondava nello stesso neolitico, o nel mesolitico o addirittura perfino nel paleolitico.
Per corroborare e sostenere quest’ultima tesi ci aiuteremo con una ulteriore indagine, quella che è possibile svolgere andando a dirigere lo sguardo verso culture ancora più antiche appunto della greca.

Per adesso ci fermiamo qui. Con la successiva pubblicazione ripartiremo dal paragrafo “Mimesis nel mondo preistorico".