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domenica 29 giugno 2014

Ancora sul Senato

Il bicameralismo è la forma politica e legislativa più diffusa a livello planetario ed è adottata dalle più moderne democrazie, particolarmente in occidente.
Questo punto non ricorre troppo spesso nei dibattiti inerenti la riforma del Senato, ed invece sarebbe opportuno sottolinearlo a mio giudizio.
L'obiezione a questa osservazione potrebbe certo essere questa: ma qui non vogliamo togliere il bicameralismo, soltanto il bicameralismo perfetto.
Sulla carta è questo che si dice sì, ma il fatto è che questa riforma del Senato sembra non sapere bene dove andare a parare, è poco chiara, affrettata, lede alcuni principi fondamentali come il diritto dei cittadini ad esprimersi, il diritto dei senatori di ricevere una indennità, la forte riduzione di rappresentatività, e forse lo fa con una certa consapevolezza, cosa da appurare naturalmente ma fortemente sospetta.
Cosa intendo dire? Intendo dire che quando una cosa è fatta male presta il fianco a varie critiche che finiscono per costituire la base d'accusa  da cui partire per giustificare il suo smantellamento totale. Qualcuno potrebbe infatti dire: il Senato con questa riforma è divenuto una  cosa  insulsa, tanto vale toglierlo.
Così l'affermazione secondo la quale non si vuole togliere il bicameralismo ma soltanto il bicameralismo perfetto, lascerebbe ben presto scoprire altri altarini, e si dimostrerebbe nei fatti un tentativo malcelato di arrivare al puro monocameralismo, forma assai meno in voga soprattutto in occidente.
Quindi ribadire che il bicameralismo è la forma politica più in voga non è un mero esercizio di retorica ma un'utile affermazione da opporre a chi cerca per gradi e forse un po' nascostamente di arrivare al monocameralismo.
I difetti di questa riforma inoltre potrebbero servire a qualcuno per dire: la sproporzione tra il numero dei senatori e quello dei deputati è oggi tale che diviene necessario diminuire anche il numero dei deputati. E via con altri tagli alla rappresentatività.
E di questo passo si rischierebbe di  dissolvere le istituzioni del nostro Stato, o le si indebolirebbero a tal punto da renderle più permeabili alle influenze esterne e alle ingerenze di ogni tipo. In altri termini le nostre istituzioni procedendo per gradi e consequenzialità finirebbero per essere ridotte al lumicino.
La nostra Costituzione è un capolavoro di inestimabile valore e le cose al suo interno sussistono in relazione tra loro in modo così coerente ed omogeneo che cambiare qualcosa di sostanziale al suo interno diviene un fattore di cambiamenti a cascata e nessuno è in grado di prevedere esattamente quale tipo di terremoto rischierebbe di vivere la nostra Costituzione.
Ne verrebbe certamente snaturata nella sua struttura e natura genetica.
E' abbastanza scioccante assistere all'acclamazione a salvatori della Patria di chi volente o nolente sta smantellando il  lavoro cosciente dei veri e autentici salvatori della Patria: De Gasperi, Piero Calamandrei, e tutta l'assemblea Costituente.
Ed è altresì scioccante vedere come, mentre i processi di smantellamento procedono in vario modo sotto i riflettori delle telecamere e catalizzano l'attenzione di tutta l'Italia, ben più in sordina quello che dovrebbero essere l'oggetto principale dell'attenzione del governo, cioè a dire il debito pubblico, si impenna incredibilmente in soli quattro mesi , trasformandosi probabilmente in credito privato per pochi privilegiati, che certo ringrazieranno i loro concittadini italiani che pagheranno il prezzo di tutto questo, e ben più di ottanta euro.
Evviva la solidarietà sociale!