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domenica 22 aprile 2012

La libertà della fatica e la fatica del rematore

...Riprende da 21/04/2012

Quello che accadde, aveva come veicolo il mezzo di comunicazione di massa per eccellenza, la televisione.
Precisamente mi riferisco ad una celebre  trasmissione televisiva, il Maurizio Costanzo Show.
Non ricordo esattamente la data, ricordo soltanto che vi era ospite proprio Adriano Sofri e che si trovava in compagnia di Paolo Liguori. Naturalmente il tutto verteva, e non poteva essere altrimenti, sulla sua vicenda giudiziaria. Mai prima di allora lo avevo sentito parlare delle sue vicende personali,  poichè era assolutamente impossibile che lo facesse a lezione, non era mai accaduto, ed io di lezioni non ne avevo persa praticamente nessuna. Di tutto quello che Sofri disse durante la trasmissione una cosa mi colpì più delle altre, e cioè quando dichiarò che non avrebbe mai mandato qualcuno ad uccidere perchè semmai avesse ritenuto che qualcuno avesse dovuto subire una simile sorte, lo avrebbe fatto personalmente, non avrebbe mai mandato qualcun' altro a farlo al suo posto! Si potrebbe dire che non c'è da stupirsi del fatto che una persona che cerca di difendersi pronunci una frase del genere. Eppure, forse, la frase andava letta in un altro modo. Poi vedremo. Intanto fu abbastanza scioccante sentirgli dire quella frase. Io, da parte mia, ne presi atto e  riposi queste informazioni in alcuni di quei cassetti che in genere andavo sovente a riaprire nella speranza di qualche illuminazione. Ma questa volta, per una sorta di lapsus freudiano, il cassetto dovette rimanere chiuso ancora per qualche tempo. Attribuisco questo lapsus all'incapacità di accettare quell' immagine del professor Sofri così come quelle parole, da lui stesso pronunciate, la stavano dipingendo. E' vero, lui parlava a livello ipotetico, e, in buona sostanza aveva dichiarato che non avrebbe potuto essere che il mandante di se stesso, ma io mi dipingevo lui con la pistola in mano e non riuscivo a concentrarmi su altro. In ogni caso il cassetto rimase chiuso. Ma anche in questi casi ci sono delle brecce che volenti o nolenti lasciano filtrare le informazioni depositate in questi cassetti, anche inconsciamente e che una volta uscite da questi stessi cassetti possono raggiungere di nuovo la coscienza. Rovista oggi, rovista domani, tra ciò che filtrava, quella frase riapparse lentamente e fece scattare qualcosa nella mia testa:
Al di là del più immediato dei significati, questa frase significò per me, che coloro che condividevano col Sofri di allora, col Sofri di Lotta Continua, uno stesso umus culturale e uno stesso codice comportamentale, dovevano condividere con lui anche questa idea! Questa frase significava dunque, non soltanto che Sofri avrebbe agito in prima persona piuttosto che mandare altri, ma che ognuno dei partecipanti al commando che purtroppo uccise il Commissario Luigi Calabresi, la pensava nello stesso modo. Ognuno dei partecipanti avrebbe potuto pronunciare quella frase e quindi dichiarare così di essere sostanzialmente il mandante di se stesso. Così come Sofri non avrebbe potuto essere che il mandante di se stesso, così anche loro non avrebbero potuto essere che i mandanti di se stessi. Non avevano bisogno di essere mandati da qualcuno, e non sono andati là, perchè qualcuno ce li ha mandati. E se è vero che ognuno di loro è stato il mandante di se stesso allora non sussiste più la tesi del mandante 'esterno', per così dire! Deve essere stato per un mero fatto di stile o per aderenza a un codice comportamentale che Sofri, nella stessa trasmissione, non si sia spinto a trarre le conseguenze da questa premessa, tuttavia una chiave interpretativa era fornita. Oppure la chiave interpretativa neppure esisteva e la frase, era stata detta in modo del tutto naturale e sono io che, successivamente ne ho tratto delle conclusioni personali. Non lo so. In ogni caso, se qualcuno avesse dovuto cogliere più rapidamente di me queste impressioni, mi pare di capire che ciò non avvenne.
Oppure avvenne, magari in sordina, ma non ebbe un seguito; oppure lo ebbe addirittura ma solo per un po'. Sia come sia, è da allora che fece breccia nel mio animo la forte sensazione della sua innocenza, da quando cioè, il ripescaggio di quella frase, che in un primo momento avevo quasi freudianamente rimosso, nutrita da chissà quali altre immagini, pensieri e ricordi, agendo in parte sotterraneamnte, in parte alla luce del giorno, mi aveva fatto scattare queste considerazioni.
Ho letto da qualche parte, e mi scuso se non so citare la fonte, che, in una intervista al Corriere della Sera, pur ribadendo la sua innocenza, Adriano Sofri si  sarebbe assunto la corresponsabilità morale del triste evento. Si può pensare che sia per questo che abbia pagato, per la corresponsabilità morale e a buon diritto si può pensare che lo abbia fatto fino in fondo, pienamente, senza fuggire ne a se stesso ne agli altri. Comunque la si pensi, se a fine pena il detenuto ha pagato per il suoi errori, se il regime di carcerazione deve servire alla riabilitazione di chi vi è detenuto, allora penso che con Adriano Sofri questo sia avvenuto pienamente e che egli esca da questo regime pienamente riabilitato. Ci sono persone per le quali sussiste la possibilità di ricavare spazi di libertà anche in regime di carcerazione. Son quelle persone che lottano con gli strumenti legittimi che il regime di carcerazione stesso non può negare loro, in quanto effettivamente legittimi e legali:  le parole, dette o scritte che siano, per esempio. Le parole, i pensieri, detti o scritti con la fatica di chi si alza detenuto e sa che dovrà esserlo ancora per molto, ma non per questo rinuncia a lottare una lotta spesso impari, conquistando spazi di luce, perchè c'è una fatica che produce luce e una luce che è libertà. E v'è chi ha detto e insegnato che 'la fatica del rematore illumina la galera'. Credo che Adriano Sofri appartenga a questo genere di persone, credo che sia, se mi si può passare questa immagine, un rematore, un rematore che nello sforzo del remare produce questa luce particolare che è luce di libertà. Uno sforzo che è una lotta e una lotta che, talvolta può apparire così prolungata da sembrare di non conoscere soluzione di continuità. Il che può rimandare enigmaticamente, al nome del movimento extraparlamentare di cui Sofri è stato leeder in passato, cioè Lotta Continua, che nella fattispece vorrei invitare a leggere in modo edulcorato dai significati politici, come, tra l'altro deve essere letto tutto il testo dall'inizio alla fine, per coglierne il significato puramente letterale.

Prosegue...