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venerdì 20 aprile 2012

La libertà della fatica e la fatica del rematore

Il 16 gennaio  2012  l'ufficio  di  sorveglianza  di  Firenze  ha  firmato  il  provvedimento  di  fine  pena  per Adriano Sofri.
Ero da poco studente all' Accademia di Belle Arti di Firenze,  quando appresi che il professore del corso speciale di Teoria e Metodo dei Mass-Media, sarebbe stato Adriano Sofri.
Cercai di racimolare quelle poche e confuse immagini che quel nome mi evocava ma in un primo istante non arrivai a nulla che non fosse ancora troppo evanescente, ancora troppo confuso. A soccorrermi però, fu il fatto che, proprio in quel periodo, di Sofri si stavano occupando in modo massiccio le televisioni e i giornali di tutt'Italia, perchè si era tornati a fare luce su una triste vicenda del passato, su un fatto di cronaca di molti anni prima, avvenuto nel 1972, che sembrava avere, appunto, delle implicazioni con Sofri. Questo fatto ebbe allora, e continuò ad avere per molto tempo ancora, una vasta eco nella nostra nazione. Si trattava del caso che prese il nome dal commissario di polizia che purtroppo vi perse la vita: Luigi Calabresi. A sua volta il nome del commissario Calabresi era associato a quello di Giuseppe Pinelli, e quindi, inevitabilmente anche alla  scomparsa di quest'ultimo. Sia chiaro fin dall'inizio, e a scanso di equivoci, che io ritengo il commissario Calabresi innocente delle accuse che gli furono mosse circa la scomparsa di Giuseppe Pinelli, e che lo ritengo una vittima della situazione. Ma qui apro una parentesi per dire che sento il bisogno di circoscrivere il raggio dei miei discorsi, che altrimenti mi porterebbero verso strade troppo lontane, strade che altri più legittimamente e con maggior pertinenza di me potrebbero percorrere. Questi fatti sono piuttosto lontani dalla mia vita personale, dalla mia esperienza vissuta, perchè quella che offro alla lettura è essenzialmente la storia di una tribolazione interiore molto personale e soggettiva, direi autobiografica, per arrivare ad una  personale lettura di vicende che, ancorchè legate al passato, per me, tuttavia partivano da lì, dal ritorno in prima pagina di questi eventi, dall'incontro con Sofri. Chiusa parentesi.
Il nome di Sofri era, allora, associato al caso Calabresi appunto, al nome di questo stimato commissario, ed alla vicenda giudiziaria che da allora ne scaturì. Così, intanto, collegai i dati essenziali e alcuni ricordi, come quelli di alcuni telegiornali di fine agosto, e potei prendere atto della cosa. Quando ebbi assimilato meglio il tutto, pochi giorni dopo, cominciai a chiedermi con quale stato d'animo avessi dovuto affrontare le lezioni. La mia condanna del terrorismo era ferma, così come era ferma la condanna di ogni violenza. Lo ripeto nel caso in cui non fosse abbastanza chiaro: la mia condanna del terrorismo era ferma e decisa così come ferma e decisa era la mia condanna di ogni violenza. Ma gli stati d'animo sgorgano spontanei e spesso in modo imprevedibile senza chiedere troppo il permesso alla ragione e senza troppo ascoltarla. Ciò nonostante sentivo  il bisogno di dare a me stesso una risposta che fosse efficace di una qualche presa sulla realtà che stavo vivendo, e che fosse quindi in qualche modo pragmatica e utile; quindi mi dissi che dovevo essere e comportarmi come un garantista; in mancanza di una sentenza definitiva, o definitiva personale opinione sulla vicenda, dovevo rimanere in uno stato di sospensione del giudizio, occuparmi e giudicare solo e soltanto le questioni strettamente inerenti le lezioni, come in un qualsiasi altro rapporto professore-studente.  La 'sospensione del giudizio' era già apparsa, in passato, a filosofi di tutto rispetto, come per esempio Cartesio ( René Descartes),  probabilmente mediandola dallo scetticismo di Pirrone di Elide, una condizione utile se non essenziale ad una visione obiettiva e scientifica della realtà, ed io avevo nelle mie passate esperienze già avuto modo di sperimentare istintivamente la bontà di questa tecnica, con mio grande beneficio, benchè, beninteso, applicandola a realtà ed esperienze personali più modeste e non così complesse e prorompenti, come in questo caso. Il mio atteggiamento era, in qualche modo, nobilitato dalla storia della filosofia, il che non era male.

Prosegue...