Per le tecniche miste su carta o altre tecniche che compaiono in questo Diario Elettronico firmate a nome Alessio, tutti i diritti sono riservati.







sabato 18 luglio 2020

Cosa ho capito del coronavirus

Dopo mesi difficili fatti di rinunce, privazioni, limitazioni, paura, qualcosa dovremmo aver imparato del covid.
Mi chiedo per esempio se è stato compreso che positivo non significa malato, poiché il malato, tecnicamente, è la persona che sviluppa i sintomi del virus. Ci sono per esempio, dei positivi al riconoscimento molecolare del tampone, che stanno bene, alcuni benissimo. Non sempre però ho l’impressione che le persone in generale abbiano compreso questo.
Quindi, siccome mi sfugge che cosa a livello di massa sia stato compreso da questa esperienza, cercherò di illustrare quello che credo di aver compreso io, in un modo però non sistematico, anzi, direi a livello di tempesta d’idee. In ogni caso è una sintesi di quello che ho sentito dalla voce degli esperti che si sono avvicendati in televisione o in rete e che hanno risposto alle domande inerenti il coronavirus. Alcune idee sembrano condivise, altre invece no. Sono state espresse opinioni non sempre facili da conciliare e quindi una certa sintesi personale indubbiamente non può non esserci.


Del covid ho capito che appartiene alla famiglia dei coronavirus, la stessa dei raffreddori, ho capito che non ha DNA, poiché è costituito da un filamento di RNA cioè da uno solo dei due filamenti che costituiscono l’elica dell’acido desossiribonucleico. Ho capito che è un virus fragile, che nell’ambiente non resiste. Questa resistenza può dipendere da vari fattori, per esempio materiali diversi determinano gradi di resistenza diversi. In ogni caso la resistenza dell’ambiente va da una mezz'ora a qualche giorno al massimo. I raggi ultravioletti del sole disattivano il virus in pochi secondi. Nell'ambiente non resiste, però è abbastanza contagioso. Organismi sani sono tuttavia in grado di vincerlo autonomamente senza bisogno di cure e si è stimato che nel 90 per cento dei casi le guarigioni sono spontanee. La grande emergenza è stata determinata dall’afflusso in contemporanea di un grande numero di pazienti che ha intasato letteralmente gli ospedali. In questo stato di ansia si è cercato di dare risposte rapide a un virus sconosciuto, facendo quel che si poteva. Col passare del tempo e un maggior numero di conoscenze, per esempio dopo l'individuazione della proteina d dimero, suscettibile di creare coaguli nel sangue, le cure si sono fatte maggiormente mirate, si è capito che in molti casi non si trattava di polmonite interstiziale bensì di trombo embolia polmonare. Si è cominciato quindi a parlare di idrossiclorochina, di eparina di attivatori del plasminogeno, di plasma iperimmune e di altre terapie. Quindi, se nel 90 per cento dei casi le guarigioni da questo virus sono spontanee, per i restanti casi esistono adesso cure efficaci, non sempre però determinano guarigione, particolarmente se il soggetto è fragile e presenta altre patologie.
Adesso sembra che molti indicatori si orientino al bello, il peggio sembra essere passato, il virus è clinicamente inesistente, il che non significa che non esista in senso assoluto, bensì clinicamente appunto, cioè non arrivano nuovi pazienti in ospedale, non si redigono nuove cartelle cliniche inerenti al virus.
Siamo in estate, il periodo in cui il sole ha maggior impeto e i raggi ultravioletti esercitano la propria funzione, aiutando a sanificare in modo naturale gli ambienti. In questo periodo è meno probabile essere contagiati però la prudenza è sempre ben accetta purché non raggiunga gli estremi che abbiamo visto nel periodo di picco, con scene di improbabili inseguimenti in elicottero a corridori solitari in spiagge deserte.
Positivo non vuol dire quindi malato, poiché il malato sviluppa sintomi. I pazienti che sviluppano sintomi sono quelli in cui il virus ha trovato meno resistenze. Chi è positivo però senza sintomi ha probabilmente già vinto la propria battaglia contro il virus o la sta vincendo, è difficile che possa contagiare qualcuno poiché, proprio il fatto di non avere sintomi dimostra che il suo organismo ha reagito con prontezza al virus, denotando una buona difesa immunitaria.
La dose virale che può trasmettere una persona senza sintomi che ancora stia lottando col virus non è tale da poter impensierire alcuno. Si tratta spesso di persone con poche decine di migliaia di repliche del virus nel proprio organismo, incapaci di dosi infettanti.
Se un atteggiamento prudenziale ha reso improbabile il contagio anche nei momenti di massima virulenza, adesso che siamo in estate, coadiuvati dai raggi del sole, un medesimo atteggiamento prudenziale rende meno probabile il venire contagiati e in particolare essere contagiati da dosi infettanti.
In pratica un organismo sano che dovesse essere contagiato dal covid, potrebbe non mostrare sintomi proprio perché dotato di un efficiente sistema immunitario, efficienza per via della quale le repliche del virus all’interno di quell’organismo potrebbero appunto non superare alcune decine di migliaia cioè non rappresentare un pericolo per quanto riguarda la trasmissione a terzi.
Questo è quello che credo di aver capito sul coronavirus.