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lunedì 14 ottobre 2013

La smodata grandezza del mondo della finanza

"Ripristinare il primato della politica rispetto alla finanza"! Questa frase è apparsa spesso in questo blog con un senso ben preciso, quello che deriva da una sua lettura diciamo così, di buon senso.
Il significato di questa frase doveva essere infatti inteso in senso generale come un invito al ripristino del primato della politica sì, ma intesa nella sua accezione più alta, rispetto alla finanza speculativa, e anche rispetto alle svariate altre ingerenze che spesso la stessa è capace di esercitare sulla sfera politica. Oltretutto molti economisti additano la finanza speculativa come la reale responsabile della crisi attuale, cosa che la inquadra come un elemento in grado  di incidere più che sensibilmente, nel bene o nel male, nelle politiche anche interne degli stati nazionali.
Ma mi rendo conto che la frase in questione si presta a svariate interpretazioni, alcune delle quali pur legittime se si sta al senso proprio della frase in sé, vanno nella direzione esattamente opposta  rispetto a quella che speravo e auspicavo.
Il fatto è che la realtà è talmente complessa ed intrecciata che possiamo notare come si presentino i casi più svariati con molteplici gradi e sfumature. In altri termini si può notare come talvolta la politica sia troppo presente là dove dovrebbe esserlo di meno e scarsamente presente là dove dovrebbe esserlo di più.
Quando si pensa al mondo della finanza poi, si pensa ad un mondo estremamente complesso e così vasto, soprattutto oggi, che a ragion veduta lo potremmo definire un mondo sovranazionale, ma con quale legittimazione politica?
Un mondo sovranazionale dove il liberismo, divenuto poi 'eccesso di liberismo' o 'liberismo sfrenato' come spesso gli stessi mass-media ce lo presentano, che sembra impostato in modo tale da favorire il più forte tanto che si è perfino tentati di credere, a torto o a ragione, che vi siano delle regole che il più forte scrive per se stesso senza interpellare il più debole. Il che potrebbe anche apparire scontato a qualcuno o a molti, e magari potrebbe non scandalizzare affatto il cittadino informato, navigato e disincantato, ma vuoi che la cosa desti scalpore vuoi che lasci del tutto indifferenti qualche riflessione dovrebbe scaturirne ugualmente.
Intanto Se così fosse, cioè se le regole fossero scritte dal più forte per se stesso e senza interpellare il più debole ci troveremmo di fronte ad un grave errore, almeno dal nostro punto di vista, perché il principio primo della Democrazia è la partecipazione, in ogni paese che la adotta come proprio valore, partecipazione dicevamo di ogni cittadino alla vita politica e sociale indipendentemente dalla sua forza e questo perchè si dovrebbe ritenere una fonte di ricchezza culturale ogni pensiero creativo che dagli stessi può scaturire.
Un'altra riflessione potrebbe essere la seguente: abbiamo imparato a ritenere che lo 'stato di diritto' sia stato ( e sia ) una delle più grandi conquiste che l'essere umano abbia ottenuto nel corso della storia, e questo perché lo 'stato di diritto' si contrappone proprio alla 'legge del più forte' e la storia ci ha insegnato che non sempre il più 'muscoloso' è quello che ha la soluzione migliore e che, anzi, è vero spesso il contrario. E ancora che per favorire l'emergere delle soluzioni migliori lo 'stato di diritto' è un terreno privilegiato poichè garantendo uguali diritti per tutti, favorisce l'emergere delle voci meno appariscenti e roboanti ma non per questo meno efficaci e creative.
In ogni caso, comunque stiano realmente le cose la domanda che certe realtà impongono è la seguente:
Lo stato di diritto è ancora considerato una conquista o cominciano a sussistere dei dubbi al riguardo?
Il fatto è che questo mondo della finanza si è così talmente ingrandito che necessiterebbe di un corrispettivo appropriato e proporzionato in termini di coscienza di sé e di relativa responsabilità e responsabilizzazione cosa che in questo momento non ci pare sussistere. Ci sono addirittura delle scelte politiche (vedi ESM) che vanno esattemente nella direzione opposta quella cioè di legittimare la deresponsabilizzazione particolarmente delle banche ( altro che responsabilità!) poiché la ricapitalizzazione delle stesse a danno dei cittadini, cioè di coloro che vi rimettono dentro i soldi, sembra prescindere dall'uso virtuoso o non virtuoso che le stesse fanno dei soldi, i quali spesso vengono investiti in spericolate e rischiosissime speculazioni.
E l'atteggiamento di investire in rischiose speculazioni o, come si sente spesso dire, in titoli tossici, non può certo essere considerato un atteggiamento responsabile. Gli economisti cosa dicono al riguardo?
Ma per tornare al concetto di ripristino del primato della politica sulla finanza in questo specifico caso mi chiedo se è la politica che mantendeno un suo primato leggittima meccanismi assai poco virtuosi o se è la finanza che si impone sulla politica dettando le regole del gioco. Non saprei esattamente...
Esistono poi altri casi. Mi vengono in mente casi anche molto diversi nei quali aziende sane e che fatturano piuttosto bene minacciano la chiusura e mandono in cassa integrazione i propri dipendenti nonostante un stato di salute eccellente.
In questo caso che cosa dobbiamo pensare? E' l'impresa che fa impresa o è l'impresa che fa politica?
E come potremmo chiamare questa politica? Non saprei esattamente ma sembra una cosa piuttosto masochistica!

Ma riprendendo l'idea di estensione del corpo del mondo della finanza, direi che è qui, in questo luogo della sovranazionalità, che la politica, intesa come luogo di esercizio dell'alto pensiero a favore del 'buon governo', intesa cioè nella sua accezione più alta, potrebbe esercitare la sua presa sulla realtà, svolgendo un ruolo regolatore, discutendo e ridiscutendo leggi e regole per equilibrare ( e riequilibrare) la situazione nella direzione della giustizia, dell'equità e, in ultima analisi, dello 'stato di diritto', verso cioè delle garanzie che garantiscano tutti e non solo il più forte o i più forti.
Per capire l'esempio dell'ingrandimento del corpo del mondo della finanza e degli effetti che questo potrebbe comportare, ci serviremo di un esempio:
è come se un corpo umano cominciasse ad ingrandirsi a dismisura senza mutare atteggiamenti, senza divenire cioè più maturo, consapevole e responsabile ed anzi approfittando addirittura della propria smodata grandezza talvolta per lasciarsi andare ad una sorta di arbitrario potere o magari anche a pressioni se non addirittura a delle intimidazioni.
Eppure la vera forza dell'uomo, ci insegnerebbe la storia ( e l'esperienza in generale lo conferma), non risiede nei muscoli per quanto utilissimi ovviamente nel loro specifico, ma nel cervello e nella coscienza.
Se un corpo normale di un uomo in un momento di stizza sferrando un colpo magari su un tavolo fa sobbalzare le stoviglie e quant'altro vi si trova adagiato, un corpo smisuratamente più grande in un momento di analoga stizza nello sferrare un simile colpo scoperchierebbe forse i tetti delle case e farebbe tremare un intero paese procurando effetti simili a quelli paragonabili ad un terremoto.
La stizza è la stessa, il gesto pure, ma gli effetti sono molto più devastanti e marcati ed è evidente il perchè.
E' chiaro infatti a questo punto che a un corpo maggiore deve corrispondere una coscienza maggiore o, se preferite, una più grande anima, cosa che se non avviene rischia di procurare danni incalcolabili!
Invece la sensazione ( e la speranza sarebbe sempre quella di sbagliarci ) è che a questo corpo ingrandito della finanza non corrisponda un' adeguata anima o una adeguata coscienza o maturazione.
Ecco su cosa bisognerebbe lavorare quindi, su regole o quantomeno norme internazionali, su codici deontologici e professionali, che suppliscano a questa assenza di anima che fa di questo mondo della finanza troppo spesso un vero e proprio far west.
Una semplice e immediata norma comportamentale, deontologica e professionale sarebbe quella di marcare l'accento sul cocetto di rispetto dei popoli e di rispetto delle nazioni, soprattutto di quelle che consideriamo amiche e della cui amicizia quindi spesso ci fregiamo.
Ma come esattamente? Per esempio attraverso una azione culturale, invitando innanzitutto a conoscere il paese nel quale si investono le somme di denaro e mi riferisco non solo alla conoscenza della sua cultura in senso lato, cosa sempre e comunque auspicabilissima naturalmente, ma particolarmente alla conoscenza delle varie carte costituzionali nei principi generali che esse esprimono e da cui sono ispirate ma soprattutto direi negli articoli che riguardano specificamente le questioni relative al lavoro ed agli investimenti.
Nella Costituzione Italiana per esempio ci sono degli articoli che sarebbe bene tutti quanti conoscessimo, ma la cui conoscenza sarebbe opportuna particolarmente per coloro che vogliono investire nel nostro paese. La conoscenza di questi articoli, così come la conoscenza degli articoli corrispettivi delle altre carte costituzionali, verrebbe senz'altro incontro ad ogni sano proposito di rispetto dei popoli e delle nazioni nei quali si desidera investire somme di denaro più o meno cospicue.
Sarebbe in ogni caso un onore e un privilegio notare che sussistono risposte positive all'invito di approfondire la conoscenza del paese ospitante e particolarmente della sua Carta Costituzionale, prima ancora che un dovere da parte dello stato o della finanziaria anche multinazionale ospitata.
Ma questa conoscienza ancor prima di un dovere dovrebbe essere un piacere, questo almeno è ciò che auspichiamo.
A tale proposito cito l'Art. 41 della Costituzione della Repubblica Italiana:

"L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali."

E' un bellissimo articolo che pone l'accento sul ruolo positivo che l'iniziativa economica può esercitare nella società in cui si trova ad espletarsi, cioè sull'utilità rispetto al territorio in cui si svolge concretamente, un territorio che gli è prossimo e che è fatto di tante cose ma soprattutto di cittadini.
In qualche modo qui viene riecheggiato il concetto di 'prossimità', che abbiamo già affrontato almeno in un altro post, in quello intitolato "Il ruolo del concetto di Patria nell'Europa di oggi e nel mondo che cambia" ( settembre 2012 ) che invitiamo a rileggere.
Riteniamo che questo articolo della Costituzione possa  fornire una giusta inquadratura del significato che dovrebbe avere l'espressione 'fare impresa' e di come questa è stata sentita dall'Assemblea Costituente e successivamante dal popolo italiano che l'ha recepita.
Troppo spesso infatti in Italia assistiamo a forme di pseudo-investimento che non hanno niente a che fare con questi principi. Cosa significa infatti investire quando gli investimenti servono ad assumere quote di maggioranza in imprese che poi vengono smantellate e portate a casa, o chiuse ( per concorrenza), o gli utili non vengono reinvestiti in loco o vengono fatte declinare lentamente?
E' un argomento molto aspro e difficile, che merita di essere approfondito ed esaminato.