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mercoledì 18 luglio 2018

Breve riflessione sul sostegno come pratica potenzialmente terapeutica

Nella scuola, nell’ambito del sostegno, è forse bene cominciare il lavoro dalle abilità, conoscenze e competenze “certe” del discente certificato, per costruire le successive. Esse non devono essere molte, anche poche vanno bene purché “certe”. E’ bene cercarle e trovarle, appurarne la consistenza e poi utilizzarle sistematicamente come mattoni su cui far poggiare i mattoni successivi fino a costruire una struttura più complessa, come un muro ad esempio, utile magari in futuro per la costruzione di una casa, per rimanere nella similitudine.
Per capire meglio questo, potrebbe non risultare superfluo citare Leibniz. In un breve opuscolo dal lungo titolo, De organo sive arte magna cogitandi (ubi agitur de vera characteristica, cabbala vera, algebra, arte combinatoria, lingua naturae, scriptura universali) Leibniz ricorda che “il massimo rimedio per la mente consiste nella possibilità di scoprire pochi pensieri dai quali scaturiscono in ordine altri infiniti pensieri, allo stesso modo in cui da pochi numeri…si possono derivare in ordine tutti gli altri numeri”.
Se quindi la didattica, attraverso i “pochi” ma “certi” pensieri, diviene “rimedio”, essa si spinge spontaneamente e concretamente al di là della mera didattica per divenire anche pratica terapeutica.
Forse non è una certezza ma una possibilità e anche per questo è forse bene non mettere limiti alla Provvidenza e ritenere possibile che la didattica possa avere anche una funzione terapeutica.