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mercoledì 29 marzo 2017

Si riaccende il dibattito sull'euro

Il dibattito sull’euro, che sembrava essersi assopito, pare che attualmente stia ritornando in auge in Italia. Questo è un fatto positivo a prescindere da chi ha torto o da chi ha ragione tra gli schieramenti in campo. E’ un fatto positivo anche perché aumenta il livello di consapevolezza delle persone che vi si lasciano coinvolgere.
Ci sono molte opinioni ovviamente circa l’euro per entrambi gli schieramenti.
Per esempio tra i sostenitori dell’euro c’è chi parla di spirale inflazionistica, di alti tassi di interesse, anche sulle obbligazioni e di contrazione dei salari in caso di una nuova moneta italiana.
Ma c’è anche chi ammette che diventeremmo più competitivi, benché con le conseguenze di cui sopra.
Insomma per alcuni sostenitori dell’euro, una moneta alternativa allo stesso, una moneta nazionale, aumenterebbe sì la competitività delle nostre aziende ma a discapito dei salari e accompagnata da una forte inflazione.
Ora, non sono un economista e si vede, credo, ma se c’è un cosa che pensavo di aver capito dal dibattito sull’euro e sull’Ue, è che la compressione dei salari sembra essere una intenzione, neanche troppo celata, dell’attuale dirigenza dell’Ue, senza considerare il fatto poi che sono proprio i meccanismi stessi dell’euro a portarvici, poiché la moneta unica, in quanto tale, non potendo essere svalutata da chi la adotta rispetto agli altri Stati che la adottano (è unica per questo!) invita di fatto le aziende che perseguono la competitività a tornare competitive con l’unico mezzo che rimane loro a disponibile: la compressione dei salari, pagare meno i dipendenti.
E’ proprio la presenza dell’euro e della conseguente impossibilità di svalutare che crea quindi le premesse dell’unica scelta possibile per poter essere competitivi: abbassare il salario. Da questo poi deriva la contrazione della domanda e quindi dell’offerta e un circolo vizioso di recessione, deflazione e quant’altro.
D’altro canto la parziale ammissione secondo la quale “diventeremmo competitivi”, ammissione che i sostenitori dell’euro concedono immaginando lo scenario che si disegnerebbe in seguito ad una uscita dall’euro e all’introduzione di una nuova moneta nazionale, dimostra da sola che vi sarebbe esattamente la concreta possibilità dell’esatto contrario, cioè di non abbassare i salari e di mantenerli così come sono o addirittura di aumentarli. Infatti quando le aziende sono competitive e, in virtù di questa competitività, esportano di più (aumentando il proprio profitto) sono anche più inclini a concedere stipendi dignitosi ai propri dipendenti. Quindi non solo una situazione di competitività effettiva delle aziende italiane non abbasserebbe i salari ma, al contrario, potrebbe addirittura aumentarli.
L’inflazione probabilmente aumenterebbe, questo sì, e forse vi sarebbe anche un periodo più o meno lungo in cui non sarebbe semplicissimo abbassarla, ma è una questione di tempo e tutto si riequilibrerebbe. Tuttavia, anche da questo punto di vista, se penso che la BCE sta immettendo miliardi di euro (con i quali vincola a sé i destini e le sorti degli stati dell’eurozona, sbarrandogli di fatto la strada per l’indipendenza!) con la scusa e il pretesto di fare aumentare l’inflazione (e combattere la deflazione), penso anche che sia meglio, molto meglio, che l’inflazione arrivi, diciamo così, per natura, in modo naturale e spontaneo, per leggi di mercato, senza ricorrere cioè a misure straordinarie e “non convenzionali”, artificiose e legate a condizioni pretestuose (nonché sospettate di essere prese al di fuori dei limiti del proprio mandato), soprattutto se questo aumento naturale dell’inflazione si associa ad una ritrovata auspicabile competitività.
Anche tra i fautori dell’uscita comunque c’è chi ammette che le cose potrebbero non essere semplici all’inizio, che occorre essere realistici ma che, comunque, tra due mali e meglio scegliere il male minore che, se tutto è ben studiato e concordato, l’uscita potrebbe nel medio e lungo termine determinare una vistosa ripresa.
Insomma sembra che il risveglio del dibattito sull’euro coincida, almeno in parte,
con reciproche concessioni, forse siamo a un passo dalla verità?