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lunedì 10 novembre 2014

Retorica del 'cambiamento' e debito pubblico

Su quali cardini si impernia o dovrebbe imperniarsi il cambiamento?
Se non ci sono cardini sui quali impostare un cambiamento, ( ma potremmo dire 'il cambiamento'), se non ci sono principii di base sui quali impostarlo, molte certezze svaniscono, e la fiducia nel cambiamento si affievolisce. La sensazione è che troppe cose cambino in peggio purtroppo.
La retorica del cambiamento, in quanto tale non è tenuta a specificare la natura del cambiamento, basta la parola: cambiamento!
Per la retorica del cambiamento il cambiamento è tutto, poco importa in che cosa esso consista, né se il cambiamento segua una linea peggiorativa anziché migliorativa.
Ma per l'economia reale questo non è sufficiente!
Cambiare in peggio è in effetti sempre possibile purtroppo, e stando alle dinamiche recentemente sotto gli occhi di tutti, nonché ai dati in nostro possesso, addirittura probabile.
Che senso ha quindi promuovere un cambiamento, quando questo cambiamento segue una linea discendente nell'evoluzione delle conquiste politiche, civili ed economiche del genere umano?
La risposta sensata sarebbe: nessuno!
Cambiare per cambiare, senza entrare dentro allo specifico del cambiamento, senza appurare in che cosa esso consista realmente, non ha un gran senso.
Oppure potremmo dire che, se ce l'ha, ce lo ha dentro dinamiche puramente propagandistiche che sposano volentieri un sentimento popolare e spesso populistico, ma come spesso accade e anche alla luce dei fatti, con l'infelice esito, volenti o nolenti, di tradirne le aspettative.
Quando le cose vanno male, dichiarere che si vuol cambiare è certamente rispondente ad una esigenza interiore ed esteriore che il popolo sente come propria ed innesca quindi una immediata risposta positiva quasi spesso scontata, e quindi propagandisticamente parlando, questo avrà sempre un riscontro positivo, un quasi certo consenso.
Ma è troppo facile, è troppo superficiale e ,soprattutto, è una modalità che rischia di somigliare molto ma molto da vicino a commedie già viste e già sentite.
La nostra opinione comunque in generale è che cambiare per cambiare non serva al Paese, anzi che non serva verosimilmente a niente, se non ad illudere pochi o molti che finalmente forse qualcosa migliorerà, salvo poi fare i conti con i dati reali; la nostra opinione è che cambiare senza dei principii cui ispirarsi, o senza dei solidi cardini cui imperniarsi, non solo non serva ma che possa perfino essere dannoso.
Ma un sentimento reale di cambiamento si era recentemente affacciato sulla scena della politica italiana. Questo affacciarsi procedeva tuttavia - si noti bene - non a partire dalle segreterie di partito, bensì a partire genuinamente dal popolo, dalla base vera, dalle sue esigenze reali, dai suoi problemmi di tutti i giorni.
Alcuni importanti elementi, alcuni punti critici dell'attuale sistema politico e delle attuali dinamiche politico-economiche ed economico-finanziarie, anche sull'onda di questo genuino sentimento erano stati, per altro, individuati poi, da persone anche esperte di settore.
Mettere per esempio al centro dell'interesse politico italiano il problema del debito pubblico, capirne le dinamiche, interrogarsi sulla sua gestione, capire il perché del suo anche attuale impennarsi, era certamente un punto inportantissimo nell'emancipazione della popolazione dal suo assoggettamento culturale, anche in materia di politiche economiche appunto,  a pareri ed opinioni, diciamo così, 'di prestigio' o 'esperte' che dir si voglia, e che comunque troppo spesso, in ogni caso, tendono a rimanere vaghe, incomprensibili, quando non addirittura sulla superficie,  non consentendo pertanto di capire da vicino e veramente a fondo che cosa realmente succeda circa il problema in questione.
L'attuale retorica del cambiamento, non sembra aver fatto propria questa richiesta, questa fondata istanza dei cittadini più o meno esperti, più o meno informati, non sembra aver fatto priopria questa esigenza e questa focalizzazione, questa individuazione cioè del punto critico fondamentale.
Questi elementi di chiarezza si sono scontrati pertanto con un gran polverone e con quella che abbiamo appunto chiamato la retorica del cambiamento, che tuttavia è andata ad abbracciare altro, piuttosto che quello che veniva indicato come il fulcro del problema.
Così se è vero - com'è vero - ( almeno dal nostro punto di vista ) che cambiare per cambiare non serve a niente, questo risulta ancor più vero quando al cambiamento cosciente di elementi viziosi tecnicamente individuati per esempio nella gestione del debito pubblico, si risponde con cambiamenti che con questo problema non hanno niente a che fare o che addirittura lo perturbano o lo accrescono.
Due dei recenti effetti di questo atteggiamento sono infatti sotto gli occhi di tutti e, checché se ne dica, sono difficilemente smentibili e si possono infatti riscontrare: a) nell'innlazamento repentino che il debito pupplico ha avuto negli ultimi mesi e b) nella minimizzazione di questo problema, cioè nella minimizzazione di questo recente accrescimento, nonché nella minimizzazione del problema del debito pubblico stesso in sé, in generale.
Qui purtroppo si va ben oltre la sottovalutazione, si va verso la minimizzazione, ed è un dovere del cittadino richiamare l'attenzione su questo punto.
Questa minimizzazione attualmente in corso avviene sia da parte di singole opinioni di singoli esponenti giudicati autorevoli e spesso non estranei alla strutturazione dell'attuale architettura europea ( certamente non scevra da elementi di discutibilità! ), sia da parte di istituzioni o di organismi sovranazionali.

Il mantra cui siamo stati abituati da sempre ( personalmente fin dalla nascita ), cioè che il propblema dei problemi è il debito pubblico, mantra con il quale la mia generazione è cresciuta e del quale si è abbondantemente nutrita, sembra adesso non essere più vero!
Com'è possibile?
Chi ha dunque ragione?
E' chiaro che la politica in generale è sempre tesa a minimizzare i problemi che non è facile fronteggiare o risolvere, o che comunque non riesce a meneggiare agevolmente, tanto da intensificarli addirittura, ma il senso di responsabilità che si sente in ogni caso sbandierare così spesso e volentieri e in ogni dove, sovente a sproposito, dovrebbe quantomeno spingere ad essere realisti, a guardarli  in faccia per bene questi problemi, ma soprattutto ad essere coerenti con il tradizionale mantra che fino a poco prima sembrava si condividesse con tanta partecipazione e con tanta convinzione e che, per quanto ossessivo, certamente contenva ( e contiene ancora ) sotto tutti i punti di vista dei fondatissimi elementi di veridicità!!!
E' difficile infatti immaginare che il debito pubblico sia stato un problema fino a qualche mese fa, e che adesso invece, improvvisamente, quasi magicamente, non lo sia più!
Chi può essere così facilmente persuaso da questa tesi?
Forse che la retorica del cambiamento ha cambiato la veridicità dell'arcinoto e classicissimo mantra?!
Sembra proprio che la retorica del cambiamento, in effetti, abbia sortito l'inaspettato e quasi stupefaciente effetto di avere cambiato molte autorevoli opinioni circa la questione del debito pubblico!
Ma la cosa per molti suona strana. Da qui la legittimissima esigenza di avere dei chiarimenti in proposito.

Intanto il debito cresce, cresce, cresce...